Simon Kuper, Rivista Undici autunno 2015, 16 settembre 2015
BASE PER GRANDEZZA. INSEGUENDO UNA COPPA E LA SUA LEGGENDA
Una mattina dello scorso gennaio ho ricevuto quel genere di mail che ti fa cadere dalla sedia dell’ufficio. Era di Guy Oliver, un britannico che lavora per il Museo Fifa, che (guai di Sepp Blatter permettendo) dovrebbe aprire a Zurigo il prossimo marzo. Guy e io abbiamo trascorso anni a fare ricerche, separatamente e insieme, sulla Coppa Rimet, quella autentica, quella perduta. Si tratta del trofeo che era assegnato alla squadra campione del mondo fino agli anni Settanta. La coppa fu rubata a Rio de Janeiro nel 1983 e non si è mai più vista. Secondo la polizia brasiliana è stata fusa in lingotti d’oro. Guy e io crediamo che questo sia falso. Siamo convinti che la Rimet – il più grande tesoro perduto dello sport – sia ancora da qualche parte. E ora lui mi stava scrivendo una mail per dirmi che, mentre faceva ricerche negli archivi della Fifa, ne aveva scovato una parte: la base, la parte inferiore del trofeo, dove erano incisi i nomi di tutti i paesi vincitori.
La base, scriveva Guy, «giaceva nascosta, non notata né registrata, su una mensola nei vasti archivi della Fifa. È stato uno di quei momenti in cui ti ritrovi lì, impalato, e ti sembra tutto ridicolo. Non hai nemmeno il coraggio di raccoglierla, perché è un oggetto d’arte dal valore inestimabile. Il fatto è che stava proprio lì, in mezzo a una marea di imitazioni pessime e a buon mercato fatte nel corso degli anni, tutte con basi strambe». Quando gli ho chiesto come mai fosse sicuro che questa base fosse l’originale, lui ha risposto: , «Avevo guardato moltissime foto. A “Italia 1934” – sotto il “1934” c’è una patacca bianca molto grossa. La prima cosa che ho fatto è stato cercarla, e quindi mi sono detto “Alleluia, l’abbiamo trovata”». Un’analisi più da vicino ha confermato questo giudizio. Ora dobbiamo trovare solo il resto del trofeo.
La sua storia comincia nel 1928, quando il presidente francese della Fifa Jules Rimet stabilì che la prima Coppa del mondo si sarebbe tenuta in Uruguay, due anni dopo. Rimet, a quel punto, aveva bisogno di un trofeo. E lo commissionò allo scultore francese Abel Lafleur. Lafleur inventò un pezzo meraviglioso: una statuetta di Nike, la dea greca della vittoria, probabilmente alta circa 24 centimetri. La coppa sembra fosse di oro massiccio (anche se nessuno ne è certo), con una base blu di una pietra semi-preziosa, il lapislazzulo.
La Nike con le braccia distese era destinata a sperimentare numerosi traumi. Ha trascorso la Seconda guerra mondiale nascosta dai soldati tedeschi in una scatola da scarpe, sotto il letto del dirigente calcistico italiano Ottorino Barassi, a Roma. In un qualche momento fra il 1950 e il 1954, sembra che la Fifa abbia cambiato la base del trofeo, senza dirlo a nessuno: la base originale era troppo piccola per contenere altri nomi di vincitori, così fu tolta e sostituita con una base più ampia. Presumibilmente, la base originale fu gettata in un armadio, dove Guy l’avrebbe ritrovata sessanta anni dopo.
Anche negli anni Cinquanta, due dei vincitori – Uruguay e Germania Ovest – fecero segretamente delle copie della Rimet, senza il permesso della Fifa. Quando ciascun vincitore restituì il trofeo, rese la coppa vera o una replica? Poi, nel marzo del 1966, la Rimet venne rubata a una mostra di francobolli a Londra.
All’epoca, l’Inghilterra si preparava a ospitare la Coppa del mondo del 1966. La mostra “Sport coi francobolli” si teneva alla Central Hall di Londra e gli organizzatori chiesero alla Football Association (FA) se potevano avere il trofeo in prestito. Ma certo che potevano! Però la domenica mattina del 20 marzo 1966 fu rubato. Francobolli del valore di tre milioni di sterline furono lasciati lì, intatti. La Federazione calcio brasiliana (Cbf), che aveva appena passato di mano la Coppa del mondo dopo averla tenuta per otto anni, era furiosa, «In Brasile non sarebbe mai successo» disse Alain Tebel della Cbf. «In Brasile perfino i ladri amano il calcio e non commetterebbero mai questo sacrilegio». La FA inglese era diventata all’improvviso una barzelletta in tutto il mondo.
