VARIE 16/9/2015, 16 settembre 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - PER LA RIFORMA DEL SENATO SI VA SUBITO IN AULA
REPUBBLICA.IT
ROMA - Il ritiro degli emendamenti non basta, il Pd corre ancora più in fretta. Il ddl riforme costituzionali approderà nell’aula del Senato già domani: l’esame del testo proseguirà tutto il giorno e poi riprenderà anche nella giornata di venerdì. Si tratterà di sedute uniche, cioè non stop a eccezione di pause che saranno decise dalla presidenza. E’ quanto ha stabilito, a maggioranza, la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. Loredana De Petris, capogruppo di Sel, racconta che durante la lunga riunione c’è stato un duro scontro tra maggioranza e opposizioni sull’iter del disegno di legge Boschi. La senatrice vendoliana giudica quindi una "forzatura" la richiesta del Pd di calendarizzare già per domani il ddl costituzionale per l’aula, bypassando l’iter in commissione.
Sempre stando alle parole di De Pretis, la presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro (Pd) ha dichiarato che "non ci sono le condizioni per proseguire in commissione" nonostante il ritiro degli emendamenti da parte delle opposizioni, Lega in primis (ma M5s escluso). E’ stato il presidente del Senato, Piero Grasso, a invitare la stessa Finocchiaro a prendere parte alla riunione chiesta ieri dal Pd dopo lo strappo con la minoranza dem: Grasso le ha chiesto di illustrare i criteri secondo i quali ha dichiarato inammissibili - sempre ieri in commissione - gli emendamenti al disegno di legge.
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Contro la decisione, anche Forza Italia. Ma la replica arriva dal capogruppo dem al Senato, Luigi Zanda: "Abbiamo chiesto a Grasso di calendarizzare il ddl sulle riforme subito in aula anche in concomitanza del ritiro da parte del senatore Roberto Calderoli dei suoi 550mila emendamenti perché consideriamo una manovra politica i suoi emendamenti, il loro ritiro e anche la richiesta di un comitato ristretto".
Intanto, una riunione della direzione del Partito democratico è stata convocata per lunedì alle 15.30 nella sede di largo del Nazareno. A fissarla, il segretario e premier Matteo Renzi, che oggi a Palazzo Chigi ha incontrato Flavio Tosi e ’incassato’ il ’non ostruzionismo’ delle tre senatrici che fanno capo al movimento ’Fare!’ fondato dall’ex leghista. Da Cosenza, il vicesegretario dem Lorenzo Guerini sostiene che la direzione di lunedì "confermerà la nostra intenzione di andare avanti". Dalla minoranza interna al partito, però, è Roberto Speranza a dire a Renzi di "evitare la prova muscolare della conta" proprio in quella sede.
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I vertici dem, comunque, punterebbero ancora a un accordo con la minoranza del partito sul cosiddetto ’listino regionale’. "Io credo - ha spiegato la Finocchiaro - che sia necessario portare a compimento, in tempi certi e rapidi, dopo la prima lettura della Camera e del Senato e dopo 30 anni di discussioni, il percorso della riforma costituzionale. Resto convinta che ci siano le condizioni politiche e tecniche, anche sulla scorta del regolamento, per arrivare ad un testo ampiamente condiviso nel mio partito e nell’aula del Senato" (qui il video).
DAGOSPIA
500 MILA VOLTE GRAZIE. Neanche tre ore dopo essere stato salvato dall’accusa di incitamento all’odio razziale (aveva dato dell’orango al ministro Kyenge) il senatore leghista Roberto Calderoli ha ritirato la mezza milionata di emendamenti che aveva presentato sulla riforma costituzionale tanto fortemente voluta dal governo Renzi. A chiedere ai senatori di non concedere ai giudici l’autorizzazione a procedere nei confronti di Calderoli era stato il capogruppo Pd Luigi Zanda. Renziano. Che coincidenza.
