Notizie tratte da: Roberto Condio # Ho giocato in serie A (una volta sola). Le strabilianti storie dei calciatori-meteora del campionato italiano # Ultra Sport 2015 # 220 pp. # 16,00 €., 18 settembre 2015
Notizie tratte da: Roberto Condio, Ho giocato in serie A (una volta sola). Le strabilianti storie dei calciatori-meteora del campionato italiano, Ultra Sport 2015, 220 pp
Notizie tratte da: Roberto Condio, Ho giocato in serie A (una volta sola). Le strabilianti storie dei calciatori-meteora del campionato italiano, Ultra Sport 2015, 220 pp., 16,00 €.
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• «Continua a essere un gran bel traguardo, arrivare a mettere piede su un campo di serie A. Per le decine di migliaia di giovani aspiranti campioni di casa nostra, ma non solo. Non può andare bene a tutti. Ogni anno, però, c’è gente che riesce a esordire. Corona il sogno, cerca di farlo durare il più a lungo possibile. Non sempre, poi, ce la fa. Qualcuno, addirittura, sparisce subito dai radar del grande calcio. Una partita e via. Il tempo di toccare il cielo con un dito ed è già ora di rinfoderare le ambizioni. (…) Da quando la serie A è entrata nell’era moderna, con la vittoria che paga tre punti introdotta a partire dal 1994-1995, sono stati ben 307, 100 dei quali stranieri. Debutti senza seguito. Illusioni di brevissima durata. (…) Dei “nostri” 307 eroi per un giorno (spesso, soltanto per qualche secondo…), 22 li ha lanciati (si fa per dire) il Milan, 17 Inter, Parma e Udinese, 16 l’Atalanta, soltanto 7 la Juventus. In sei sono persino riusciti a fare gol, uno addirittura a prendersi un cartellino rosso. A 12 di loro quei pochi minuti sono bastati per vincere uno scudetto».
• Niccolò Galli (1983-2001), fiorentino: esordio in A come difensore del Bologna il 1° ottobre 2000 (Roma-Bologna 2-0). Aveva solo 17 anni quando Guidolin lo mise in campo, alla prima di campionato. «Entrato al posto di Tonetto dopo 83’, all’Olimpico contro la Roma di Totti e Batistuta, Niccolò non s’era fatto intimorire. Anzi: aveva persino sfiorato di testa il gol del 2-1. E a fine partita era corso proprio da Batigol a chiedergli la maglia, in ricordo di quella giornata speciale. Avrebbe dovuto essere la prima di una collezione di campioni-avversari. Quattro mesi dopo, invece, il destino si portò via speranze e sogni di una vita e di una carriera appena cominciate. Fu un tragico misto di fatalità e di negligenza altrui. Un caduta in curva sul motorino, rientrando dall’allenamento di Casteldebole, la scivolata sull’asfalto e l’impatto fatale sull’addome contro un tubo d’acciaio che non doveva essere così sporgente e così pericoloso. Vennero condannati in primo grado per omicidio colposo un funzionario della ditta che aveva in appalto la manutenzione della strada e due del Comune di Bologna. Tutti e tre furono poi assolti in appello per prescrizione».
• «Quattordici anni dopo, Niccolò Galli vive nel ricordo di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, nella Fondazione Onlus creata dai suoi genitori e nel torneo giovanile a lui intitolato. Nessuno ha più indossato nel Bologna il numero 27 che fu suo. Lo porta invece in suo onore Fabio Quagliarella, coetaneo, grande amico ed ex compagno nelle Under azzurrine».
• Alcuni calciatori, pur avendo giocato centinaia di partite in serie A, non hanno mai segnato una rete. «Come Franco Janich, un mito: capitano del Bologna tricolore nel 1964, azzurro. Per lui, 425 partite in serie A e zero gol. O, per arrivare ai giorni nostri, come Alessandro Agostini: 337 tentativi senza successo, anche se nell’ultimo campionato una rete in verità l’ha fatta, ma nella porta sbagliata…».
• Antonio Morello (1977), reggino di Palmi: esordio in A come centrocampista del Siena l’11 gennaio 2004 (Siena-Modena 4-0). «“Conservo quella maglia numero 19 e un ricordo incancellabile. Figuratevi: entrai all’81’ al posto di Flo, un norvegese, e segnai 11 secondi dopo, al primo pallone toccato”. Tutto ben registrato nella mente di Morello: “Lancio in area del Modena, Ventola mette in mezzo, io arrivo in corsa, mi tuffo avanti con il corpo e spingo il pallone dentro di testa. Diciamo, onestamente, che era difficile sbagliare…”. Eccolo, il 4-0 del Siena per cui Morello aveva già giocato e segnato in serie B nelle stagioni precedenti. Quella domenica indimenticabile, però, segna anche la fine della storia tra il centrocampista calabrese e il club toscano. “Ero già d’accordo con il Catanzaro, mantenni la promessa e la domenica dopo scesi di categoria. (…) Va bene così: a parte quel gol in A, nella mia carriera ho fatto tanto altro, tra B e C”».
