Donato Masciandaro, Il Sole 24 Ore 17/9/2015, 17 settembre 2015
LA FED, FALSI DILEMMI E VERE PAURE
La banca centrale americana (Fed) continuerà ad essere opaca oppure imboccherà la strada della trasparenza? Quello che conta, nella decisione di oggi sui tassi di interesse non è certo il singolo provvedimento di mantenere o no l’attuale livello, quando piuttosto se ci sarà o meno un cambio di strategia monetaria, in termini di trasparenza degli obiettivi, e quindi di relativa assunzione di responsabilità. È una scelta importante, perché l’attuale navigazione a vista della Fed non può essere spiegata solo dall’incertezza congiunturale; esiste verosimilmente anche la paura di rendere definitivamente evidente il fatto che la politica monetaria non è più in grado di raggiungere i propri obiettivi. Come accade alla Fed, almeno per quel che riguarda l’inflazione, da almeno 10 trimestri consecutivi. Peraltro l’inefficacia della politica monetaria in situazioni di eccesso di creazione della liquidità sembra essere diventato un tratto endemico dell’azione non solo della Fed, ma delle maggiori banche centrali.
Oggi la presidente della Fed Janet Yellen è di fronte ad un bivio: annunciare una manovra di piccolo cabotaggio, oppure avviare una svolta della politica monetaria americana. Si avrà piccolo cabotaggio se la Fed si limiterà a comunicare che il livello dei tassi di interesse è lo stesso, oppure è variato. Si avrà invece una cambiamento rilevante se la Fed ripristinerà una rotta di politica monetaria, attraverso la definizione di una regola di condotta, che guiderà la dinamica dei tassi di interesse nei prossimi mesi.
La navigazione a vista è oramai diventato il tratto caratteristico della Fed del governatorato Yellen. La ragione che in generale viene adottata per giustificarla è legata al livello di incertezza che caratterizza il contesto economico degli Stati Uniti, e in generale dei mercati internazionali. Non è una spiegazione convincente.
In un passato anche recente il grado di incertezza rispetto al quale la politica monetaria ha dovuto agire è stato anche maggiore; ma questo non ha impedito alla Fed di avere una condotta esplicita e coerente.
Continua pagina 3 Donato Masciandaro
Continua da pagina 1 Prendiamo le situazioni molto diverse che la Fed ha dovuto affrontare negli ultimi anni. La prima - corrispondente a un periodo che finisce nel 2001 - è quella in cui la politica monetaria della Fed ha svolto un’ azione di stabilizzazione congiunturale, per cui i tassi di interesse si muovevano in modo da contrastare i surriscaldamenti delle variabili nominali e reali, seguendo una regola monetaria. Ricordiamo i dati, guardando ai tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento della Fed. Nel periodo in cui la regola è stata seguita, e partendo dal 1999, la variazione mensile media - in termini di frazioni di punti base - è stata molto ridotta, nell’ordine del 4%. Poi, prima con Greenspan e poi con Bernanke e fino al momento della crisi del settembre 2008 - la regola è stata sì violata, ma in modo sistematico verso il basso. I tassi di interesse sono rimasti sostanzialmente stabili - la variazione media è rimasta nell’ordine del 4% - ancorché la scelta dell’accondiscendenza monetaria è stata verosimilmente l’innesco, insieme alla deregolamentazione finanziaria, della deflagrazione della crisi finanziaria.
Scoppiata la crisi, i tassi sono velocemente e opportunamente scivolati verso il basso; in un anno la variazione media è stata del 26%. La variabilità dei tassi è pienamente giustificata dall’eccezionalità della situazione, anche in termini d’incertezza. Poi i tassi, pur nel perdurare dell’incertezza, si sono appiattiti sullo zero, per rimanerci in modo costante. Dall’inizio della crisi, la variazione media è stata complessivamente molto bassa, pari al 9%.
Insomma, sia le regole monetarie dei tempi normali come pure la sistematica accondiscendenza monetaria dei tempi straordinari hanno finito per rappresentare una bussola per i mercati e l’economia. Senza una bussola, i mercati fibrillano. Quando la Fed di Bernanke annunciò che la bussola dell’accondiscendenza monetaria si stava smagnetizzando, senza dire come e quando sarebbe stata sostituita, le fibrillazioni divennero scosse. La regola straordinaria dell’accondiscendenza finanziaria venne ripristinata, anche se la natura eccezionale della congiuntura economica si stava spegnendo. La Yellen ha finora continuato a commettere lo stesso errore fatto da Bernanke: dichiarare che prima o poi la bussola verrà disattivata, ma senza impegnarsi ad adottare una nuova rotta.
Dunque non basta l’incertezza a spiegare la navigazione a vista. E l’inerzia della Fed è ancora meno spiegabile, se si tiene conto delle crescenti pressioni politiche, di parte essenzialmente repubblicana, ad adottare regole monetarie. Allora l’unica spiegazione residua rimane una legittima paura: se non si dichiara la rotta, è perché si ha paura di non essere in grado di navigarla. L’impotenza a raggiungere obiettivi dichiarati è già nei dati, meritoriamente offerti da analisti dalla stessa Fed. Da quanto nel gennaio 2012 la Fed ha dichiarato esplicitamente di avere un obiettivo del 2% - dieci trimestri fa - lo ha sistematicamente fallito per almeno 25 punti base. Gli analisti poi si interrogano sulle cause del fallimento, distinguendo tra cattiva azione monetaria, cause strutturali e sfortuna, attribuendo a quest’ultima il 46% della responsabilità del fallimento. Ma se c’è di mezzo la sfortuna, allora c’è una ragione psicologica in più ad avere paura, ma solo se si è superstiziosi. Di fronte all’incapacità di adottare una rotta, è meglio allora continuare il piccolo cabotaggio, usando come usbergo l’incertezza macroeconomica e internazionale. L’augurio è che presto - magari oggi - la politica monetaria americana sia in grado di ritrovare la sua bussola.