Notizie tratte da: Massimo Ferrero # Una vita al Massimo (Ed è il minimo che posso dirvi) # Rizzoli 2015 # scritto con Alessandro Alciato, pp. 210, 17 euro., 17 settembre 2015
Notizie tratte da: Massimo Ferrero, Una vita al Massimo (Ed è il minimo che posso dirvi), Rizzoli 2015, scritto con Alessandro Alciato, pp
Notizie tratte da: Massimo Ferrero, Una vita al Massimo (Ed è il minimo che posso dirvi), Rizzoli 2015, scritto con Alessandro Alciato, pp. 210, 17 euro.
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• Vanessa, Michela ed Emma, le tre figlie femmine di Massimo Ferrero.
• Massimo Ferrero, che indossa scarpe bicolore.
• Il 25 luglio del 2009, quando Massimo Ferrero incontrò Manuela. Si beccarono a un matrimonio, quello tra Luca Argentero e Myriam Catania.
• Rocco, «primo maschio della mia vita che pensavo che i maschi non li sapevo fa’» (Massimo Ferrero).
• Ferrero ha interpretato “Er grigione” nel film Ultrà di Ricky Tognazzi, un ultrà disperato che non poteva seguire la squadra in trasferta perché aveva un figlio in braccio.
• «Io, prima o poi, la città di Sampdoria la fondo» (Massimo Ferrero, presidente della Sampdoria).
• Massimo Ferrero, cresciuto a Testaccio, da una madre che lo lavava con il sapone di Marsiglia e oltre al pane e mortadella gli dava solo sganascioni tutti i giorni e lo faceva venire a prendere dai carabinieri per andare a scuola.
• La mamma di Massimo Ferrero, che si giocava tutto al Lotto. Puntava sempre sul 47 sulla ruota di Roma.
• Massimo Ferrero da ragazzino, negli anni Sessanta, scappava dalla sua casa di Testaccio per seguire il suo vicino Giuliano Gemma, che faceva l’acrobata a Cinecittà, ancora prima che l’attore.
• Quando Massimo Ferrero, da ragazzino, spiava le ragazze dei Parioli, che indossavano le gonnelline e le divise.
• Massimo Ferrero voleva fare l’attore, non gli piaceva andare a scuola. Gli piacevano Sean Connery, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Walter Chiari.
• Quando Massimo Ferrero usciva di nascosto di casa. Pigliava i calzoni, la maglietta e se ne andava. Si infilava le scarpe sul pianerottolo sennò sua mamma lo sentiva, si lavava il viso nella fontanella, correva sotto casa di Giuliano Gemma con altri tre o quattro ragazzini e fischiava. Sentivano la voce di Giuliano dall’alto che diceva: «Sono pronto amici miei, sto a scenne». Tutti insieme poi andavano a San Giovanni, da dove partivano i pullman per Cinecittà. Giuliano aveva il pass per lavorare e lo facevano passare, Massimo invece veniva trattato male. Non appena i controllori si voltavano, riusciva a imbucarsi sul pullman.
• Quando Massimo Ferrero si imbucava a Cinecittà, per fare la comparsa, prima passava dalla sartoria, dove si travestiva, poi al trucco, da dove si usciva con un biglietto che dava diritto a prendere la paghetta oltre al cestino con dentro dell’acqua e la pagnottella con la mortadella.
• Una volta Massimo comprò le sigarette a Franco Franchi.
• Quella volta che il regista Blasetti lo scelse e lo fece passare davanti a quattrocento ragazzini, tutti belli, eleganti, raccomandati e ben vestiti. Nel provino bisognava fischiettare la canzone del Ponte sul fiume Kwai.
• Massimo era l’idolo delle ragazzine. Andava al Bar Veneto di via Ostiense, si dirigeva verso il juke-box appoggiato al muro, sceglieva la canzone e si scatenava, così chi lo vedeva gli lasciava degli spiccioli oppure lo portava con sé nelle varie discoteche.
• Quella volta che Massimo ballò con una certa Elena. Aveva il culone ed era alta, e quando ballavano insieme lui le metteva le mani sulle chiappe e partiva Il ballo del mattone.