• Roberto Putelli (1969), milanese: esordio in A come attaccante del Padova il 2 ottobre 1994 (Napoli-Padova 3-3). «Una sola presenza al top con un’espulsione al passivo. Impresa titanica, al limite dell’impossibile. Negli ultimi 21 anni, in effetti, è riuscita a un solo calciatore». Il giorno del debutto, «poco prima dell’intervallo, ancora sullo 0-0, una sequenza indimenticabile: “Fabio Cannavaro, sì proprio lui, il futuro capitano dell’Italia mondiale, mi ha dato una mezza gomitata, e io ho provato a divincolarmi. Ci stava l’ammonizione per entrambi, e invece Franceschini mi ha espulso, per poi dare fallo a nostro favore. Cannavaro, poi, mi ha chiesto scusa, e Taglialatela [il portiere avversario – ndr] è venuto a consolarmi. Il guaio, però, era fatto. Presi due giornate di squalifica, e così saltai la sfida successiva contro il Milan di Capello. Ci avrei tenuto molto a giocare: in rossonero avevo fatto dieci anni di settore giovanile”. Invece, scontata la pena, (…) Putelli saluta per sempre la serie A».
• «Un po’ fiera dei sogni, un po’ gita di piacere per una giovane comitiva. È una partita speciale quella che si gioca sabato 24 maggio 2003. Sul pullman del Milan in partenza per l’ultima giornata di campionato sale tutta o quasi la Primavera di Franco Baresi. (…) È la Champions League la causa di tutto. Perché per il Diavolo rossonero in quei giorni conta una cosa sola: l’eurofinale contro la Juventus in programma a Manchester mercoledì 28. In serie A il Milan è già sicuro del terzo posto. E inoltre ha appena stravinto la finale di andata della Coppa Italia in casa della Roma (4-1, con ritorno fissato per sabato 31 maggio a San Siro). Morale: il match di Piacenza, contro una rivale peraltro già retrocessa, è una gran seccatura. Per questo, Carlo Ancelotti lascia a casa tutti i titolari e convoca ben undici Primavera. Non si schiodano dalla panchina il portiere Brunelli, Dos Santos, Giordano e Nava ma debuttano in sette, un record. Giocano con pochi veterani: il portiere Fiori, Brocchi che segnerà addirittura una doppietta, Dalla Bona e poi gli stranieri Helveg, Laursen, Redondo e Ba. Matri diventerà poi un cliente fisso del campionato. Dal Bello non potrà farlo perché vittima di un tragico incidente un anno e mezzo dopo. Per Aubameyang, Bortolotto, Pastrello, Piccolo e Stefani, Piacenza sarà invece allo stesso tempo l’inizio e la fine dell’avventura al top, in una carriera spesa poi nelle serie minori. Quel Milan irripetibile perse 4-2 al Garilli, ma quattro notti dopo, a Old Trafford, il Milan vero si prese la Champions, la Coppa con le grandi orecchie, quella con la C maiuscola».
• Carlo Cudicini (1973), milanese: esordio in A come portiere della Lazio il 20 ottobre 1996 (Lazio-Cagliari 2-1). Nipote di Guglielmo e figlio di Fabio, anch’essi portieri. «Il 20 ottobre 1996 è il 61° compleanno di papà Fabio e all’Olimpico il figlio gli dedica la sua prima volta in A: contro il Cagliari parte ancora in panchina, ma dopo 4’ è già in campo perché Marchegiani si fa espellere per un fallo da ultimo uomo su Dario Silva. Carlo para bene ed è anche fortunato, perché ai sardi non viene concesso un gol che c’era. Fila tutto liscio fino all’87’, quando, uscendo per anticipare Bisoli, l’esordiente fa crack. Si rompe il legamento crociato del ginocchio destro ed è un guaio vero anche per la Lazio, che, avanti 2-1, ha già esaurito i cambi a disposizione. Protti e Gottardi si fanno avanti per sostituire il portiere che urla di dolore, ma Cudicini rifiuta. Resiste e porta in salvo la vittoria. “Questo è il mio carattere”, dice a fine partita. “Nei momenti difficili non mi tiro mai indietro: ho deciso di soffrire, non potevo abbandonare la squadra. Ma quegli ultimi minuti sono stati eterni: non passavano mai…”. È un gesto che conquista i tifosi laziali, ma non risparmia al suo autore un lungo stop».