In quella stessa settimana, la FA ricevette un pacco per posta che conteneva la parte superiore ottagonale del trofeo. Ad accompagnarla c’era una richiesta di riscatto. Uno sconosciuto chiedeva 15mila sterline in cambio del trofeo. «Senza dubbio siete molto preoccupati per la perdita della coppa del mondo», scriveva. «Per me è soltanto un avanzo di oro. Se non ho vostre notizie entro giovedì o al massimo venerdì, presumo che sia da rottamare».
Ma il 25 marzo l’uomo fu arrestato. Si scoprì che non aveva rubato personalmente la coppa. Il vero ladro non fu mai catturato, e potrebbe essere in circolazione ancora oggi.
Nella serata di domenica 27 marzo 1966, Dave Corbett, un uomo che lavorava sulle chiatte nel Sud di Londra, portò il suo cane Pickles a fare una passeggiata. Proprio fuori da una grande casa, Pickles cominciò ad annusare fra i cespugli. Corbett si avvicinò e trovò un pacco avvolto nei giornali. «Lo aprii e vidi l’oro e le parole “Brasile 1962”», disse più tardi, quella notte. “Lo portai a casa per mostrarlo a mia moglie. Per qualche minuto non riuscii a crederci, poi lo misi in macchina e lo portai alla polizia. Pickles l’aveva visto per primo – è stato lui a trovarlo, quel tesoro».
La storia sarebbe finita qui, se non fosse che la notte dopo il furto, il segretario della FA inglese Dennis Follows aveva commissionato in segreto al gioielliere londinese George Bird la realizzazione di una copia del trofeo – «una replica esatta, in oro, che non potesse essere distinta dall’originale». L’incontro tra Follows e Bird è raccontato in uno studio brillante fatto dall’accademico britannico Martin Atherton per il Museo nazionale inglese del calcio. E stata la famiglia di Bird a dare gli archivi del gioielliere ad Atherton, un docente di studi per non udenti all’Università del Lancashire Centrale. Dopo che Pickles ritrovò l’originale, si decise che Bird avrebbe realizzato un trofeo in bronzo dorato, più economico, anziché uno in oro massiccio. La Fifa intimò agli inglesi di non fare una copia, ma Bird e la FA andarono avanti comunque.
Il sabato mattina del 30 luglio 1966, tre poliziotti guidarono fino a Wembley, dove l’Inghilterra doveva incontrare la Germania Ovest nella finale di Coppa del mondo. I poliziotti avevano giurato di mantenere il segreto, perché in macchina con loro c’erano entrambi i trofei Jules Rimet: quello vero e la copia in bronzo.
Dopo che l’Inghilterra vinse la finale 4-2, la Regina Elisabetta consegnò il trofeo vero al capitano inglese Bobby Moore. Nella famosa foto in cui Moore siede sulle spalle dei compagni di squadra, tiene in mano la coppa originale. Anche il centrocampista senza denti dell’Inghilterra, Nobby Stiles, fece il suo celebre giro di campo saltellando con la coppa vera. Ma poi i poliziotti gliela strapparono via e gli diedero la replica di Bird. La Coppa del mondo sarebbe stata portata in giro per il resto della giornata, e le autorità britanniche volevano tenere quella originale al sicuro.
Quella sera i giocatori dell’Inghilterra apparvero più volte al balcone del Royal Garden Hotel di Kensington, a Londra, sventolando la copia. Non si accorsero mai che le coppe erano state scambiate. Il vero trofeo passò la notte della finale nascosto nel caveau di una banca londinese.
L’Inghilterra tenne la Rimet fino al 1970. In quei quattro anni la coppa fu mostrata spesso – o almeno lo fu la copia di Bird, perché il vero trofeo rimase nel caveau. Nessuno notò mai lo scambio. Fino a che ci furono delle guardie di sicurezza corpulente a fianco del trofeo, il pubblico non sospettò mai che la “Coppa del mondo” potesse essere un falso in bronzo.