DAGOSPIA
Italiani! Italiane! Anche voi trattenete il fiato nell’attesa di capire la sorte del ddl Boschi? E vi chiedete se le riforme costituzionali andranno in aula subito subito oppure no; e se ci andranno con un relatore oppure senza; e cosa deciderà il presidente del Senato sull’articolo 2, e che fine faranno i 500 mila emendamenti di Calderoli? Beh, tranquilli. Al momento se lo sta chiedendo pure Matteo Renzi. E proprio in assenza di certezze certe, nel ristretto circolo del Giglio Tragico, a Palazzo Chigi è tutto un confabulare di strategie e di ipotesi. Prendete nota.
Piano A. Se passano le riforme costituzionali, si conta di andare a votare nel febbraio 2017. Ossia appena è possibile andare alle urne dopo il referendum popolare, previsto per l’autunno 2016, che Matteuccio ritiene (o spera) darà il via libera alla nuova grandiosa architettura istituzionale da lui partorita e grazie a cui l’Italia entrerà a tutto gas -vavavooooma – nel consesso dei paesi più avanzati del terzo millennio. La supercazzola è a destra.
Qualora però le suddette riforme non passassero, o anche solo ritardassero più del dovuto, a Chigi è già previsto un piano B. Altra supercazzola, stavolta con elezioni nel 2018.
Uno. Palazzo Madama fa una pernacchia a Matteuccio e al suo articolo 2 sul Senato non elettivo, malgrado l’impegno della sora Finocchiaro che ha dichiarato intoccabile il suddetto articolo 2, e nonostante lo scouting (estenuante) del duo Lotti-Verdini, che stanno a lessare i maroni a tutti i senatori pur di trovare a Renzi i voti che gli servono.
Due. Le cose vanno, di conseguenza, parecchio per le lunghe.
Tre. Il sire Renzi, per tagliare la testa al topo, è costretto a portare in Parlamento una nuova legge per estendere l’Italicum al Senato, visto che non è possibile (fidatevi!) estendere l’Italicum al Senato a mezzo decreto legge.
Quattro. Zac! in quella occasione, tenetevi pronti, si potrà mettere mano a una legge elettorale che ripristini le coalizioni.
Le coalizioni, ecco, sono il punto.
Tutto chiaro?
DAGOSPIA
La centrale operativa dell’acquisto senatori, ovviamente gestita dalla simpatica coppia di fatto Lotti-Verdini, non sa più cosa inventarsi per promettere, lusingare, blandire, convincere, e ovviamente conquistare/acquistare un voto in più per la supercazzola costituzionale di Matteo Renzi.
Il censimento dei magnifici 70 del Corriere, quelli pronti a spernacchiare il premier cazzone, non fa una grinza. Ma… ma… ma… Siamo sicuri che il quadro sia proprio definitivo? Vediamo un po’ le lusinghe che girano.
Uno. La presidenza delle commissioni del Senato. Luigi Zanda, noto capogruppo Pd-ex-Dc ora convertito al renzismo di sfondamento, ha preteso (ribadiamo: preteso) che a Villa Arzilla le commissioni venissero rinnovate dopo (e ribadiamo: dopo) l’approvazione delle riforme di madama Boschi. Alla Camera, guarda caso, la vituperata presidenta Boldrinova le ha fatte rinnovare a luglio. Al Senato, invece, il presidente Grasso… Pietro Grasso… dov’è questo Grasso, scusate, mentre promettono le future presidenze a destra e a manca, in cambio di un voto a favore delle riformette?
Due. Pure i posti in giunta all’assemblea regionale siciliana sono una merce di scambio parecchio allettante. Per non parlare della candidatura, più o meno blindata, alla successione di Crocetta alla presidenza. Pare che in pole position ci sia il senatore D’Alia, casiniano doc. Pissi pissi.
Tre. Che cosa offrire alle tre senatrici ex leghiste, le tosiane? Non ci è ancora molto chiara la merce di scambio sul tavolo. Si mormora di “compensazioni territoriali”, ossia probabilmente posti, incarichi sul territorio, robe così; ma nessuno sa spiegare, pane al pane, di cosa si tratta. Tiremm innanz.
Quattro. I fittiani. Beh, questa è ovvia, Lotti e Verdini fanno di tutto per spaccare il gruppo al Senato. Per esempio, si dice, offrendo alla capitana, Cinzia Bonfrisco, un qualche remunerato posticino in un bel Cda. Banche, si dice. O dintorni. Accetterà?
