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 2015  settembre 17 Giovedì calendario

L’ASCESA DI MR EXPO

[Giuseppe Sala.–] –
Come un latifondista che veglia sulle sue terre, ogni mattina alle 8,30 Giuseppe Sala monta in sella alla sua automobilina elettrica per il consueto giro di ricognizione. Il commissario unico di Expo imbocca il decumano, il vialone principale dell’esposizione, e comincia a guardarsi intorno: «Per prima cosa mi accerto che tutto sia pulito» informa. «Non voglio vedere nemmeno una carta per terra. Adesso intervengo di rado, ma ho passato i primi giorni gridando come un ossesso: pensavano fossi impazzito».
Alto, asciutto, capelli corvini. E foggia iperenziana: camicia bianca, cravatta sottile, abito slim. I giornali lo immortalano sorridente accanto a capi di Stato, rockstar e campioni dello sport. Sala, manager bocconiano, 57 anni, è l’«homo novus». Soprattutto da quando Matteo Renzi lo ha lanciato nell’agone politico come possibile sindaco di Milano: «A me Beppe piace moltissimo» ha spiegato sibillino il premier ai microfoni di una radio.
Alla guida della sua automobilina, Sala vaga tra i padiglioni di Rho. «Guarda quella a piedi nudi...» ride indicando una valchiria bionda che, senza scarpe, vaga attorno a Piazza Italia. Saluta i volontari fermi di fronte al padiglione dell’Olanda. Alcuni visitatori lo riconoscono: «Complimenti!» urla una capofamiglia che accompagna i pargoli in visita a Expo. Lui gongola. È indubbio che l’inatteso trionfo abbia cambiato gli orizzonti dell’algido uomo di conti e organizzazione. Ha fatto da padrone di casa a tutte le star che hanno calcato il decumano negli ultimi mesi. «La vanità è il peccato che preferisco» diceva Al Pacino nell’Avvocato del diavolo. E lui, seppur con il basso profilo della borgesia meneghina, pare esemplificare la battuta. Michelle Obama? «È una donna di un metro e ottanta piena di femminilità: un’americana davvero alla mano. Straordinaria...». Angela Merkel? «Mi ha sorpreso: dietro alla corazza da cancelliera c’è una donna semplice, con un amore per l’Italia sconsiderato. Abbiamo scoperto anche di passare le vacanze nello stesso posto: a Pontresina, vicino Sankt Moritz». Renzi? «Ha capito che questa poteva essere una vetrina eccezionale. All’Expo non ti fischiano. La gente è pacificata. Il presidente del Consiglio è già venuto spesso. Qui è un eroe: incontra gli altri premier, infonde ottimismo, respira positività». C’è dell’altro: Sala è la spalla perfetta. Parla benissimo l’inglese, a differenza di Renzi. E non gli toglie mai il proscenio. Per questo è l’uomo su cui ha scommesso per conquistare Milano: la città più moderna e meno renziana d’Italia.
La macchinina torna indietro e svolta verso l’anfiteatro: «Più tardi vado in Prefettura per il concerto dei The Kolors. Mi occupo pure di gestire la sicurezza attorno agli eventi» dice, esemplificando plasticamente il detto «faso tuto mì». È il momento giusto per entrare sul terreno politico: «Insomma, lei in definitiva è il sindaco di Expo. E dunque...». Pronta la risposta: «Non c’è dubbio, ma sappia che su quel tema non mi tira. Piuttosto, vuole il caffè?». «Certo». «Allora la porto nel padiglione della Colombia».
Davanti a un «suave» fumante, il commissario comincia però ad abbozzare il suo futuro. Riprende il tema, alla lontana: «L’Expo ha funzionato perché è un concentrato di stile italiano. Ma è anche un posto organizzato, pulito, efficiente, dove la gente sorride: tutto quello che spesso manca in Italia» Dunque? «Dovrebbe diventare un modello. Ecco, io vorrei dare una mano a fare questo: cambiare la comunicazione e il marketing del turismo e del made in Italy. Se riuscissi a fare qualcosa per il mio Paese, ne sarei felice».
La mente però corre subito ai carrozzoni pubblici, roboanti e inutili. Sala oggi è uno dei potenti d’Italia: ha pranzato con i grandi della terra, ha stretto accordi commerciali per miliardi di euro, ha conquistato grande popolarità. Un capitale che un ambizioso manager come lui non può disperdere: «Non voglio fare il sindaco di Milano. Sono un uomo solido, ma da cinque anni non mi fermo un attimo. A fine ottobre finisce Expo, resterò un paio di mesi per gestire il lavori. E poi cercerò di rifiatare. So che se mi candidassi avrei buone possibilità. Ma per ora non me la sento: giuro». E confessa pure l’avversità della moglie Dorothy, sposata in terze nozze: «Non abbiamo figli. Mi vede pochissimo: zero vacanze, sempre al lavoro. Lei è contrarissima».