Nel 1970 l’Inghilterra dovette restituire il trofeo alla Fifa per la Coppa del mondo successiva. Restituirono quella vera o la copia di Bird? Potremmo non saperlo mai. In ogni caso, a Città del Messico il Brasile vinse la sua terza Coppa del mondo e gli fu concesso di tenere il trofeo per sempre. La Federazione calcio brasiliana espose la coppa in una semplice vetrina nel suo quartier generale, a Rio de Janeiro. E il 19 dicembre 1983 il trofeo fu rubato dalla vetrina. Il capobanda, il criminale di professione Sergio Peralta, sapeva dove trovarlo perché aveva visitato spesso la federazione calcistica come rappresentante dell’Atletico Mineiro. In breve tempo la polizia brasiliana fece sapere che la coppa era stata fusa in lingotti d’oro.
Nel frattempo, George Bird era morto nel 1995 e nel 1997 a Londra la sua famiglia mise all’asta il trofeo della Coppa del mondo che aveva conservato. Nel catalogo della vendita di Sotheby’s “Traditional Sports: Golf, Cricket and Football” dell’11 luglio 1997 si trova una fotografia interessante. “Copia della Coppa Jules Rimet utilizzata come Trofeo di Coppa del mondo fra il 1968 e il 1970”, dice la descrizione del lotto 80. Dà un prezzo stimato fra le 20mila e le 30mila sterline. Sembrava già molto per un falso in bronzo dorato di scarso valore. Eppure all’asta, dopo una serie di puntate frenetiche, alla fine la coppa fu venduta per 254.500 sterline, nove volte il record precedente, la cifra pagata a un’asta per un pezzo di memorabilia calcistico. Il puntatore vincente lasciò la casa d’aste nell’anonimato.
In seguito mi fu suggerito il nome di chi avesse comprato la coppa: la Fifa! Il mio informatore mi spiegò che la Fifa credeva fosse la vera Rimet, che si supponeva fosse stata nascosta da George Bird dopo che la FA aveva restituito la copia nel 1970. Dovevo verificare la storia con la Fifa. Non mi aspettavo nessuna risposta o, al massimo, un rifiuto. Invece il 5 aprile 2006 l’ufficio stampa della Fifa mi ha spedito questa mail:
«Caro Simon, grazie per la tua richiesta. Sì, la FIFA ha preso la decisione di comprare questo trofeo, perché si riteneva che fosse l’originale. Siamo fiduciosi che questo possa esserti utile. Cordiali saluti, Fifa Media Department».
Chiaramente, la coppa che la Fifa aveva acquistato si era scoperto non essere l’originale, ma solo la copia in bronzo, tanto che la Fifa alla fine l’ha data tranquillamente in prestito al Museo nazionale inglese del calcio, a Preston. È ancora lì. Chiunque la può vedere, gratis.
Ma allora dov’è la vera Rimet, quella che Abel Lafleur scolpì per quella prima Coppa del mondo? Potrebbe essere il trofeo rubato a Rio nel 1983, ma non credo alla storia della polizia che dice che sia stata fusa. Innanzitutto la coppa avrebbe avuto molto più valore intera per un collezionista disonesto, che ridotta a un po’ di oro. È molto probabile che un collezionista ne abbia commissionato il furto. Molti dipinti vengono rubati così.
Juan Carlos Hernandez, rivenditore d’oro argentino che era fra gli arrestati per il furto della Rimet, ha detto alla polizia che NON era stata fusa. Un’analisi chimica della sua fonderia ha rivelato tracce di oro di una qualità diversa da quella del trofeo. Quando la polizia ha arrestato di nuovo Hernandez, nel 1990, per traffico di droga, per curiosità gli ha fatto delle domande sulla Rimet e lui ha risposto che un collezionista italiano aveva commissionato il furto.
Forse Hernandez mentiva. Ma nel 2012, su mia richiesta, il giornalista Andrew Downie, che lavora in Brasile, ha chiesto a Pedro Berwanger, il poliziotto brasiliano che ha condotto l’inchiesta originaria, perché la polizia pensava che la Rimet fosse stata fusa. Berwanger ammise: «Nessuno sa davvero che cosa sia successo alla coppa. Io non firmerei un documento giurando che sia stata fusa». Sospetto che la polizia – messa sotto pressione per ritrovare il trofeo – abbia detto che fosse stata fusa in modo da chiudere il caso. Berwanger era d’accordo sul fatto che la Rimet avesse molto più valore intatta: «Possedere questo trofeo sarebbe come avere il Sacro Graal».
Forse ora si trova sulla mensola di qualche collezionista in Italia o in Brasile. Forse la vera coppa è stata scambiata molto tempo prima del furto a Rio, nel 1983. Guy e io continueremo a cercare.