• «Cudicini, però, è giovane e forte e riparte di nuovo. La B del piccolo Castel di Sangro lo proietta verso una dimensione diametralmente opposta, quasi inaspettata: nell’estate 1999 approda nella Premier inglese, nel Chelsea allenato da Gianluca Vialli. Comincia da riserva dello stagionato olandese De Goey e dal 2000, con Claudio Ranieri manager, diventa punto di forza di un team rampante. A Londra contribuisce a scrivere la storia dei Blues: in 10 anni gioca 142 partite e vince due campionati e sette coppe nazionali, meritando anche un titolo di miglior portiere della Premier. Lo vorrebbero persino in Nazionale, gli inglesi, che non si capacitano di quell’unica presenza in serie A e delle zero in azzurro».
• Andrea Signorini (1990), genovese: esordio in A come difensore del Genoa il 17 maggio 2009 (Genoa-Chievo 2-2). «Ruota tutto attorno a Genova e soprattutto al Genoa, la squadra di papà Gianluca, capitano-bandiera ai tempi di Bagnoli e del trionfo di Anfield, portato via dalla Sla, la “stronza” che ha sconfitto troppi calciatori. Andrea ha solo 12 anni quando resta senza il suo idolo, in campo e fuori. Gioca anche lui con il rossoblù addosso, da difensore centrale. E con il tempo somiglia sempre di più al genitore famoso: i capelli lunghi, la corsa, lo stile. (…) Comincia bene, in effetti. E quel meraviglioso maggio del 2009 sembra dargli ragione: vince da capitano la Coppa Italia Primavera e pochi giorni dopo arriva in serie A. Sono pochi istanti, dopo l’ingresso al 93’ al posto di Jankovic, ma è come se, 13 anni dopo, sulla stessa erba di Marassi stesse per cominciare qualcosa di grande per un altro Signorini. “Spero tanto di essere all’altezza”, dice pochi giorni dopo al “Corriere della Sera”. “Desidero lasciare almeno un decimo della traccia che qui ha lasciato il babbo: la gente ancora oggi si commuove quando mi parla di lui”. Non ne avrà l’occasione, però. Perché il Genoa che lo ha allevato e formato, subito dopo avergli fatto assaggiare la A, lo manda in prestito in Lega Pro (Alessandria e Benevento) per poi, nel giugno 2011, mollarlo definitivamente alle buste. Andrea ci resta male. (…) Ha ancora tempo davanti a sé: anche papà impiegò un po’ prima di diventare “il Capitano” da serie A».
• Massimiliano Ammendola (1990), napoletano di Massa di Somma: esordio in A come centrocampista del Napoli il 21 aprile 2012 (Napoli-Novara 2-0). Subito dopo il debutto nel suo San Paolo si svincolò dal Napoli, e, dopo alcune peripezie tra la Bulgaria e la Grecia, approdò in Paraguay. «Nell’estate 2013 firma per il Sol de America e diventa il primo italiano a giocare nella massima serie del Paese sudamericano che ebbe Cesare Maldini ct per il Mondiale 2002. “Lì mi chiamano El Tano, l’italiano”, dice. “Per loro è strano vederne uno all’opera: di solito il percorso è inverso. Lo ammetto: ero timoroso. Ma (…) i dubbi sono spariti appena ho messo piede ad Asuncion: gente aperta e simpatica come a Napoli, un club spettacolare. In più, alla seconda partita ho subito fatto un gol e un assist. Il mio modo di giocare piace e la vita lì costa poco. Ho trovato una dimensione inaspettata”». La scorsa estate, comunque, «è rientrato vicino a casa, nella Puteolana di D. Il sogno proibito, però, resta sempre quello di riabbracciare il suo Napoli».
• Alan Carlet (1977), grossetano: esordio in A come attaccante del Cagliari il 16 febbraio 1997 (Udinese-Cagliari 1-0). «Dice: “Nella vita è brutto essere nessuno”. E così, dopo aver lavorato fino ai 17 anni in una fabbrica di forcelle per biciclette nella periferia trevigiana, il bell’Alan dagli occhi azzurri qualcuno lo è diventato. Magari sognava di sfondare nel calcio, dopo aver debuttato ventenne in serie A, ma il pallone – accompagnato da esuberanza e faccia tosta – lo ha aiutato quantomeno a costruirsi una brillante esistenza da “non famoso famoso”. Nel senso che il grande pubblico non sa chi sia, ma nei luoghi-chiave della “dolce vita” tutti lo conoscono. Costa Smeralda, Saint Tropez e Milano Marittima, party glamour e amici vip, flirt con donne dello spettacolo. Lunghe notti vissute al fianco di campioni veri, pur avendo giocando un quarto d’ora scarso in serie A, con il Cagliari a Udine, entrando dopo 78’ al posto di Bressan. Il resto, in campo, è stata tanta serie C, con una puntata da dimenticare nella A bulgara nel 2009 con il Botev Plovdiv, e un fine corsa tra i dilettanti liguri. (…) “Sì, in campo avrei potuto fare di più. Ma me la sono goduta talmente fuori, che alla fine va bene così”».