Cinque. I malpancisti del Pd e i nuovi acquisti come Dario Stefàno, arrivato a Palazzo Madama con Sel, benchè nato Udc (ah, ah) in quel di Puglia. Beh, per loro una promessa blindata di una candidatura blindata con elezione blindata ci sta tutta.
E però, a questo punto, il popolo di Villa Arzilla è un po’ angustiato: c’è da fidarsi delle promesse di quel furbastro di Matteo Renzi, oppure no?
La plebe propende assolutamente per il no. In sala Garibaldi, tra una tisana diuretica e una camomilla, ieri i senatori facevano una bella gara nel diffidare: Pittibimbo è capace di portare a casa la riforma, grazie a noi, e poi, zac!, mandarci a casa nel 2017. Così la legislatura non arriva a termine, e il vitalizio non matura, e l’infame si vanta: abbiamo risparmiato milioni e milioni!
Chiediamocelo: meglio un uovo (e una pensioncina) oggi o una gallina domani? E ciascuno si regoli di conseguenza.
In effetti il dubbio è atroce. Ma B. di dubbi (dicono) non ne ha più. Stavolta è disponibile a soccorrere Renzi solo e se si verifica un grosso incidente di percorso. E in tal caso, è già pronto il conto: Pittibimbo dovrà mollare il ripristino del premio di coalizione.
Tale premio, dicono, nei suoi piani servirà a B. per ricostruire un centro-destra degno di questo nome, preparando innanzitutto la strada al ritorno dei senatori Ncd, oggi in preda ad acute nostalgie. C’è già l’accordo con Salvini, dicono. Ma Salvini pone anche il problema più spinoso: cosa fare di Alfano.
Salvini non lo vuole, Alfano.
Alfano non se lo vuole caricare nes-su-no.
E dunque: povero Matteo, dovrà proprio tenerselo lui sul gobbo?
L’unica apertura di B. sull’argomento transfughi, in effetti, l’unica porta davvero spalancata riguarda la dolce coppia dei senatori Repetto-Bondi. A Silvio, sappiatelo, Sandro Bondi da Fivizzano manca molto. Che poi Fivizzano è pure, e incredibilmente, la terra natale di Denis Verdini. Ma vuoi mettere la differenza? La fedeltà inossidabile di Bondi, le sue poesie, la sua aria da curato, il suo strenuo leccaculismo perinde ac cadaver. Sì, il buon Bondi gli manca, a Silviuccio nostro. Ci manca. Torna a casa, Sandro!
E’ tutto perdonato!
DA REPUBBLICA DI STAMATTINA (DE MARCHIS)
I conti li fanno anche i nemici della riforma. Raccontano che, a prescindere da un vero accordo con Berlusconi, il governo abbia in tasca i voti di 4 parlamentari di Forza Italia e la garanzia di altri 10 che restano a casa nei momenti chiave. Ma nemmeno questo basta alla maggioranza. La riforma non è in sicurezza se è vero che 10-12 senatori di Ncd (che ne ha ben 35) sono pronti allo sgambetto. Pesano persino alcune autorizzazioni a procedere. Oggi si dovrebbe discutere quella contro Calderoli per le offese a Cecile Kienge, ma slitterà. Più siginificativi sono i tempi della discussione della richiesta di arresti domiciliari del Ncd Giovanni Bilardi. Potrebbe essere rinviata in attesa di vedere come si muoverà il Nuovocentrodestra sulla riforma.
CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA Matteo Renzi si è messo a correre verso il traguardo della riforma costituzionale e, a costo di far saltare il banco, ha deciso di portare il ddl Boschi direttamente in Aula, saltando il passaggio della commissione Affari costituzionali per andare subito alla conta: «Basta fare ammuina». Il premier ha fissato la data dell’approvazione al 15 ottobre e non intende tornare indietro, anche se in gioco c’è la vita del suo governo. «Ho i numeri, ma non voglio rompere — è la linea del premier — Però ai temporeggiatori, che vorrebbero uccidere silenziosamente la riforma, ricordo che la doppia lettura conforme è chiara». Nessuna retromarcia dunque, indietro non si torna.
