Emilio Cozzi, Il Sole 24 Ore 13/9/2015, 13 settembre 2015
VIDEOGIOCHI. SIMULARE I MIGRANTI –
È singolare nei giochi, peggio se digitali, in molti vedano germinare i mali del mondo. Eppure è il gioco a farci adulti. Nei giorni scorsi la Viljandi Culture Academy, in Estonia, ha pubblicato i risultati di Fountains, simulazione da tavolo pensata per verificare le dinamiche dell’integrazione razziale. Basata sul cosiddetto «modello di Berry», per cui la cultura di una comunità migrante e quella degli ospiti sono indipendenti e non estremi di un continuum, Fountains pone il dilemma di competere o collaborare nella gestione di risorse limitate. Scopo? Preservare le specificità della propria squadra pur fornendo all’avversaria l’accesso ai beni disponibili. Lo studio ha confermato l’efficacia di Fountains quale supporto educativo per classi di età differenti.
Non un’eccezione: ambientato durante una guerra non meglio precisata, This war of mine è un videogame strategico sviluppato dai polacchi 11 Bit Studios. Costringe nei panni di un gruppo di civili, di cui occorre gestire viveri e convivenza durante il conflitto. E smentisce non solo chi veda nel gaming «puro intrattenimento»; trasmette il terrore inerme delle vittime. Tanto da essersi fatto tramite, un paio di mesi fa, di una raccolta fondi per la War Child International.
Non così dissimile è Tell Me Who I’m, previsto per la ligure Artematica nel 2016. Declinazione interattiva del film omonimo di La Sarraz Pictures, consentirà di gestire un campo di accoglienza anche attraverso sequenze documentaristiche e testimonianze dei migranti. È un approccio nuovo alla sensibilizzazione.
Come Progetto Ustica, il serious game annunciato dalla bolognese IV Productions che con Mauro Salvador, dell’Università di Bologna, e l’Associazione Parenti delle Vittime punta a far rivivere gli ultimi 50 minuti del volo IH870 attraverso un visore virtuale.Non è così singolare il gioco sia frainteso. Successe a certa musica o al cinema. Se non per malafede, fu ignoranza.