Sara Faillaci, Vanity Fair 17/ 9/2015, 17 settembre 2015
SONO STATA MARISSA ANCH’IO
[Intervista a Ilaria D’Amico] –
Ci sarà un momento surreale, in questa intervista. Succederà quando Ilaria D’Amico, al quinto mese di gravidanza, si alzerà dal nostro tavolo per salutare e abbracciare Michelle Hunziker, di passaggio lì per caso, diretta al parco con le figlie piccole, Celeste in marsupio e Sole in passeggino. Una schiera di paparazzi ci accerchierà, dando il via alla più impressionante sequenza di clic a cui io abbia mai assistito. E, a ripensarci, c’è da capirli: non capita tutti i giorni di mettere insieme nella stessa inquadratura due donne famose e in carriera, colte nella veste privata di mamme.
Di questo, tra l’altro, si stava parlando in quel momento con Ilaria D’Amico: di donne, lavoro e maternità, e del caso dell’americana Marissa Mayer, amministratore delegato di Yahoo!, al centro di una polemica dopo il recente annuncio di non voler andare in congedo quando, a dicembre, partorirà due gemelle. Anche Ilaria e Michelle, infatti, sono state bersaglio di critiche quando hanno ripreso a lavorare a poche settimane dal parto. Critiche che per assurdo vengono, in gran parte, proprio da altre donne.
La prima volta che la intervistai, nove anni fa per una storia di copertina di Vanity Fair, Ilaria D’Amico era poco più che trentenne, e già affermata conduttrice di Sky Calcio Show. Mi raccontò un sogno strano, soprattutto considerato che all’epoca era single: nel sogno scopriva di essere incinta al nono mese senza essersene accorta prima e, nel terrore che il suo datore di lavoro la sospettasse di aver firmato il contratto in malafede, rinunciava alla Tv per fare la mamma a tempo pieno. Nell’intervista diceva che, tra lavoro e figli, avrebbe scelto i figli, e che la sua paura più grande era da sempre quella di non poterne avere.
Diventò mamma di Pietro quattro anni dopo, nel 2010. A poche settimane dal parto, già conduceva su Sky gli speciali per il Mondiale di calcio. Due anni più tardi, in un’altra intervista, mi avrebbe raccontato delle sue notti in bianco, e dell’ufficio volante che aveva messo in piedi nel bar di fianco all’asilo nido.
A ogni nostro incontro l’ho trovata bellissima e perfetta, ma oggi, con il secondo figlio nella pancia, è in un particolare stato di grazia. L’abito lungo prémaman, fiori su sfondo bianco, fa ancora più effetto addosso a lei, che di norma veste di nero e porta i tacchi a spillo.
Mi racconta di questi due anni complicati, in cui molte cose della sua vita sono cambiate: è finito l’amore con il padre del suo primo figlio, l’imprenditore Rocco Attisani, ed è iniziato quello con Gigi Buffon, il portiere della Juventus, che aveva già una famiglia alle spalle, due figli, e adesso diventerà padre del suo secondo bambino. Ma soprattutto, penso mentre parliamo, è cambiata lei.
Farà la maternità questa volta?
«Lavorerò fino all’ottavo mese, ma dopo ho intenzione di prendermi una pausa lunga, almeno sei mesi. Sento che questa è la mia priorità: ho bisogno di un tempo più lento per essere madre. Perché vivo una maternità più adulta, perché è la seconda, con una famiglia allargata che ha bisogno di essere coccolata in maniera più accorta, e perché quel piacere per la prima gravidanza me lo sono negato».
Perché se l’era negato?
«Sono stata Marissa anch’io, cinque anni fa: psicologicamente, e per scelta. Lavoravo per due aziende, Sky e La7, che non hanno mai esercitato nessun tipo di pressione da questo punto di vista, lasciando a me la scelta. Una fortuna che purtroppo capita di rado alle donne. In me hanno prevalso il senso di riconoscenza e l’attaccamento al lavoro. Non volevo che Sky – ma si trattava di una bella occasione anche per me – rinunciasse alla mia presenza per il Mondiale, che per un giornalista che si occupa di calcio è in assoluto l’evento più importante. Soprattutto, non volevo che fosse staccata la spina alla redazione di trenta persone che lavorava con me a La7 per Exit. C’era anche l’incoscienza del primo figlio: ero stata bene in gravidanza, non pensavo che dopo il parto ci sarebbe stato il contraccolpo».