• Massimo Ferrero, che andava forte col tip tap.
• A casa Ferrero, ogni 27 del mese quando il padre prendeva lo stipendio, si faceva festa, erano pronte le fettuccine all’uovo, preparate in casa, e il pollo. A turno i figli dovevano scendere alla pasticceria Cristiani, comprare le pastarelle e ritornare in tempo per mangiare le fettuccine. Massimo non solo faceva tardi, ma infilava i soldi per le pastarelle nel juke-box.
• Massimo, che per racimolare soldi, faceva lavorare i suoi amichetti. Vicino a casa c’erano i Mercati Generali, dove la sera arrivavano i vagoni dei treni pieni di arance e i proprietari dei banchi cercavano gente che le scaricasse. Massimo, che ragionava già da imprenditore, prendeva l’appalto, controllava senza faticare e mandava i suoi dipendenti-bambini a fare il lavoro. Il padrone della baracca come pagamento lasciava loro qualche cassa di frutta, che poi i ragazzini andavano a rivendere al Testaccio.
• Massimo teneva solo qualche moneta per sé e correva all’Ente Comunale di Consumo, un grande negozio dove vendevano al cinquanta per cento le stoffe di gabardine certificate dal Comune. Ne sceglieva un metro per farsi confezionare dei vestiti, di solito pantaloni a campana e giacchetta verde, poi usciva per vedere il colore alla luce del sole e scappava, perché ogni volta chiedeva alla commessa di pagare un po’ a settimana e lei si arrabbiava. La volta dopo si ripresentava, pagava la stoffa precedente e riscappava con quella nuova.
• Quando Massimo Ferrero si innamorò di Rita, una brava ragazza di buona famiglia che abitava in viale Marconi. Per darle un bacetto doveva aspettare il pomeriggio, quando lei scendeva a comprare le rosette. Lei gli lanciava bigliettini d’amore dalla finestra, fino a quando non se ne accorse il padre.
• Massimo e Rita, per non farsi beccare dal padre di lei, si davano appuntamento sul terrazzo del palazzo. Visto che il portiere era uno spione, Massimo s’accucciava per terra per superare la guardiola dentro l’androne, poi correva, attraversava il cortile e raggiungeva le terrazze del settimo piano, dove le signore stendevano i panni. Qui i due ragazzi si nascondevano tra le lenzuola e si baciavano. Una volta ruppero tutti i fili e i panni finirono addosso alla moglie del portiere.
• Quella volta che Massimo Ferrero, a quattordici anni, fu arrestato e finì per sei mesi nel carcere minorile di Porta Portese. Ce lo aveva mandato il padre della sua fidanzatina Rita, che faceva il vigile urbano. Si era arrabbiato perché Massimo, in un tentativo di fuga a bordo della sua motoretta, gli era passato vicino facendogli volare il cappello con uno scappellotto. Il vigile urbano lo aveva acchiappato e denunciato per oltraggio.
• Massimo, in carcere, poteva fare la doccia una volta alla settimana.
• Quand’era in carcere Massimo litigò con un ragazzo, Er Tigre. La prima volta lui gli diede una testata, ma prese il muro. La seconda, gli lanciò addosso una palla di dieci chili fatta di stracci e bagnata di acqua e piscio. Massimo si spostò e anche stavolta la palla prese il muro. Er Tigre si arrabbiò, si avvicinò e lo colpì con
una testata, mandandolo in infermeria.
• Massimo, che in carcere faceva la pipì nel buiolo, sostanzialmente un grande secchio buono per tutte le occasioni.
• Mentre era in carcere, Massimo prese la quinta elementare. Studiava per quindici minuti al giorno con un maestro, a cui mancavano i capelli al centro della testa, aveva la chierica e sembrava un ricovero vagante per uccelli. E infatti i ragazzi lo chiamavano “Nido de rondine” e gli cantavamo la canzoncina, spesso in coro: «Hanno ammazzato il nido di una rondine / t’hanno cagato sulla testa / lalalllaaalllaaaaa».