• «Se la C1 è l’obitorio del calcio, la C2 è il cimitero» (Alan Carlet).
• Carlet però ha ancora un sogno, «che s’intona perfettamente al personaggio: “Morire a 45 anni, su una spiaggia dalla sabbia bianchissima e un sigaro cubano in mano. Dopo una notte di sesso selvaggio con una bellissima ventenne”. Con l’ultimo pensiero, magari, per l’unico titolo vinto da calciatore, quello di miglior fondoschiena della Reggiana 2005-2006 assegnato dalle tifose partecipanti al sondaggio indetto dalla locale “Gazzetta”».
• Daniele Chiarini (1979), aretino di Bibbiena: esordio in A come difensore della Fiorentina il 1° giugno 1997 (Sampdoria-Fiorentina 1-1). «Il battesimo della A, a soli 18 anni, è intrigante: appena una manciata di minuti (entra dopo 86’ al posto di Robbiati) ma gli tocca marcare Roberto Mancini. Flash incancellabile. La realtà italiana, però, è targata serie C, tra Arezzo, Montevarchi e Faenza. Il ragazzo punta a qualcosa di meglio, di diverso. Rifiuta proposte tedesche e accetta la Premier di Scozia. Due stagioni e 22 presenze tra Partick Thistle e Dundee United, colpendo per l’eleganza mostrata in campo e fuori. Chiarini gioca bene da difensore centrale e veste ancora meglio i suoi abiti griffati. Lassù, si lamenta solo della lingua: “Parlate troppo veloci, voi scozzesi”. A loro, peraltro, spiega in modo molto diretto il perché di quel rifiuto alla Germania: “Durante la guerra ha invaso il mio Paese: non voglio andare a giocare là”. E così, dopo l’avventura britannica, riecco l’Italia, accettando categorie inferiori: 7 partite in B con l’Arezzo e poi tanta C e D».
• Nicola Cingolani (1979), pesarese di Fano: esordio in A come centrocampista della Juventus il 1° giugno 1997 (Juventus-Lazio 2-2). «Sulla carta, passa due volte per un campione. D’Italia quando, a 18 anni, vive dall’80’ al posto di Ferrara gli ultimi minuti del campionato tricolore della Juve nella quale è cresciuto. Da costosissimo asso quando, nel 2000, il club bianconero lo cede al Milan in uno scambio alla pari con il rossonero Beretta: i due giovani poco più che carneadi sono “prezzati” 10 miliardi di lire ciascuno. Valutazioni gonfiatissime, non a caso finiranno nelle indagini per falso in bilancio sulla Triade juventina. Il bluff di Cingolani, peraltro, si scopre presto: spedito subito al Novara, il Milan lo richiama per darlo in prestito l’estate successiva all’Ascoli. Per quanto? Mille euro, ovvero due milioni di lire».
• Daniel Maa Boumsong (1987), camerunense di Ngambe: esordio in A come centrocampista dell’Inter il 7 maggio 2006 (Inter-Siena 1-1). Ultimo dei dieci figli di un muratore camerunense, «Daniel adora il calcio, ma papà prova a dissuaderlo “perché si è sempre a terra e c’è il rischio di farsi male”. Il ragazzino, però, non molla. Vuole inseguire il suo sogno e ha in testa un modello: Veron, l’argentino che gioca in Italia ed è un mostro a centrocampo. L’aspirante calciatore scrive quel cognome di cinque lettere un po’ dappertutto: quaderni, diari, zainetto, persino sul retro della prima maglia della squadretta del paese. Poi, a 17 anni ancora da compiere, arriva l’occasione da non perdere». Giunto con alcuni connazionali in Toscana per partecipare al Torneo di Viareggio, con l’amico Paul Ntep si cala nottetempo dalla finestra dell’hotel che li ospita, e insieme scappano in stazione alla volta di Torino, per chiedere aiuto alla locale comunità di connazionali. La fame e il freddo li fermano però a Vercelli, dove chiedono asilo in Questura, e «vengono affidati a una comunità di minori di Novara. Daniel, il più bravo col pallone, si mette subito in luce con lo Sparta, dove lo nota un osservatore dell’Inter. (…) E la favola si compie: con i debutti, uno in fila all’altro, in Coppa Italia contro il Parma, in Champions contro i Rangers, in serie A a San Siro contro il Siena, titolare fino al 63’, quando lo sostituisce Stankovic. “Ma il massimo”, assicura, “è stato potersi allenare con Veron. Era il mio desiderio più grande”. Daniel vince anche due scudetti. A tavolino con la prima squadra, nel nome di Calciopoli, e sul campo con la Primavera. È la coda del lieto fine. Il resto è una rapida discesa dalla B ai dilettanti, girando un po’ tutta l’Italia, da Rovigo a Noto, alla vana ricerca di un rilancio. Ripensando a quella notte in fuga, però, va anche bene così».
