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 2015  settembre 17 Giovedì calendario

LIBRO IN GOCCE NUMERO 76

(In lode della Guerra fredda. Una controstoria)

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LA CONTROSTORIA DI UNA GUERRA FREDDA E DIFFICILE –
Ungheria. Allo scoppio della rivoluzione nel luglio 1956, l’Ungheria «faceva parte dell’alleanza con cui i sovietici avevano risposto alla creazione della Nato. (…) Il generale Eisenhower, allora presidente degli Stati Uniti e impegnato nella campagna elettorale per il suo secondo mandato, fu tra i primi a comprendere che l’Occidente avrebbe evitato il conflitto soltanto astenendosi da qualsiasi diretta interferenza nella crisi. Ma non poteva dirlo espressamente, e le inevitabili deplorazioni occidentali dell’invasione sovietica crearono negli insorti ungheresi l’attesa di un intervento che non si sarebbe mai materializzato».
Berlino Dopo aver assistito, nell’arco di dodici anni, alla fuga di due milioni e mezzo di cittadini dal «paradiso comunista» di Berlino Est, nel 1961 «i sovietici decisero di costruire un muro lungo 155 km. La decisione provocò indignazione e paura. Ma il secondo sentimento era alquanto esagerato. La costruzione del muro dimostrò che l’Unione Sovietica preferiva l’isolamento a un’emorragia demografica che avrebbe messo in discussione l’esistenza del suo satellite tedesco. Il suo gesto sembrò bellicoso e minaccioso, ma ebbe l’effetto di congelare gli equilibri politici e militari in Europa centrale. La situazione europea fu più stabile, dopo il muro, di quanto fosse stata prima della sua costruzione».
Missili «Il 26 maggio 1972 venne concluso l’accordo forse più importante della Guerra fredda: quello con cui gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si impegnavano a limitare la costruzione di basi antimissilistiche. Ciascuna delle due maggiori potenze accettava, implicitamente, di non aspirare all’invulnerabilità, di lasciare scoperta una parte del proprio territorio nazionale, di non impedire che un secondo colpo dell’avversario restituisse il danno inflitto dall’altro con un primo colpo».
Vietnam «Anche nella guerra del Vietnam, come in quella di Corea, vi furono equivoci e malintesi. All’inizio, mentre i francesi combattevano contro le milizie comuniste dei vietcong, gli americani (…) si limitarono a qualche insufficiente sostegno logistico. Ma non appena compresero, dopo la sconfitta francese a Dien Bien Phu, che il Vietnam indipendente non avrebbe avuto la fibra morale e civile per battersi con successo contro le formazioni comuniste del Nord, scivolarono, un passo alla volta, nel conflitto. Il presidente Eisenhower, dopo la sconfitta francese, aveva detto, nel corso di una conferenza stampa: «Esiste una fila composta da pezzi del domino; ne buttate giù uno e prima o dopo cadrà anche l’ultimo». Da quel momento, la “teoria del domino” ispirò la politica estera americana in Asia».
America «L’attacco terroristico alle Torri gemelle non fu soltanto il più clamoroso, spettacolare e sanguinoso atto terroristico trasmesso in diretta sugli schermi della televisione globale. Fu per gli americani la dimostrazione che il loro Paese, dopo la fine della Guerra fredda, era paradossalmente più vulnerabile di quanto fosse stato in passato».
Unione Sovietica «L’Unione Sovietica non fu sconfitta dagli Stati Uniti. Fu sconfitta dalle riforme di Gorbaciov. (…) Il colpo di Stato dell’agosto del 1991 fallì, ma dimostrò che il partito di Lenin era diventato ormai un impedimento per qualsiasi riforma il Paese avesse cercato di realizzare negli anni successivi. Il merito di Boris Eltsin fu quello di comprendere che il primo passo da compiere, sulla strada dei mutamenti, era la sua eliminazione, e fu questa la ragione per cui costrinse Gorba?ëv ad accettarne la dissoluzione il 29 agosto 1991».
Europa «Finché sarà un sodalizio in cui ogni socio agisce soltanto quando è direttamente coinvolto, l’Europa dirà al mondo, implicitamente, che gli interessi di un Paese non sono necessariamente quelli di tutti. E continuerà a essere una mezza potenza, incapace di valorizzare le virtù e le risorse di cui dispone. Sarà l’Italia del Rinascimento, grande tesoro di talenti e splendori, ma troppo divisa per essere rispettata e temuta».
Giorgio Dell’Arti, Il Sole 24 Ore 17/9/2015