Giuliano Aluffi, il venerdì 18/9/2015, 18 settembre 2015
TRAPIANTO DI TESTA
L’umanità è pronta per il trapianto di testa: a sostenerlo è uno scienziato italiano, Sergio Canavero, neurochirurgo all’Ospedale delle Molinette di Torino. Il suo primo annuncio alla stampa è stato nel 2013. A febbraio di quest’anno Canavero ha rilanciato pubblicando su Surgical Neurology International uno studio riassuntivo del suo protocollo di fusione del tronco spinale del ricevente con quello del donatore, e a giugno è stato invitato ad Annapolis, al convegno dell’associazione dei neurochirurghi statunitensi, dove ha tenuto il discorso d’apertura. Perciò quest’anno hanno scritto di lui il Guardian, il Wall Street Journal e Forbes, mentre il New Scientist, a febbraio, gli ha dedicato una copertina, riportando i suoi studi. Canavero ha suscitato però anche aspre polemiche: su Forbes il direttore del centro di bioetica dell’Università della Pennsylvania Arthur Caplan l’ha definito senza giri di parole «fuori di testa» sottolineando i rischi di paralisi legati al recidere la spina dorsale e i rischi di rigetto sia chimico che psicologico per la convivenza forzata con un corpo altrui. E critiche simili sono venute da neurologi dell’Università Cattolica di Roma. Dalla sua parte si è schierato invece il neurologo cinese Xiaoping Ren. Le controversie hanno trasformato Canavero in una specie di divo pop, tanto che la Konami, nel videogioco Metal Gear Solid 5, uscito, attesissimo, il 1° settembre scorso, ha inserito tra i personaggi un inquietante medico dalle fattezze identiche a quelle del neurochirurgo. Lui ha sporto denuncia. E ora dice la sua in un libro, scritto insieme al giornalista Edoardo Rosati, Il cervello immortale (Sperling & Kupfer).
Ma a cosa servirebbe il trapianto di testa?
«A offrire una nuova esistenza a chi ha malattie invincibili come la Sla. Ma anche ad allungare la vita. Ormai diversi studi mostrano come il sangue e i tessuti giovani possano ringiovanire quelli vecchi. Quando, in futuro, il trapianto di testa sarà un’operazione poco complicata, forse potremo vivere 40-50 anni di più trapiantando la nostra testa su corpi nuovi. E arriveremo a farlo anche senza bisogno di donatori esterni: prima o poi anche la clonazione umana non sarà più tabù, e potremo avere cloni di ricambio come donatori. Un passo in più verso l’immortalità, perdoni la hubris. L’obiettivo più immediato è però dare una possibilità a chi un corpo quasi non ce l’ha, come il primo paziente che si è offerto volontario, il trentenne Valery Spiridonov, affetto da una grave atrofia muscolare spinale».
Come le è venuta l’idea?
«Al liceo lessi uno studio sul trapianto di testa tra scimmie di Robert White, un celebre neurochirurgo americano che compì oltre diecimila interventi e scrisse 900 pubblicazioni. A White questo intervento riuscì solo in parte: gli animali sopravvivevano, ma non riuscivano più a muoversi. Troppo danno midollare, e gli impulsi dal cervello si bloccavano a metà strada. Poi, nel 1984, in forza all’Istituto di anatomia di Torino, osservando la lama ultrasottile che taglia i tessuti per osservarli al microscopio elettronico, capii che solo un taglio altrettanto sottile e preciso avrebbe permesso di riattaccare una testa a una spina dorsale facendo sì che il midollo spinale si ricollegasse, così da permettere il movimento. Ma come “incollare” la testa al corpo? La risposta mi arrivò nel 1986, da uno studio del neuroscienziato George Bittner, ancora oggi in attività all’Università del Texas. Bittner tagliò con un microbisturi un assone (ossia il prolungamento di un neurone) di una rana, ricollegò i due pezzi con una sostanza già conosciuta e usata, il glicole polietilenico (o Peg), e l’assone riprese a trasmettere impulsi come prima. L’ultimo tassello del puzzle lo scoprii all’università».
In che occasione?
«Alla biblioteca delle Molinette mi imbattei per caso in un dimenticato articolo di David Freeman, neurologo che negli anni Cinquanta e Sessanta combatteva il dolore centrale, legato ai danni al midollo. Un giorno Freeman si accorse che dei topolini ai quali aveva tagliato il midollo, dopo settimane di immobilità, avevano ripreso a camminare. Riaccostati, i tronconi di midollo col tempo si erano risaldati. Funzionava anche per i cani. Perché allora la riconnessione del midollo spinale, cruciale per il trapianto di testa, non dovrebbe valere per l’uomo?».
Sostituire una testa con un’altra non deve essere semplice. Come si fa?
«Prima di tutto, per proteggere il cervello, si rallenta il metabolismo abbassando la temperatura del corpo a dieci gradi. Poi si opera, prima collegando i vasi sanguigni di un paziente a quelli dell’altro e solo in ultimo recidendo il tronco spinale del paziente vivo e del corpo del donatore deceduto. Quindi si posiziona la testa sul nuovo corpo e si usa il Peg per riattaccare il midollo spinale. Infine si accelera la riconnessione tra i neuroni tramite elettrostimolazione. La capacità di muoversi, dopo mesi, torna anche grazie alla materia grigia interneuronale, una sostanza che, come oggi sappiamo, è in grado di trasmettere gli impulsi motori».
Che percentuale di successo prevede?
«Il progetto procederà per gradi. Prima affineremo, senza coinvolgere pazienti vivi, le tecniche di taglio e fusione del midollo spinale. Poi sperimenteremo la stimolazione elettrica come acceleratore dello sviluppo neuronale. L’operazione con un paziente vivo avverrà solo quando stimeremo una probabilità di successo non inferiore al 90 per cento».
E come risponde a chi le rinfaccia la mancanza di principi etici?
«Al congresso di Annapolis ho lasciato che Valery stesso replicasse alle critiche mostrando la sua condizione. In ogni caso il rischio che il corpo rigetti la testa oggi è superabile con gli immunosoppressori, che tra l’altro aiutano i neuroni a riconnettersi. Lo straniamento del ritrovarsi un corpo altrui è superabile con una lunga rieducazione tramite realtà virtuale. Dopotutto il senso del sé non è rigido: esistono studi che mostrano come, manipolando le percezioni, si possa perfino credere di avere un terzo braccio. Donare il corpo spaventa? È solo il caso limite del donare un organo. Certo, poi c’è l’aspetto legale. In Italia non potrei fare il trapianto di testa. Ma altrove sì».
E dove?
«In Cina. Ad agosto sono stato invitato lì grazie all’intercessione del neurochirurgo Xiaoping Ren. La Harbin Medical University e il governo cinese si sono impegnati a fornirmi quello che mi occorre per gli esperimenti, e a ottobre sarò ad Harbin per organizzare la mia squadra. Xiaoping Ren è lo stesso scienziato che a luglio ha pubblicato uno studio dove mostra come si possa trapiantare la testa nei topi. Sono passati due anni dal mio annuncio della realizzabilità del trapianto di testa – con annessa richiesta “ho bisogno di un ospedale, ho bisogno di pazienti, ho bisogno di un comitato etico che approvi” – e siamo arrivati finalmente al dunque. Credo che nel 2017 ci proveremo».
Giuliano Aluffi