• David Abdallah Mbodj Natale (1994), senegalese di Dakar: esordio in A come difensore del Pescara il 19 maggio 2013 (Pescara-Fiorentina 1-5). «Partito sedicenne dal Senegal, David sognava di diventare un calciatore di serie A. (…) Al giovanissimo David era stato proposto un provino, nel gennaio 2010. Si giocava il futuro nel Grossetano; era comunque sicuro che non gli sarebbe andata peggio rispetto a quel che gli toccava a casa, dove tra una partita e l’altra per strada faceva ogni mestiere per aiutare la famiglia. Si sbagliava, invece. Perché, al terzo giorno italiano, di ritorno col treno dall’allenamento, non trova più nessuno ad aspettarlo in stazione. Non gli resta niente, a parte le poche cose nella borsa sportiva. Né soldi, né vestiti, né un letto per dormire». Giunto fortunosamente a Montesilvano in Abruzzo per chiedere aiuto alla locale comunità senegalese, s’imbatte per caso in Celestino Natale, «uno che da anni s’impegnava nel sociale e che aveva già dato una mano concreta a tanti stranieri. Con quel ragazzino, però, nasce subito qualcosa di speciale. Ne ottiene l’affido con decreto del Tribunale dei Minori di Pescara e, poco dopo, avvia le pratiche per l’adozione, completate nel giorno del 18° compleanno di David. Che, nel frattempo, in casa Natale è diventato Dedè».
• Nella storia di David «il calcio è sempre stato presente. Ha spinto David a lasciare l’Africa per l’Italia, lo ha illuso e deluso ma anche nei momenti peggiori ha continuato a essere la sua grande passione. E così, dopo aver affrontato e superato battaglie burocratiche che ostacolavano il tesseramento di un minore extracomunitario, il promettente difensore è riuscito a realizzare il suo sogno, nel Pescara. In ritiro con la B di Zeman nell’estate 2012, è arrivato in A alla fine della stagione successiva: è Mbodj Natale, adesso, e va in campo all’Adriatico nell’ultima di campionato, entrando all’84’ per Di Francesco. La sua vicenda romanzesca diventa di dominio pubblico, la sua carriera lo riporta ad allontanarsi da casa con l’Aprilia di Seconda Divisione. Dal luglio 2014, però, è di nuovo in Abruzzo, nel San Nicolò di serie D».
• Leonardo Pettinari (1986), pratese: esordio in A come centrocampista dell’Atalanta il 6 novembre 2011 (Atalanta-Cagliari 1-0). «Pettinari ha smesso di giocare a causa di seri problemi al cuore: cardiomiopatia aritmogena, la stessa patologia che causò la morte sul campo di Pescara di Piermario Morosini, un ragazzo dell’86 proprio come Leonardo. “Lui aveva fatto le giovanili nell’Atalanta, io nella Fiorentina”, ricorda alla “Gazzetta dello Sport”. “Da ragazzini siamo stati avversari. Quando se n’è andato, io già sapevo dei miei problemi”. Emersi pochi giorni dopo il trionfo in B con l’Atalanta, nel giugno 2011. “Mi sentivo inspiegabilmente stanco. Ho fatto dei controlli, ma poi la situazione si è normalizzata”. Così, è arrivato il debutto in A, entrando dopo 82’ al posto di Bonaventura contro il Cagliari. Ma subito dopo, in allenamento, ecco un attacco di tachicardia. E, qualche mese più tardi, all’inizio del prestito in B a Varese, altri tre episodi nel giro di una settimana. “Ero terrorizzato. La risonanza magnetica ha evidenziato il problema e mi è stata sospesa l’idoneità. È stata una mazzata, all’inizio. Ma il matrimonio, che stavo preparando, mi ha aiutato a reagire e a considerare i veri valori della vita. Nella sfortuna sono stato fortunato. Ho potuto intervenire in tempo, Morosini no. La sua morte ha costretto tutti a essere più rigorosi nei controlli”».
