Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 13/9/2015, 13 settembre 2015
LA SPINTA CHE SERVE AL PIL
La revisione al rialzo delle stime di crescita per l’anno in corso e per il 2016, che il governo si appresta a inserire nella Nota di aggiornamento al Def, avrà effetti per ora limitati sul versante dei conti pubblici. In che misura? Nel caso in cui le nuove previsioni registrino un incremento all’interno di un range dello 0,2% (dallo 0,7 allo 0,9% nel 2015, e dall’1,4% nei dintorni dell’1,6% nel 2016), il deficit dell’anno in corso resterebbe sostanzialmente invariato (2,6% del Pil) anche perché pende ancora la soluzione (720 milioni) da individuare per far fronte alla bocciatura da parte di Bruxelles del meccanismo che estende il “reverse charge” alla grande distribuzione. Il beneficio potrebbe essere più visibile nel 2016 se sostenuto da un profilo di crescita più sostenuto, con il deficit attualmente all’1,8%, che potrebbe scendere nel profilo programmatico di qualche decimale, per poi riattestarsi a un livello superiore qualora la Commissione europea concedesse nuovi margini di flessibilità, attraverso la clausola sugli investimenti. Il nuovo target potrebbe a quel punto collocarsi attorno al 2,2% del Pil, mentre resta tuttora da definire l’ulteriore partita relativa al capitolo delle riforme. Il Governo ha già ottenuto in maggio l’attivazione della relativa clausola di flessibilità, con uno “sconto” sul fronte del deficit strutturale di 6,4 miliardi (l’impegno è a operare una riduzione dello 0,1%, contro lo 0,5% richiesto dalle regole europee). L’ulteriore margine da spuntare (appunto lo 0,1%) equivarrebbe a 1,6 miliardi a beneficio dei saldi della manovra d’autunno. Spazio teoricamente perseguibile, qualora si riuscisse a realizzare un nuovo pacchetto di riforme (in primis la riforma costituzionale), ma tutto da verificare nel corso della trattativa con Bruxelles.
In tale contesto, le valutazioni espresse ieri dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco paiono decisamente da condividere. La revisione al rialzo delle stime di crescita è già data per acquisita. Quel che conta a questo punto è “consolidare” la ripresa. «Occorre puntare a rendere strutturale questo fenomeno che è congiunturale adesso, con riforme importanti». Ecco allora la vera scommessa. Puntare nel 2016 a tassi di crescita più sostenuti (almeno nei dintorni dell’1,8%). A quel punto, l’effetto sui conti pubblici sarebbe ben più marcato e la discesa del debito avverrebbe pressoché “in automatico”. Al momento il quadro delle variabili da inserire nella prossima legge di stabilità vede 16,2 miliardi impegnati per disinnescare nel 2016 le clausole di salvaguardia (10 miliardi da spending review, 6 miliardi già contabilizzati grazie alla clausola sulle riforme) e almeno 9 miliardi (qualora la manovra lorda si attesti sui 25 miliardi) diretti a finanziare le altre misure in cantiere. Non è ipotizzabile coprire i tagli fiscali (5 miliardi) in deficit. Da qui la probabile ipotesi di ritagliare lo spazio all’interno della spending review, utilizzando parte della nuova, auspicata flessibilità europea per neutralizzare in parte le clausole di salvaguardia (l’aumento dell’Iva e delle accise).
L’impegno che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha ribadito nel suo colloquio di due giorni fa a Lussemburgo con il vice presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis è di realizzare una legge di stabilità in linea con le regole europee. Ne consegue che il deficit nominale dovrà comunque attestarsi nel 2016 a un valore visibilmente più basso rispetto al 2,6% atteso quest’anno. Se poi si riuscirà a ridurre ulteriormente l’intervento sul deficit strutturale, occorrerà comunque assicurare che tra il 2017 e il 2018 il percorso di avvicinamento al pareggio di bilancio non subirà ulteriori battute d’arresto. Il tutto, a fronte di un debito che dovrebbe cominciare la sua discesa dal 2016, per attestarsi al 130,9% del Pil dal picco del 132,5% previsto quest’anno. L’altra variabile decisiva è l’avanzo primario, indicato in crescita nel 2016 al 2,8% del Pil, contro l’1,7% del 2015. Si fa conto altresì sull’atteso risparmio sul versante degli interessi (tra i 4 e i 5 miliardi).