Palazzo Chigi, dopo un vertice con i capigruppo all’ora del breakfast, ha scatenato l’artiglieria pesante su Palazzo Madama. Ha sentito Schifani e si è convinto che Ncd non si sfilerà, poi ha parlato con il capogruppo delle Autonomie Karl Zeller, una quindicina di voti preziosi. Quindi, convinto di avere i numeri, Renzi ha sfidato Pietro Grasso e innescato un incidente diplomatico con la presidenza del Senato, che ha fatto trapelare di non poterne più del pressing e ha mollato di botto un convegno alla Camera: «Si è creata una situazione di emergenza».
I vertici del Pd, attraverso Luigi Zanda, hanno chiesto a Grasso di convocare la riunione dei capigruppo, per fissare il termine della presentazione degli emendamenti e contingentare il dibattito. Scavalcato dal Pd, Grasso ha lasciato filtrare tutto il suo fastidio: «Finché resta in vigore questo Regolamento, a convocare la Conferenza dei capigruppo dovrà essere solo il presidente del Senato e non altri». Il che è poi avvenuto secondo le procedure: si terrà oggi alle 15.
Ai piani alti di Palazzo Madama non hanno gradito alcune considerazioni lasciate filtrare dai renziani, secondo cui lo stop agli emendamenti da parte della presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, sia stato ordito col preciso intento di «stanare Grasso», creando un precedente del quale il presidente faticherà a non tenere conto. Tanto più che la Finocchiaro avrebbe trascurato di informarlo che «la sorpresa» era in arrivo. Da qui la «grande preoccupazione» che la seconda carica dello Stato ha confidato ai collaboratori.
La giornata è da brivido e inizia alle 12, quando Chiti, Gotor, Migliavacca e Fornaro riuniscono la minoranza Pd a Palazzo Cenci. «Tutti compatti» è il grido di battaglia dei dissidenti, spiazzati da un governo che alterna aperture al tavolo «bicamerale» del Pd, per bocca della Boschi, a energiche chiusure da parte di Renzi. All’ora di pranzo, lo strappo. La capogruppo Doris Lo Moro, emissaria dei bersaniani, abbandona il tavolo in accordo con i 28 dissidenti: «Siamo su un binario morto, se l’articolo 2 non si può toccare è inutile discutere». Voterete la riforma? «Non credo».
La tregua salta, l’intesa si allontana e la Boschi fa buon viso a cattivo gioco: «Dispiace per chi lascia il tavolo, noi continuiamo a lavorare per l’accordo». Avanti con i voti di Verdini? «L’ha già votata una volta e può rivotarla». Il governo è dunque pronto a sostituire i dissidenti pd con i transfughi di Forza Italia? Bersani non ci sta: «Noi siamo leali, è assurdo cercare i voti di Verdini. Nessuna scissione, ma capirei chi votasse contro». La scena seguente è ambientata in commissione Affari costituzionali, dove Anna Finocchiaro, con due giorni di anticipo, dichiara inammissibili gli emendamenti al controverso articolo 2, sul Senato elettivo. Le opposizioni protestano. Per Gotor «è una ulteriore forma di pressione su Grasso» e il leghista Calderoli chiede a Finocchiaro di convocare il Comitato ristretto «per uscire dalle secche».
Lo scontro tra governo e Grasso è plateale e Mario Mauro, alla buvette, dà voce ai malpancisti: «Dopo due Papi e due presidenti della Repubblica abbiamo anche due presidenti del Senato». La palla, o la mina, è nelle mani di Grasso. Toccherà a lui, quando la riforma arriverà in Aula, decidere se riaprire l’articolo 2 contro la volontà del governo e far votare gli emendamenti più pericolosi. Oppure allinearsi, seguendo a ruota la Finocchiaro. «Deciderò io quando sarà il momento — ripete Grasso — Basta pressioni». E intanto Quagliariello, coordinatore di un Ncd spaccato come una mela, raccoglie firme in calce al ddl che introduce il premio di coalizione.
Monica Guerzoni