Paolo Siepi, ItaliaOggi 16/9/2015, 16 settembre 2015
PERISCOPIO
Il Papa: «Il convento che fa da hotel paghi le tasse». E se sgarra, 730 Pater, Ave e Gloria. Gianni Macheda.
In Colombia trovata una tonnellata di cocaina nascosta nei toner delle stampanti. La fila alle fotocopie aveva cominciato a dare nell’occhio. Il rompi-spread. MF.
Non capisco quelli che credono che Renzi a 7 mila chilometri sia un male. Spinoza. Il Fatto.
Renzi ha rassicurato Mattarella che non vuole elezioni anticipate e Mattarella è tornato a dormire. Jena. La Stampa.
Si potrebbero salvare le casse di assicurazione malattia rifiutando di rimborsare le cure a tutti coloro (e sono statisticamente numerosi) che avendo smesso di produrre, si ostinano a continuare a vivere. Philippe Bouvard, Journal drôle et impertinent. J’ai lu, 1997.
L’applauso del popolo del Pd, alla Festa dell’Unità di Milano, nei confronti di Angelino Alfano, scatta come una rana sulle foglie bagnate di rugiada. Mario Sechi. Il Foglio.
«Quel che ci manca è una vera destra». «E una vera sinistra?». «Ora non chieda troppo». Vignetta di Sergio Staino. ilvenerdì.
L’imbarazzante eredità comunista si supera (o forse, meglio, si sarebbe superata) con una grande, continua, incessante battaglia culturale, quella che tutti i dirigenti del Pci-Pds-Ds non hanno mai intrapreso davvero dal 1989 ad oggi. Un lavoro duro, di scavo nelle tragedie della propria storia, di contrasto dei luoghi comuni, delle visioni di comodo, delle continue giustificazioni. Non solo del comunismo dell’Est è stata la tragedia del Novecento, è Fidel Castro a esserlo, qui e ora, per il popolo cubano. Liberate la seconda fila del vostro cuore dal Che, da zio Ho e da tutte le icone che custodite privatamente. Smettetela di dare sempre qualche colpa all’America. Superate la lettura a senso unico della storia d’Italia: resistenza e non guerra civile; Palmiro Togliatti geniale dirigente politico, e non uomo di Stalin in Italia; tutte le colpe alla Dc, anche se il patto costituzionale aveva spartito le competenze, loro al governo, al Pci il monopolio dell’opposizione, e lì sono nate le ragioni dell’attuale debolezza strutturale dell’Italia. Date ragione, senza se e senza ma, a chi ha avuto ragione della storia, i cugini socialisti. Claudio Velardi, L’anno che doveva cambiare l’Italia. Mondadori, 2006.
E figurarsi con quanto sollievo il capo del governo è saltato sull’aereo (in attesa di volare sul suo Air Force Renz, geloso marchio di Frank Underwood) per mettere il cappello sulle tenniste italiane agli Us Open e marinare l’inaugurazione della Fiera del Levante a Bari, dove i sindaci meridionali l’attendevano al varco per conoscere i suoi eventuali progetti per un Sud ormai fallito e abbandonato (11 deputati su 630 a dibattere alla Camera sul Mezzogiorno) e protestare contro la Buona Scuola, le trivelle, il Tap e altre delizie. Le immagini spiacevoli non vanno trasmesse, così non esistono. Gufe che non sono altro. Marco Travaglio. il Fatto.
Campo Dall’Orto, nella prima intervista data al Foglio, dice: «Dei nomi, dei talenti, che pure saranno decisivi, ci occuperemo più avanti». Seee, come no? Ciaone. Te lo dico io «più avanti»: questi sono già tutti morti. D’altronde Campo Dall’Orto è renziano, no? «Ce ne occuperemo più avanti» è come dire #statesereni, addio. «Da broadcast a media company»: ah, vabbè, ’mo pure lui co’ l’inglese. Ma quadra tutto, è come il Jobs Act, a questi qui gli piace, fa figo. Giù al bar devo ricordarmi: «Lucio! a coffee, please». Che due coglioni, però, ’sta intervista. Ma è sempre così: parlano, parlano e non dicono mai niente di diretto, bisogna interpretare. Il Foglio.
Vivo nell’angoscia della dissoluzione di Napoli come uomo e come religioso, quando vedo questi ragazzini attratti dal bene e conquistati dal male. Per un prete è una ferita mortale. Ecco perché ho detto che Napoli è spaccata tra la città bene e quella malamente. Si sono incazzati in molti, ma la realtà è che, alla fine, anche le zone ricche non ce la faranno più a sopportare il peso dei quartieri che esplodono dalla disperazione. Scoppierà qualcosa e la pagheremo tutti. Padre Alex Zanotelli (Enrico Fierro). il Fatto.
Sono nato a Verona l’11 luglio 1956, un mercoledì, in casa. Battezzato di gran fretta la domenica, perché una meningite stava per falciarmi. Due mesi in ospedale fra la vita e la morte. Madre amorevole ma molto apprensiva, convinta che sarei cresciuto un po’ scemo per via dei postumi: ciò dimostra che era una donna previdente. Padre calzolaio con cinque figli maschi da far studiare. Sgobbava 13 ore al giorno. Gli capitò di squarciarsi un pollice fino all’osso con il trincetto, se lo ricucì da solo utilizzando come filo da sutura lo spago che usava per i guardoli e si rimise a risuolare scarpe. Mi ha trasmesso il culto di Dio e del lavoro nonché il gusto del perfezionismo: era considerato il miglior ciabattino del circondario. Quando morì, nel 1990, mi lasciò in eredità l’unica cosa che aveva, una bicicletta, forse perché ero il più piccolo dei figli o perché mi vedeva troppo sedentario. Stefano Lorenzetto. Oggi.
Negli ultimi anni Ezra Pound sembrava un fiume prosciugato. A un certo punto non voleva più mangiare. Sentiva in lui crescere un senso di inutilità. Venne così il tempus tacendi. Il bisogno di ritrarsi dal mondo. «Lasciate che un vecchio abbia quiete», scrisse nei Cantos. Pensava di aver parlato troppo. Ricordo quella quiete. A volte, con la lentezza dei vecchi, lo vedevo passeggiare con mia madre. Sembravano due sculture di Giacometti. Esili. Enigmatiche. Mute. Due fantasmi usciti dai Cantos che avevano invaso i miei sogni. Mary de Rachewiltz, figlia di Ezra Pound (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Il dentista si lamenta: «Tutti adesso vogliono la fattura, anche i contadini che una volta pagavano con i polli». Dal film Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio.
Persone lacrimogene che si muovono solo dopo fatti scoppiati, uomini ciechi dall’intestino in giù. Alessandro Bergonzoni. il venerdì.
Bruno Tassan Din si è dichiarato estraneo ai fatti di cui viene accusato. «La giustizia», ha detto, «finirà col trionfare». L’avvocato difensore di Tassan Din ha dichiarato che se la giustizia trionfa, lui ricorre in appello. Amurri e Verde, News. Mondadori, 1984.
La buona opinione che gli altri hanno di noi non è mai così buona come quella che ne abbiamo noi stessi. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 16/9/2015