• Massimo Ferrero, all’epoca del riformatorio detto Er Gatto di Testaccio.
• In carcere Massimo imparò a fumare. Le sigarette gliele portava sua madre Anita quando andava a trovarlo, una stecca di Marlboro morbide, prese di contrabbando dallo zio.
• I fratelli di Massimo: Virgilio, che non ha mai fatto niente ma ha le mani d’oro perché sa aggiustare tutto; Vittorio, il più grande, che brontola sempre. Viveva con una zia che aveva sposato un generale dei carabinieri; Riccardo, il più piccolo, che non fa niente tutto il giorno.
• La mamma di Massimo, per far stare bene i figli, comprava l’oro a buffo, cioè facendo debito. Per una cosa del valore di ventimila lire lei in realtà ne spendeva quarantamila. Pagava mille lire al mese per quaranta mesi, acquistava l’oro, correva al Monte di Pietà, lo impegnava, prendeva i soldi e portava tutti a mangiare ai Castelli.
• Guglielmo Ferrero, il papà di Massimo. Era controllore sugli autobus del servizio pubblico. La domenica Massimo andava con lui. Arrivato al capolinea raccoglieva i biglietti che la gente buttava via e poi li rivendeva come fossero nuovi. È durata finché il padre non se n’è accorto.
• Il padre di Massimo era un grande appassionato di francobolli e non diede mai uno schiaffo ai suoi figli. Quando la televisione trasmetteva Rischiatutto si sedeva su una sedia, Mike Bongiorno poneva le domande al concorrente di turno e lui non ne sbagliava una.
• Quando il padre di Massimo morì, a novantaquattro anni, gli lasciò una moneta di carta da mille lire, due monete da cento e un portafoglio di pelle.
• Il bagno di casa Ferrero era fuori, sul ballatoio, quindi per il freddo Massimo si lavava a pezzi. A volte non voleva farlo, ma la madre lo buttava dentro una bacinella gigante e lo obbligava a uscirne pulito e profumato.
• Massimo, che a scuola scappava dalla finestra. La madre si arrabbiò e lo mandò a lavorare da un barista di Brescia. Ma durò poco, perché il barista parlava in dialetto e lui non lo capiva.
• «Mi ha salvato il cinema. Il cinema, non la musica. Quella l’ho lasciata a Claudio Baglioni, che qualche anno dopo ha iniziato a provarci con Rita. Ma si è beccato un asso de bastoni, un no grosso come una casa. Quella sua maglietta fina, tanto stretta al punto che si immaginava tutto. E infatti ha continuato a immaginare» (Massimo Ferrero).
• Scontata la pena in carcere, Massimo fu portato in Questura, per le ultime formalità. Qui avrebbe dovuto incontrare la sua famiglia, ma non si presentò nessuno: mamma e i suoi fratelli si vergognavano, papà era a casa malato.
• Uscito dal riformatorio, Massimo iniziò a lavorare da Giorgetto, un macellaio al Testaccio, cattivissimo. Gli tirava addosso le ossa delle bestie e lo chiudeva dentro al frigorifero perché non doveva fare pause. Lì imparò a selezionare i vari tipi di carne, quattro o cinque ore al gelo, e poi partiva per le consegne, da fare a piedi o in bicicletta.
• Dopo Giorgetto, Massimo cambiò macellaio. Ne scelse uno dentro al ghetto degli ebrei. Loro per la consegna gli davano il motorino e lo pagavano con un po’ di soldi e qualche pezzo di carne.
• Dopo essere stato macellaio, Massimo diventò benzinaio all’Agip di piazza della Radio, il proprietario si chiamava Italo. Era di Anagni. La stazione di servizio apriva alle cinque del mattino, quindi Massimo arrivava a piedi alle quattro. Aveva sedici anni. Era il 1967, la benzina costava centocinquanta lire al litro.
• Quando fu licenziato, Massimo continuò ad andare lo stesso a lavorare. Mentre Italo dormiva nella cabina, lo chiudeva dentro e continuava a servire le macchine, quando la stazione doveva essere in realtà chiusa. Italo batteva sui vetri, lui apriva la porta e scappava con i soldi con i quali gli automobilisti avevano pagato il pieno di benzina.