• Marcos André Batista “Vampeta” Santos (1974), brasiliano di Nazaré das Farinhas: esordio in A come centrocampista dell’Inter il 1° ottobre 2000 (Reggina-Inter 2-1). «Il bello è che il mitico Vampeta, simbolo massimo dei tanti acquisti sballati dall’Inter morattiana, è pure diventato campione del mondo. Giocando appena 18’ nel debutto contro la Turchia, ma tanto è bastato per far parte dei decorati del Brasile di Ronaldo e Rivaldo, vincitore nel 2002 in Asia. Ha giocato poco anche in nerazzurro, per la verità. Poco e male. Partecipando ad alcune delle sconfitte più pesanti di un 2000 da dimenticare. (…) Bilancio finale in nerazzurro: 8 presenze ufficiali e un gol, inutile, nel 3-4 della Supercoppa persa contro la Lazio. Un disastro, se si pensa che per averlo l’Inter aveva sborsato oltre 30 miliardi di lirette (circa 15 milioni di euro)».
• Di Vampeta, «in Italia, restano vaghi ricordi caricaturali, slegati dal pallone. Vampeta chi? Ah, quello che posò nudo per una rivista gay brasiliana. Vampeta cosa? Un po’ vampiro e un po’ capeta, che significa diavolo. Già, un vampiro che, dopo aver succhiato un bel po’ di soldi all’Inter (firmò un triennale da 4 miliardi netti a stagione) e aver vinto senza alcun merito il Mondiale 2002, torna lentamente ma inesorabilmente nell’ombra. Si ritira nel 2008, ricompare nel 2011: a 37 anni, allenatore-giocatore in un club della terza divisione paulista, per 450 euro al mese».
• Tabaré Viudez (1989), uruguaiano di Montevideo: esordio in A come difensore del Milan l’8 marzo 2009 (Milan-Atalanta 3-0). Il suo fu un debutto «così lampo da essere quasi umiliante. Quell’8 marzo 2009, festa della donna, a San Siro è anche il gran giorno di Pippo Inzaghi, autore di una tripletta. Viudez, invece, esce dal congelatore solo per arrossire di vergogna: entra a sette secondi dal 90’ al posto di Beckham e, visto il risultato ormai ampiamente deciso, l’arbitro Orsato fischia la fine della partita senza concedere recupero. Zero minuti e nemmeno una goccia di sudore per il giovane uruguagio, che quattro mesi dopo rescinderà il contratto con il Milan e nel novembre 2010 dovrà fare i conti con un altro infausto sette. Non più secondi in campo, bensì turni di squalifica: quelli subiti in Messico, con la maglia del Necaxa, per aver sputato su un avversario».
• Ruslan Karimovič Nigmatullin (1974), russo di Kazan: esordio in A come portiere del Verona il 17 febbraio 2002 (Verona-Inter 0-3). «È stato un buon portiere, uno dei migliori russi di sempre. (…) Nigmatullin è stato un pilastro dello Spartak e della Lokomotiv moscovite, oltreché della Nazionale dei Mondiali 2002. Miglior calciatore e sportivo russo del 2001, più volte protagonista nelle coppe europee, vive proprio in Italia il periodo più buio della sua prima carriera». Tornato in patria e abbandonata definitivamente la carriera nel novembre 2009, può finalmente coltivare «l’altra sua grande passione. Nasce così Dj Ruslan, talento poliedrico e indole da showman: un ricco contratto con la Warner Music Russia; dischi in classifica; raffiche di concerti, anche in Germania, Turchia e Stati Uniti. Gli manca ancora l’Italia: “Spero di arrivarci presto. Anche se quando sono venuto per giocare a calcio non ho avuto molta fortuna”».
• Antonio D’Agosti Pacheco (1976), uruguaiano di Montevideo: esordio in A come attaccante dell’Inter il 20 gennaio 2001 (Lazio-Inter 2-0). «Antonio atterra a Milano il 2 gennaio 2001 nel pieno di una bufera di neve. Il segnale non è dei migliori ma lui, forte dei 38 gol segnati in 98 partite giocate con i gialloneri pluricampioni d’Uruguay [i giocatori del Peñarol – ndr], fa spallucce e si presenta puntando al massimo: “Nulla è proibito, con me a destra e Recoba a sinistra”. La realtà dice ben altro. Per lui, con Tardelli allenatore, c’è soltanto il debutto in A all’Olimpico laziale (dentro all’82’ al posto di Jugovic) e quello in Coppa Uefa sul campo dell’Alaves spagnolo. Sono due sconfitte che marchiano l’avventura nerazzurra di Pacheco, costringendolo alla panchina fissa, alle spalle di Vieri, Sukur e Ferrante, oltre a quelle dell’amico Recoba. Gli andrà persino peggio nella stagione seguente, con Cuper al comando».