Sala, insomma, nicchia. Oltretutto la strada potrebbe essere piena di trappole. Le primarie, intanto: mai si sottoporrebbe alla roulette democratica, sempre foriera di possibili inciampi. Anche perché tra i democratici meneghini, in maggioranza già contrari all’Expo, pochi apprezzerebbero la sua candidatura. In più c’è l’ostilità del sindaco, Giuliano Pisapia, e di quel che resta della rivoluzione arancione. Renzi però a Milano vuole vincere. E il commissario è il nome perfetto per frantumare la sinistra cittadina, la meno allineata d’Italia. Sala ha fama di manager duro e risoluto. L’uomo è garbato, sicuro di sé, abile nelle relazioni. Appassionato velista, da anni bordeggia tra politica e impresa. La sua carriera comincia in Pirelli e prosegue in Telecom, dove è braccio destro di Marco Tronchetti Provera, che nel 2001 diventa azionista di maggioranza: «Mi aveva nominato direttore generale per bilanciare il potere dell’amministratore delegato Riccardo Ruggiero» ricorda Sala mentre sorpassa il coreografico Albero della vita. «Tronchetti, però, non ebbe il coraggio di dare la spallata. E io venni sacrificato all’inizio del 2006, dopo 23 anni passati tra Pirelli e Telecom. Fu un brutto colpo: amareggiato, presi un periodo sabbatico». Nell’autunno del 2008 Sala viene avvicinato da Bruno Ermolli, vicino a Silvio Berlusconi e abile tessitore della politica milanese. «Mi propone di fare il direttore generale» rivela Sala. Berlusconi pensava che bisognasse dare una mano a Letizia Moratti, eletta sindaco a maggio 2006. «Gli dissi: “Perché no?”. Io mi sono sempre sentito di sinistra, una sinistra progressista certo, ma mi sembrò comunque un’occasione interessante».
Ottobre 2008. Sala è in barca con un amico dall’altra parte del mondo. Sul telefono satellitare riceve la telefonata della Moratti: «L’aspetto domani mattina: devo parlarle» gli intima. «Mi ci vorrà una settimana, vento permettendo» risponde Sala. Comincia così la sua seconda vita da manager pubblico. Viene nominato a gennaio 2009, ma un anno più tardi il rapporto con il sindaco è già logoro. Sala scalpita. Non è uomo abituato all’obbedienza. Fiuta l’occasione. La societa che dovrebbe organizzare l’Esposizione universale è allo sbando. E lui, che ha già seguito il dossier, trova ancora le sponda giusta. A giugno del 2010 viene nominato amministratore delegato di Expo 2015.Seguono anni difficili. In pochi credono al successo dell’evento milanese. Con Pisapia e Roberto Formigoni, ex goveratore della Lombardia, i rapporti mutano dal freddo all’ostile. Sala tiene dritto il timone. Enrico Letta lo nomina commissario unico del governo a maggio del 2013 per l’organizzazione dell’evento. Poi arriva Renzi. E un mese dopo Expo viene travolto dalle inchieste per corruzione: una serie di arresti decapitano i vertici della società. Spalleggiato dal premier, il manager milanese resiste all’ennesima buriana.
E adesso? Il commissario temporeggia. Dopo l’«endorsement» di Renzi, sperava che attorno al suo nome si potesse fare il primo esperimento di un immaginifico Partito della nazione. Una candidatura comune. Ne avrebbe parlato invano anche con Giovanni Toti, governatore della Liguria e consigliere di Berlusconi, e Roberto Maroni, presidente della Lombardia. Nonostante la stima reciproca, i due avrebbero declinato: un’eventuale vittoria di Sala a Milano rimarrebbe un trionfo di Renzi. E il centro destra, dopo il quinquennio di Pisapia, vuole riprendersi la città. Sono quasi le dieci del mattino. Il decumano è già affollato. Oggi si prevedono almeno 150 mila visitatori. Sala imbocca una via laterale per evitare la folla. Si guarda intorno un’altra volta, stringe le mani sul volante, dice: «Le mie idee su Milano, comunque vada, le dirò. Per esempio, trovo assurdo che il Comune possegga l’85 per cento della Sea: è una follia. La gestione aeroportuale non è il suo mestiere. Che senso ha? Le partecipate, a parte l’Atm, bisogna venderle tutte. Poi prendiamo i soldi e li usiamo per lo sviluppo della città e per dare aiuti alle famiglie».
Ma allora si candida o no? Sala, apparentemente, svicola ancora: «Anche Berlusconi è venuto a trovarci. Era sorpreso. Girava per i padiglioni entusiasta. Non smetteva di dire: “Che bello!”. Siamo stati a pranzo insieme». E che cosa vi siete detti? «Giura di non scriverlo?». Promesso. «Continuava a ripetermi: “Ma lei non è mica di sinistra”». Lo pensano in tanti, in effetti. «Prima di salutarci, ha pure aggiunto, ironicamente: “Se ci ripensa, mi chiami che la candidiamo noi”». Sicuro scherzasse? «Certo. E poi mica voglio fare il sindaco di Milano, io».