• Dopo il benzinaio, Massimo provò a fare il barista. A via del Porto Fluviale c’era la Capitaneria e lì trovò un altro business. Vedeva che arrivavano sempre marinai e donne e allora comprava dieci caffè a debito, li buttava dentro un thermos grande, ci aggiungeva due litri di acqua calda e andava a rivenderli a dieci lire l’uno. Poi ci aggiunse pure i cornetti.
• Quella volta che Massimo si presentò sul set di un film con Liz Taylor, girato all’aeroporto. Le andò vicino, lei iniziò a parlargli in inglese e lui non capì niente.
• Conversazione tra Liz Taylor e Massimo Ferrero:
«What’s your name?»
«Yes, yes, ok...»
«What are you doing?»
«Yes, yes...»
«What do you want?»
«Yes, yes, bella de Massimo».
• Grazie alla chiacchierata con Liz Taylor, Massimo si fece trenta giorni di riprese pagate. Era un ruolo piccolissimo, quello di un viaggiatore, ma le persone che contavano pensarono che fosse amico dell’attrice e gli diedero la parte.
• Massimo Ferrero, che si faceva fare vestiti di tweed.
• Dopo una piccola parte in un film di Dino Risi, Massimo per un po’ di tempo non fu più chiamato da nessuno. Allora iniziò a giocare a carte nei circoli. Giocava per gli altri, che lo affittavano, e vinceva sempre. Aveva smesso di fumare e non beveva. Finita una partita andava in bagno, si lavava la faccia, dormiva in piedi per dieci minuti ed era pronto per un’altra partita.
• Delle volte Massimo andava al Safa Palatino, dietro al Colosseo, a mangiare le polpette. C’era un’anziana che cucinava benissimo, ma non voleva farlo entrare. Allora quando arrivava Alberto Sordi, lui lo prendeva sotto braccio vicino all’ingresso e gli diceva: «Allora Albe’, come va?», lui si girava e gli rispondeva: «E tu chi sei?». Intanto era dentro al ristorante, si metteva a sedere in un angolo e la vecchia gli rifaceva la stessa domanda: «E tu chi sei?». Risposta: «E che ne so, c’ho fame», e così rimediava una o due polpette.
• Quella volta che Massimo parcheggiò la sua vespetta modificata dove stavano girando la scena di un film con Gianni Morandi, Faccia da schiaffi, a Campo de’ Fiori. Per convincerlo ad andare via arrivò Morandi con il suo segretario, Romano Di Casimiro, e gli diede il suo giubbotto di renna e cinquantamila lire.
• Massimo Ferrero, che per un periodo fu l’autista senza patente di Gianni Morandi, ma lui questo non lo sapeva. Quando la polizia lo fermava, se la cavava regalando una fotografia autografata di Gianni.
• «Il consiglio che dà il grande piccolo Massimo Ferrero è: vola basso e schiva il sasso. Tradotto: i cazzi tuoi non li raccontare mai a nessuno» (Massimo Ferrero).
• Quando Massimo conobbe Paola. La vedeva passare sul Ponte Tiburtino, all’epoca in cui andavano di moda le minigonne e le scarpe con la zeppa. Faceva la commessa in un negozio di abbigliamento. Uscirono insieme cinque o sei volte, poi si persero di vista. Si incontrarono di nuovo per caso qualche tempo dopo, lei faceva sempre la commessa, ma stavolta in un negozio di giocattoli in via del Corso.
• L’idea di Massimo per conquistare Paola: a Santa Maria in Trastevere c’era un ristorante famoso, il Sabatini, dove arrivavano i signori ricchi con le macchine importanti, Ferrari, Maserati, Jaguar. Massimo si accordò con il cameriere e si finse parcheggiatore. Una volta arrivò una coppia di ragazzi con un’Alfa Gt 1300 Junior nuova. Lui la prese e andò da Paola. La portò al Fontanone del Gianicolo, dove si scambiarono il primo bacio. Poi, però, fu costretto a lasciarla lì e tornare, giusto in tempo per ridare la macchina ai ragazzi che uscivano dal ristorante. Andò a riprenderla con una Lamborghini, quella di Little Tony.