• Reinaldo Rosa dos Santos (1976), brasiliano di Belo Horizonte: esordio in A come attaccante del Verona l’8 settembre 1996 (Milan-Verona 4-1). «C’è stato un tempo, nel futebol brasiliano, in cui la domanda più gettonata era: “Chi è il più forte: Ronaldo o Reinaldo?”. Segnavano in continuazione, i due minorenni. Uno nel Cruzeiro e l’altro nell’Atletico Mineiro. Sembravano due fenomeni in miniatura. Con gli anni, poi, la maiuscola se la sarebbe presa di forza soltanto Ronaldo. “Ma io ero bravo come lui”, garantisce Reinaldo. “La differenza l’hanno fatta soltanto la sorte e la capacità del Cruzeiro a vendere meglio rispetto all’Atletico”. Beato lui che ci crede». Approdato in Italia, in seguito al deludente debutto al San Siro con il Verona torna in patria, e dopo alterne vicende (tra cui qualche problema con alcol e droga) «poco più che trentenne lascia il pallone per darsi alla sua grande passione: la musica. Diventa vocalist e percussionista dei Pagode do Rei, gruppo fondato proprio da lui, da Reinaldo Rosa, che un tempo, molto breve, è stato anche un “Rei” del gol».
• Walter Bressan (1981), trevigiano di Oderzo: esordio in A come portiere del Cesena il 31 maggio 2015 (Torino-Cesena 5-0). «Può capitare anche questo: sogni l’esordio in A per una vita e, quando finalmente arriva, si rivela un incubo. Che poi, per un portiere, significa prendere una valanga di gol. Cinque, per la precisione. E tre già nella prima mezzora. Eccola, a 34 anni e 4 mesi, la prima volta di Bressan. Il coronamento di un’onorevolissima carriera fatta di quattro stagioni in C e di nove in B che si trasforma in 90’ passati a raccogliere palloni in fondo al sacco perché il suo Cesena, già retrocesso da tempo, con la testa proprio non c’è più e perché contro si trova un Toro scatenato, voglioso di chiudere con una bella festa un altro brillante campionato con Ventura. (…) Una volta sola, per subire cinque gol senza grosse colpe specifiche. Anzi, evitandone almeno altri tre».
• Ettore Gandini (1969), varesino: esordio in A come portiere della Reggiana il 25 maggio 1997 (Fiorentina-Reggiana 3-0). «Dura la vita del portiere di riserva. Specialmente se davanti hai un Highlander come Marco Ballotta». Nella Reggiana 1996-1997 «c’è Gandini che scalpita. Ha fatto bene con Varese, Barletta e Crevalcore, ha ormai 28 anni e non gioca mai. La storia della sua frustrante attesa e del suo bizzarro debutto diventerà qualche anno dopo persino un capitolo di un libro inglese sul nostro calcio: Forza Italia. La racconta Paddy Agnew sotto il titolo Sette minuti in Serie A». Quando la salvezza per la squadra è ormai perduta, il dg Dal Cin decide di far giocare i ragazzini, sperando di riuscire a piazzarli. Così, durante la trasferta di Firenze, «sul 3-0, al 74’, l’allenatore reggiano Oddo lancia in A Casanova. E poco dopo si appresta a fare altrettanto con Camarotto, un altro baby. Per fortuna di Gandini, narra Agnew, seduto in panchina con il numero 16 c’è anche Nando Di Napoli, un ex nazionale, il senatore del gruppo. È lui a urlare a Oddo: “Eh no! Deve entrare Gandini!”. Messaggio ricevuto: fuori Ballotta, dentro l’eterna riserva. Dall’84’ al fischio finale del 91’. Sette minuti strappati con la forza della costanza, con l’aiuto di un amico. Poi, sette giorni dopo, un’altra panchina con Ballotta titolare. L’ultima in A prima di tornare a divertirsi di più tra serie C e dilettanti. Prima di lasciare la porta e il calcio e convertirsi a buche e green: Gandini oggi fa il maestro di golf».
• Matteo Rossi (1984), anconitano di Senigallia: esordio in A come difensore dell’Ancona il 16 maggio 2004 (Perugia-Ancona 1-0). «Nello sgangherato Ancona che affonda senza attenuanti nel 2003-2004 c’è spazio in extremis anche per il debutto di questo diciannovenne prodotto del vivaio. A Perugia, Rossi gioca dal 74’ al posto di un nome importante come Dino Baggio, arrivato a fine carriera. Promette bene, il ragazzo. E solo un brutto infortunio gli nega il passaggio ormai definito al Napoli. La botta è fatale perché, persa l’occasione, per lui ci sarà soltanto calcio minore marchigiano».