Che invece c’è stato.
«È assolutamente innaturale, nei primi quattro mesi di vita di un figlio, dedicarsi contemporaneamente a lui e a un lavoro che ti assorbe tanto. Sono i mesi in cui devi costruire il rapporto, impostare il ritmo sonno-veglia, accudire il bambino
e te stessa. A volte lo allattavo in camerino e, perché i ritmi non erano sempre ordinati, ho sofferto di mastiti. Ma la cosa di gran lunga peggiore è stata il vivere quel primo anno di maternità dilaniata dai sensi di colpa».
Pentita?
«All’epoca ho fatto quello che mi sentivo di fare. E credo che noi tutti, noi donne in particolar modo, dovremmo imparare a rispettare le scelte delle donne. In America, dove la competizione è molto più spinta che da noi e il turn over lavorativo molto più veloce, Marissa Mayer ha raggiunto una posizione delicatissima. E poi la sua azienda, Yahoo!, sta attraversando una fase difficile: capisco la sua scelta. Il problema, se mai, è un altro».
Quale?
«Il fatto che una donna quando rimane incinta senta sempre il bisogno di dire: “Non vi preoccupate, anche se mi sta succedendo la cosa più grande del mondo, penserò soprattutto al lavoro. È successo anche a me: ho detto a Sky che ero rimasta incinta ma che ci sarei stata, che mi ero già organizzata in tutto, anche se non era vero. La donna ha la pressione di dichiararsi “uomo”, mentre questa parte così importante della nostra vita dovrebbe avere regole ben precise. In Italia il concetto di maternità cozza con carriera, una priorità cannibalizza l’altra. Il mondo del lavoro è diventato flessibile, ma senza le sicurezze che prometteva la riforma».
Perché sono soprattutto le donne a criticare la scelta di Marissa?
«Quando diventi madre affronti una serie di frustrazioni, e queste frustrazioni ovviamente aumentano man mano che calano i mezzi e i privilegi. Sono le donne a rinunciare a lavorare quando gli stipendi sono bassi, perché non conviene pagare l’asilo nido che è ancora troppo caro. Quindi c’è invidia verso le poche che sembrano potersi permettere di gestire al meglio entrambe le cose, carriera e famiglia. Sembrano, ribadisco, perché un prezzo si paga sempre. E, poi, si critica Marissa ma non si dice che, ai comandi di Yahoo!, ha triplicato il tempo del congedo di maternità per le donne dipendenti e introdotto il congedo per i padri. Mi viene da dire: donne, giudichiamo meno e aiutiamoci di più. La maternità, che ci divide tanto, è un tema che invece ci dovrebbe unire».
Non ha paura, andando in maternità, di essere rimpiazzata?
«Quella non l’ho mai avuta, forse ho un’eccessiva fiducia nelle mie capacità (ride, ndr). E Sky Calcio Show è un figlio che ho cresciuto per 11 anni».
Sa già chi la sostituirà?
«Deciderà l’azienda. Ma il programma è una bestiaccia: donna o uomo che sia, dovrà avere esperienza».
Questo secondo figlio, con Buffon, l’avete cercato?
«L’abbiamo cercato ed è arrivato. L’entusiasmo di Gigi, anche in questo frangente, spesso mi commuove. È bello che un padre, già padre, molto padre, abbia così voglia di famiglia».
Sapete il sesso del bambino?
«Vorremmo la sorpresa, ma andrà bene comunque. Io certo adorerei una femmina, l’ho sempre desiderata venendo da una famiglia di donne. Lui invece, anche se a maschi siamo già a tre, ne vorrebbe un altro. Gigi vuole fare comunità. L’uomo del resto preferisce sempre il sesso che già conosce, e poi gli sportivi con i maschi hanno una calamita di attrattiva più facile».
È un padre ansioso?
«Al contrario, è un normalizzatore di ansie: credo dipenda dal fatto che, per lavoro, ha dovuto imparare a gestirle, fin da ragazzino. In una gravidanza è normale avere qualche preoccupazione ma lui ha sempre una funzione calmante. “Andrà tutto bene, perché mai dovremmo pensare che non andrà tutto bene?”. Lui dice cose così. È molto solare».
Eppure nel suo libro autobiografico raccontò di aver sofferto di depressione.