• Una volta Paola portò Massimo a cena dai suoi genitori, ma scoppiò un casino perché lui disse al padre che faceva l’orefice e alla madre il fioraio. Mentre andava via, Massimo sentì Paola litigare con la madre e dirle che era incinta. All’epoca lei aveva sedici anni, lui diciotto.
• Visto che era incinta, Massimo decise di sposare Paola. Il giorno del matrimonio arrivò con tre ore di ritardo, perché sua madre aveva scoperto che Paola era marchigiana e voleva far saltare le nozze: «Massimi’, semo romani da sette generazioni. Questo matrimonio non s’ha da fare. È marchigiana. Marchigiana, hai capito? Te devi sposa’ con una de Roma, quella è ’na burina. Lo sai come si dice, meglio un morto dentro casa che un marchigiano fuori la porta». Alla fine si sposarono, gli invitati erano duecento. Mangiarono ai Castelli Romani.
• Per trovare lavoro, Massimo guardava gli indirizzi delle varie produzioni cinematografiche sulle Pagine Gialle e andava negli uffici a vedere se lo prendevano. Una volta scoprì che Gianni Morandi stava portando in tournée uno spettacolo, Jacopone da Todi. Così andò sotto casa di Romano Di Casimiro alla Garbatella a fare la posta, lo incontrò e lo convinse a prenderlo con loro: nello spettacolo faceva il corista e cantava una canzone. Siccome l’albergo era a sue spese, Romano lo faceva dormire in camera sua.
• Quando nacque la figlia Vanessa, Massimo capì che doveva trovarsi per forza un lavoro. Così iniziò ad alzarsi alle quattro del mattino per andare ai Mercati Generali e vedere se qualcuno gli poteva dare qualcosa da fare. Alla fine riusciva solo a rimediare due mele ammaccate e qualche arancia.
• Una volta Massimo incontrò Nicola, un amico di sua madre, che gli offrì un lavoro. Aveva un piccolo cantiere e stavano facendo un appartamento a Borgata Ottavia. Resistette per cinque giorni, fino a quando lanciò un secchio di calce addosso a un operaio che lo prendeva in giro e gli ruttava in faccia. Massimo fu denunciato, lo portarono a Regina Coeli ma uscì dopo due giorni, perché avevano considerato la questione come una specie di legittima difesa.
• La storia nel cinema di Massimo Ferrero iniziò come aiuto segretario di produzione di Agostino Pane, prendeva centoventimila lire a settimana. In quel periodo, gli diedero un nuovo soprannome, “Viperetta”. Glielo affibbiarono una volta che, un pomeriggio, un costumista lo fermò chiedendogli se voleva fare un film con Pasolini e mentre gli faceva la domanda gli piazzò una mano sul sedere. Massimo si arrabbiò e cominciò a menarlo. Più lo menava e più lui sembrava godere e gli diceva: «Bravo, sì, dai, mena. Dammene ancora. Vipera... Oh sì, sei una vipera...».
• Nella sua carriera Massimo Ferrero si è occupato direttamente di centoquaranta film: venti da segretario, venti da ispettore, quaranta da organizzatore e il resto da produttore, cioè investendo direttamente.
• Una volta Massimo fece un sopralluogo a Manziana, nel Lazio, per girare il finale di un film con una ragazza che correva in un campo tutto raso. Tra il sopralluogo e il giorno in cui avrebbero dovuto fare le riprese, però, passò un mese. Quindi, quando tornarono, il campo era pieno di girasoli. Con un’escavatrice, Massimo iniziò a tagliarli e mentre stava per finire arrivò il contadino proprietario del terreno con un fucile in mano minacciando di sparargli. Se la cavò con un rotolo di soldi, glielo fece vedere e poi alla fine non glielo diede.
• Massimo e Paola, dopo due figlie, Vanessa e Michela, e quindici anni di matrimonio, si lasciarono.