• Mamadou Tounkara (1996), spagnolo di Blanes: esordio in A come attaccante della Lazio il 18 maggio 2014 (Lazio-Bologna 1-0). Nonostante sia cresciuto nel prestigioso vivaio del Barcellona, a causa del suo temperamento «il senegalese nato in Catalogna e con il doppio passaporto non è stato capace di convincere il Barcellona a puntare forte su di lui. Due infortuni, ma soprattutto alcuni episodi di indisciplina hanno fatto cambiare idea: blindato il promettente ragazzino con una clausola rescissoria da 3 milioni di euro, a fine agosto 2012 il Barça ha lasciato scadere il contratto. E la Lazio non s’è fatta sfuggire l’occasione. (…) Il debutto in A arriva all’ultima occasione utile dello scorso campionato: entra dopo 81’, al posto del monumento Klose, e con lui in formazione arriva in extremis il gol decisivo, segnato su rigore da Biglia. Mamadou, tanto per far capire a tutti a chi s’ispira dentro e fuori campo, porta il numero 45: “L’ho scelto perché è quello di Balotelli”. Chissà se è un bene…».
• Alessio Pasquale Viola (1990), reggino di Oppido Mamertina: esordio in A come attaccante della Reggina il 31 maggio 2009 (Reggina-Palermo 1-1). «C’è un solo motivo per non tenere chiusa in archivio l’inutile partita contro il Palermo che mette fine per la Reggina a un campionato che la riporta in B. Sta tutto nella rarissima staffetta in famiglia che Orlandi propone sull’1-0 al 23’ della ripresa. Esce Nicolas Viola ed entra il fratello Alessio, che ha un anno di meno. Poi, in B, la coppia riuscirà anche a giocare insieme. Ma la A la rivedrà solo Nicolas, nel Palermo».
• Antonio Lagumina (1996), palermitano: esordio in A come attaccante del Palermo il 4 aprile 2015 (Palermo-Milan 1-2). Cannoniere della Primavera del Palermo, «“Nino” La Gumina arriva in A alla vigilia di Pasqua, sostituendo all’88’ Jajalo nel ko interno contro il Milan. È una soddisfazione doppia per un palermitano verace, originario di Carini. Poche ore dopo, la esprime su Instagram: “Esordio in serie A. Non ci credo”. Il suo stupore è comprensibile: da ragazzino, la sindrome di Osgood-Schlatter gli aveva bloccato la crescita e provocato molti guai fisici. Ha temuto di non potercela più fare e invece, trovata la cura, nell’ultima stagione con gli Allievi Nazionali ha guadagnato 18 centimetri in pochi mesi, arrivando a un metro e 82».
• Davide Petrachi (1986), leccese: esordio in A come portiere del Lecce il 25 marzo 2012 (Novara-Lecce 0-0). «A 18 anni vince la Supercoppa Primavera, contro la Juventus di Marchisio, Criscito e De Ceglie, parando rigori a Clemente, Luci e Bentivoglio. A 19 gli assegnano la Saracinesca d’oro come miglior portiere del settore giovanile. Sembra l’inizio di una luminosa carriera e invece Petrachi da Melendugno, salentino doc, farà sempre e solo tanta panchina nel suo Lecce. Con l’eccezione di una stagione in C2 da titolare a Melfi e di quell’unica volta da protagonista in serie A, nello scontro in coda di Novara, sostituendo benissimo l’infortunato Benassi dopo l’intervallo. Salva anche il pari nel finale, su Caracciolo, ma poi torna dietro le quinte».
• Stefano Pettinari (1992), romano: esordio in A come centrocampista della Roma il 20 marzo 2010 (Roma-Udinese 4-2). Figlio del politico Luciano Pettinari e autentico campioncino sin da adolescente, la Roma lo acquista nel 2006, inserendolo in prima squadra «già a 17 anni, con il debutto di Sofia in Europa League. Tre mesi dopo, da poco maggiorenne, scocca anche l’ora della serie A, giocando dall’87’ all’Olimpico contro l’Udinese al posto di Menez. Il gioiellino giallorosso è seguito da molte big inglesi, ma la Roma se lo tiene stretto e lo gira in prestito prima al Siena e poi al Crotone, dove in tre stagioni firma 17 gol e frequenta con regolarità le Nazionali giovanili. Varrebbe già la A, ma Garcia là davanti ha troppa gente brava, più esperta e più costosa. Pettinari, insomma, deve ancora aspettare. Come tanti altri giovani italiani».
• Paolo Rossi (1982), torinese: esordio in A come attaccante del Torino il 3 marzo 2002 (Perugia-Torino 2-0). «Nasce il giorno di Natale dell’anno in cui un altro Paolo Rossi diventa famosissimo in tutto il mondo. Anche lui farà il calciatore e pure l’attaccante, senza però nemmeno avvicinare le imprese del Pablito re del Mundial spagnolo. La sua A dura 8’ più recupero, dopo aver rimpiazzato Maspero a Perugia. L’Umbria, subito dopo, diventerà casa sua nelle tre stagioni di C2 al Gualdo. Segnerà 60 gol in 12 anni di professionismo abbastanza nomade: mica male. Ma con quel nome non poteva proprio fare di meno».