«La depressione è tipica di chi si indaga. Finché “surfi” sulle tue cose, probabilmente non ci cadi dentro. Per uno che ha avuto una vita così esposta, guardarsi dentro non dev’essere stato banale. E, quando l’ha fatto, si è scoperto molto fragile. Gigi è un solare riflessivo, non riesce proprio a immaginare la parte negativa di una vicenda, ma se poi c’è l’affronta, guardandola fino in fondo».
Quando vi siete innamorati, entrambi avevate già dei figli, una famiglia. Non è un inizio facile: lui come l’ha affrontato?
«Eravamo due persone con grandi crisi sulle spalle. Ma nel momento in cui è nato un sentimento tra noi, Gigi è stato determinato e positivo. Quando crede in una cosa, va dritto come un fuso verso il finale che vede e desidera. E ha il coraggio di esporsi, di essere sincero».
Avrebbe mai pensato di dover gestire una famiglia allargata?
«Da figlia di una delle prime coppie divorziate in Italia, con genitori che tra loro non sono mai riusciti a dialogare, avevo il trauma della separazione cruenta tra genitori: la consideravo la peggior sciagura per i figli. Quando ho visto che molti della mia generazione si separavano senza perdere l’armonia, all’inizio mi sembrava un miracolo, poi però ho iniziato a pensare che fosse un miracolo possibile. Quindi sono arrivata al rapporto con Gigi fiduciosa che potesse funzionare, probabilmente perché avevo anche molta stima del mio ex compagno».
Non la preoccupava la gestione dei bambini?
«La mia più grande paura era proprio quella, la difficoltà di unire i due nuclei, ma alla fine non è stato così complicato. Anche perché tutto è avvenuto piano piano, e arrivare a un cambiamento in modo graduale, invece di precipitarsi, aiuta. È comunque un work in progress, ora c’è un altro passo che va gestito. Ma la serenità che abbiamo costruito è un traguardo che ci dà grande soddisfazione».
Quanto c’entra, il divorzio dei suoi, nel fatto che non si sia mai sposata finora?
«Il trauma c’è stato, l’ho detto. Da sposati, separarsi è ancora più complicato: oltre al senso di fallimento personale ci sono gli aspetti pratici, la divisione dei beni. L’altro motivo per cui non mi sono sposata è di principio: detesto che non siano riconosciute le unioni civili, per me il matrimonio è un atto romantico, non l’atto necessario a stabilire che c’è una famiglia. Anche il padre di Pietro la pensava così. Entrambi figli di separati, sognavamo l’amore per sempre, il Mulino Bianco, e quando carichi di aspettative così tanto una cosa la delusione è più forte. Oggi capisco che nella realtà la perfezione non esiste: accettare di non dover sempre apparire impeccabile, di essere anzi spesso un caos, mi sta aiutando tanto, sono più solare. Anche se oggi abbiamo entrambi rapporti sereni con gli altri genitori dei nostri figli, per la fine di un amore si soffre sempre: sapere però che dalla sconfitta ti puoi rialzare, che puoi tornare ad amare, ti rende più forte, anche se i segni della caduta restano».
Una volta mi disse che non si sarebbe mai potuta mettere con un calciatore.
«Ammetto di averlo pensato. Ma la vita ti sorprende mettendoti davanti a cose che non avresti mai immaginato. Avevo già notato, in Gigi, l’attitudine a dire cose che molti calciatori pensano ma che in pochi direbbero, e mi era piaciuto questo suo coraggio, questo essere sincero al limite dell’ingenuità. Due anni fa, poi, ci siamo incontrati di persona alla conferenza stampa di una onlus per i malati di cancro: abbiamo iniziato a raccontarci la vita, e non abbiamo più smesso di parlare».
Non ha mai pensato che la vostra storia ponesse un conflitto di interesse rispetto alla sua professione?
«Il mio talebanismo mi imponeva di smettere. Ho parlato subito con Sky, volevo il loro parere, e mi hanno risposto: noi ti abbiamo sposato molti anni prima di chiunque ti sposi adesso. Ho deciso di provare a vedere come andava, e mi sono accorta di una cosa: ero talmente abituata a considerare Gigi nel suo ruolo di portiere, che vederlo in studio continuava a non farmi nessun effetto».
Sposerebbe Buffon?
«Non è mai stato un tema tra noi, mentre un figlio lo è stato da subito».
E se lui glielo chiedesse?
«Penso sia sempre un fantastico momento romantico nella vita di una coppia che si ama. Ma il mio sì dovrebbe sudarselo».
E ride.