• Massimo, che ha la fobia dei rettili, serpenti, bisce e simili.
• Così Tinto Brass fa i provini: per poter ammirare la bellezza del fondoschiena femminile e di quello che ci sta davanti, fa il gioco della monetina. Quando sua moglie convoca le attrici, fa togliere loro le mutande e le porta davanti a Tinto. Lui sta seduto a un tavolo e tira una moneta da un euro per terra, chiedendo di raccoglierla. Fu in questo modo che scelse Claudia Koll per il film Così fan tutte.
• Quella volta che all’Avana Ferrero incontrò Fidel Castro. Faceva parte di una delegazione del Vaticano, si andava a inaugurare un convento che Castro aveva regalato a madre Tekla Famiglietti, la badessa generale dell’ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida.
• Ferrero a un certo punto ottenne una parte nel film Satyricon di Federico Fellini. Lo prese per i suoi occhi da sbirulino: «Li hai di fuoco e pieni d’amore», gli diceva. Mentre stava andando da un certo Rocchetti Carbone, dietro a Campo de’ Fiori, per farsi fare una parrucca su misura, Massimo si trovò nel mezzo di una manifestazione. Tre agenti iniziarono a dargli botte. Lo avevano scambiato per un altro. Lo presero, lo portarono nella caserma dei carabinieri e lo trattennero per qualche ora, facendogli saltare la parte in Satyricon.
• «Non sono così narciso da dire me stesso, ma se mi chiede chi avrei voluto essere le rispondo nessuno. Se poi parliamo di ammirazione, da buon autodidatta ho studiato a lungo John Fitzgerald Kennedy, Jfk, un grande uomo che ha fatto molto per gli Stati Uniti, dunque per il mondo. Ha avuto il coraggio di fare scelte che ha pagato con la vita, per me ha incarnato il fascino di quel mondo che mi raccontava mio padre, gli americani a Roma che portavano cioccolata e sigarette ed erano visti come semieroi. Sono sempre stati avanti, gli americani: noi italiani saremmo i migliori, migliori anche di loro, ma purtroppo, qualunque cosa facciamo, non ne abbiamo mai abbastanza voglia» (Massimo Ferrero ad Andrea Elefante della Gazzetta dello Sport, in un’intervista pubblicata il 25 aprile 2015).
• «Io c’ho voglia. C’ho tanta voglia, più di quella di Tinto Brass. Perché lo diceva mio padre, ma a pensarci bene lo insegna anche Tinto: nella vita il culo conta» (Massimo Ferrero).
• Quando il nonno di Massimo morì, gli lasciò in eredità quattordici appartamenti da vendere e un palazzo da pagare. Dopo aver venduto due appartamenti per tre milioni, Ferrero si presentò in banca, alla Bnl di via Veneto dov’era finita a lavorare una persona che conosceva, ipotecò gli altri dodici appartamenti che gli restavano e accese un mutuo. In questo modo ottenne gli altri tre milioni e mezzo di lire che gli servivano per pagare il palazzo che avevano venduto al nonno.
• Per onorare la memoria del nonno, Ferrero decise di prendere altri quattro palazzi che lui da vivo avrebbe voluto acquistare. Si informò e ne comprò solo uno, quello che era rimasto. Nel frattempo, un altro imprenditore vide che gli appartamenti di questo secondo palazzo erano piccoli e di due ne fece uno, bellissimo, con un terrazzo enorme anche se la vista era su un quartiere popolare. Dato che era venuto bene, decise di comprarsi tutto lo stabile. In questo modo Massimo riuscì a togliere l’ipoteca dalle case del primo palazzo e a pagare tutti i debiti.
• «Il mio motto è diventato questo: compra, vendi, guadagna e pentiti» (Massimo Ferrero).
• Con i soldi che gli erano rimasti, Ferrero si comprò una Bmw, una 323 MG nera, che pagò a rate.
