Luca Sorba, La Lettura – Corriere della Sera 13/9/2015, 13 settembre 2015
LA RIVINCITA DEL MONDO PIATTO
La rivista «Nature», in un articolo dello scorso giugno spiritosamente intitolato 2D or not 2D , stima che possano esistere circa 500 materiali bidimensionali, contando — oltre al grafene e ai materiali composti da un solo elemento, come silicene, fosforene, germanene — anche altre tipologie come i singoli strati di ossidi metallici e di cristalli detti «dicalcogenoidi di metalli di transizione». Potremmo definirla la «rivincita di Flatlandia», nel senso che gli scienziati si stanno chiedendo ormai già da un secolo come mai il mondo che conosciamo abbia tre dimensioni e che cosa succederebbe se ne «togliessimo» una, un po’ come si narra nel racconto fantastico scritto da Edwin Abbott nel XIX secolo, Flatlandia , in cui un «mondo piatto» entra in contatto con un essere in tre dimensioni (3D). Dopo tanti anni di grande successo, sia tra gli studenti e gli studiosi affascinati dal curioso approccio a una problematica di fisica così importante, sia tra i critici e i «semplici» lettori che hanno invece visto nel racconto una sorta di satira letteraria della società vittoriana e del positivismo, oggi Flatlandia potrebbe conoscere un successo del tutto impensabile per il suo autore. Da inquietante invenzione distopica — nel mondo creato da Abbott non si sta affatto bene, vigono un rigido classismo e un’ottica limitata che riduce tutto a linee — a prefigurazione di una realtà fisica che prospetta possibilità di sviluppo anche materiale di straordinario interesse.
Questa evoluzione è un dono della meccanica quantistica che, sin dall’inizio del XX secolo, ha permesso di sviluppare modelli per comprendere almeno a livello teorico la cosiddetta «bassa dimensionalità», cioè che cosa accade nella materia quando una delle sue dimensioni si riduce fino all’ordine dei nanometri (i milionesimi di millimetro). Successivamente, i fisici hanno imparato a realizzare dispositivi bidimensionali (2D) inserendo in una matrice di sostegno pochi strati atomici di un materiale, per cui gli elettroni sono costretti a muoversi soltanto su due dimensioni.
Va chiarito che per i fisici esiste una differenza pratica fondamentale tra un oggetto bidimensionale e uno tridimensionale: nel primo caso, la terza dimensione consente di controllare e manipolare le proprietà dell’oggetto, cosa che nella normale tridimensionalità non è permessa, poiché non abbiamo una quarta dimensione. Cosa significa, in concreto? La corrente elettrica che attraversa un dispositivo a due dimensioni, per esempio, essendo confinata in un piano è controllabile sia dallo spazio superiore, sia da quello sottostante; ciò ha avuto un enorme impatto tecnologico e ha permesso di realizzare transistor ultraveloci utilizzati oggi nei nostri cellulari e computer.
Al di là dell’enorme interesse teorico, quindi, gli studiosi hanno da tempo previsto per questi materiali prospettive applicative di grande utilità. La ricerca in questo settore è però di estrema difficoltà: non basta prendere una sorta di mattarello per «appiattire» la materia e anche i primi dispositivi, che pure possedevano proprietà bidimensionali, erano in realtà sempre oggetti in tre dimensioni, poiché per molto tempo non siamo riusciti a isolare i pochi strati atomici del materiale piatto dalla matrice estesa in cui erano inseriti. Anzi, la teoria prevedeva che essi nel mondo tridimensionale non potessero essere stabili, cioè esistere indipendentemente dalla materia «normale» in cui venivano intrappolati.
Le cose sono cambiate una decina di anni fa, quando è stato scoperto un metodo per isolare un solo piano atomico di carbonio da un cristallo di grafite, il grafene. Questo risultato — che nel 2010 è valso il premio Nobel per la fisica ad Andre Geim e Konstantin Novoselov, due fisici dell’Università di Manchester — ha suscitato grande interesse nel mondo scientifico e non solo, poiché ha permesso di ottenere un materiale con caratteristiche uniche: ottimo conduttore elettrico, trasparente alla luce, flessibile, leggero ed estremamente stabile. Nel frattempo abbiamo capito anche che il grafene che maneggiamo nei laboratori è stabile grazie a un’impercettibile corrugazione, come a dire che nel mondo reale un singolo piano atomico può esistere solo se la sua natura bidimensionale diviene «imperfetta». Da allora la ricerca sul grafene e sui materiali bidimensionali è decollata. Non a caso, lavorano nel settore anche tanti ricercatori italiani e ben 16 istituti del Consiglio nazionale delle ricerche. E l’Unione europea ha disposto per la ricerca sul grafene una «Flagship» con finanziamento di un miliardo di euro che ci si augura porti, nell’arco di un decennio, a ulteriori, sostanziali avanzamenti: vi partecipa una compagine che comprende in totale 23 partner italiani, la presenza nazionale più cospicua (tra cui il Cnr con gli Istituti nanoscienze, per la microelettronica e i microsistemi e per la sintesi organica e fotoreattività), e 142 tra università, istituti di ricerca e imprese provenienti da 23 Paesi.
L’isolamento del grafene è stato facilitato da una proprietà della grafite, che è un cristallo di Van der Waals, cioè composto da piani atomici sovrapposti debolmente legati tra di loro. Questa proprietà è in realtà sfruttata inconsapevolmente quando scriviamo con una matita su un foglio di carta: l’attrito della mina che scorre sul foglio è sufficiente a rompere i deboli legami tra i piani atomici, che si sfaldano e restano sulla carta a formare la traccia scura.
Tra i materiali tridimensionali esistono metalli, semiconduttori e isolanti, quindi con proprietà molto diverse tra di loro. Anche i materiali a due dimensioni esprimono peculiarità assai differenti: per esempio, il grafene è un semimetallo i cui elettroni si muovono nel piano come se non avessero massa e pertanto potrebbe essere utilizzato in transistor ad alta frequenza, mentre il fosforene è un semiconduttore e potrebbe essere molto più adatto per applicazioni in transistor a basso consumo energetico. Negli ultimi anni, però, singoli piani atomici sono stati ottenuti anche da altri cristalli Van der Waals, come il bisolfuro di molibdeno (MoS2) e il nitruro di boro (BN). Tutti questi materiali bidimensionali stanno consentendo di realizzare nuovi sistemi con proprietà ancora diverse dai materiali originari che li costituiscono, a confermare gli straordinari orizzonti che questo settore di ricerca dischiude.
La prossima sfida che molti scienziati immaginano è, paradossalmente, di partire dai materiali bidimensionali per costruire nuovamente strutture tridimensionali, «impilando» strati di differenti materiali 2D ognuno con proprietà diverse. L’obiettivo è ottenere dispositivi completamente nuovi: veri e propri materiali mai esistiti prima, con potenzialità ancora inedite. Altra idea esplorata di recente è quella di ridurre ulteriormente la dimensionalità, ritagliando «strisce» sottilissime dal piano atomico e creando così anche mondi a una dimensione e quindi oggetti con proprietà ancora diverse. In particolare, strisce di grafene potrebbero essere l’elemento base di transistor per dispositivi superpotenti di nuova generazione.
Se nel racconto di Flatlandia gli abitanti sono delle figure geometriche che si muovono su un piano e l’incontro con la sfera proveniente da Spacelandia provoca una reazione di sconvolgimento, diciamo — per restare alla metafora letteraria di Abbott — che la ricerca scientifica sembra voler rendere possibile un «dialogo» tra mondi a diverse dimensioni.