• La storia di come Massimo Ferrero si comprò la Sampdoria: «Ero appena tornato da Los Angeles, volevo andare a vedere la Roma allo stadio, ma ero troppo stanco, sono arrivato a casa, ho acceso la televisione e mi sono abbioccato sul divano. La tv era sintonizzata chissà perché su Sampdoria-Udinese, io mi ricordo undici leoni affamati. Mi ricordo anche che vinceva la Sampdoria 3-2, e poi il grande Di Natale ha segnato il 3-3 e li ha fatti rimanere tutti male. (…) Credo di essermi addormentato, e invece di aver visto un campo di grano, ho sognato un pallone profano, come diceva Battisti. (…) Il giorno dopo quella partita sono andato ad Ansedonia, al mare dove tutti gli anni affitto una villa. Lì è nato il mio grande erede, Rocco. Rocco mio. Quando mi sono piazzato in spiaggia avevano tutti in mano un giornale sportivo, si parlava prima di avvocati, poi del pattìno, alla fine sempre di calcio. All’improvviso, si è avvicinato un signore che mi ha detto: “A proposito di pallone, lo sa che la Sampdoria è in vendita? Ce la vedo a fare il presidente, lei che è artista fra la gente”. Risposta mia: “Ma lei cosa c’entra con la Sampdoria?”. Risposta sua: “Sono amico dell’avvocato De Martino”».
• Qualche tempo dopo quella giornata al mare, Ferrero telefonò a un amico suo, l’avvocato Antonio Romei, per invitarlo alla prima di un film. Andò da lui e lo trovò con le lacrime agli occhi diretto a Genova, al funerale di Riccardo Garrone, il presidente della Sampdoria.
• «Tutti i segnali, le strade e le autostrade mi portavano ormai nella città di Sampdoria. Ho collegato tutte queste cose: che Cassano aveva risposto male a Garrone, che Garrone era un uomo meraviglioso, di grande classe, pieno di energia e di eleganza sopraffina. Era morto, e ho provato anch’io un senso di dolore. Mi è dispiaciuto molto. (…) Ovunque mi girassi, c’era la Sampdoria. Ovunque andassi, c’era la Sampdoria, che mi veniva da cantare E penso a te di Lucio Battisti, modificata a modo mio. “Io lavoro, e penso alla Sampdoria / Vedo Romei, e penso alla Sampdoria / Vado in spiaggia ad Ansedonia e penso alla Sampdoria / Nanananannana”» (Massimo Ferrero).
• Ferrero, che quando usciva tutte le mattine metteva venti euro in tasca e ne dava due a testa a tutti i vu’ cumpra’ che incontrava fra casa e l’Adriano. Una volta, gli chiese l’elemosina uno senza gambe, che stava sul ponte. Ferrero capì che era un truffatore, le gambe le aveva, ma nascoste. Allora lo fece alzare e lo portò a mangiare con lui. Quella stessa mattina, oltre al finto zoppo, portò con sé anche altri mendicanti, tutti a fare colazione da Ruschena.
• L’incontro tra Massimo ed Edoardo Garrone: « L’ufficio di Edoardo era megagalattico, con vista sulla città di Sampdoria. Davanti a quella persona fantastica mi sono quasi intimorito. Era molto serio. Mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto una cosa, una sola, precisa, diretta: “Ferrero, mi dà un motivo valido per cui vuole la mia Sampdoria?”. Proprio in quel momento, ho rivisto la mia vita scorrere davanti agli occhi. Quella che ho raccontato in questo libro e poi tutto il resto, le cose belle e quelle brutte, perché non mi sono dimenticato del resto, né della mia principessina romanista, Emma, la mia terza meravigliosa figlia. Non mi sono dimenticato degli altri due campioni, che me li sono trovati già belli e fatti: Fabrizio e Riccardo. E in tutto ciò è nato l’omo della mia vita, mio figlio Rocco: l’ho fatto con la donna della mia vita, Manuela, che se chiudo gli occhi penso solo a lei, e se li riapro vedo solo lei, e se c’è lei sono contento, e se non c’è sono triste e allora prendo il telefono e la chiamo, e se trovo occupato parlo da solo, perché proprio senza di lei non ci so stare».