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 2015  settembre 16 Mercoledì calendario

I FONDI VOGLIONO UN PUBLIC MONTE

Il nuovo assetto di governo del Montepaschi disegnato dall’ultimo aumento di capitale piace agli investitori internazionali. Soprattutto ai grandi fondi esteri che ieri hanno seguito l’assemblea straordinaria convocata a Siena per eleggere il nuovo presidente Massimo Tononi (nominato dal 98,6% del capitale votante).
Se il copione dell’assise era praticamente già scritto da settimane, l’appuntamento è stato prezioso per sondare gli umori del nuovo corpo sociale della banca, polverizzato in una miriade di piccoli e piccolissimi soci di mezzo mondo. I commenti raccolti da MF-Milano Finanza suggeriscono che la contendibilità della banca piace molto e che i tentativi di limitarla dando vita a nuovi noccioli duri non sarebbero particolarmente graditi. Tanto più che oggi non si capisce chi potrebbe contribuire alla nascita di un nuovo patto parasociale dopo la fortissima diluizione della Fondazione (scesa sotto il 2%), mentre la prospettiva di un’aggregazione in tempi rapidi si fa sempre più concreta.
In un contesto di questo genere è comprensibile che nessun investitore voglia impantanarsi in vincoli analoghi a quelli in vigore finora. Va infatti ricordato che i vincoli parasociali tra Fondazione Mps, Btg Pactual e Fintech si sono allentati nel corso dell’estate: il 31 luglio, infatti, è scaduto il periodo di lock-up di Btg Pactual, che da allora ha mani libere sulla quota.
Anche se Fintech e Fondazioni resteranno vincolate fino al 2016, l’architettura generale dell’alleanza è stata insomma ridimensionata. Anche perché, in seguito all’aumento di capitale da 3 miliardi chiuso a giugno, il peso dei tre investitori nel capitale del Monte è mutato e oggi non risulta più determinante per gli assetti di controllo. Una rivisitazione degli accordi su nuove basi è soprattutto nell’interesse della Fondazione, longa manus di quei poteri locali che in passato hanno influito sulle strategie della banca. La soluzione favorita sarebbe la nascita di un patto di consultazione, una forma di accordo meno rigida del sindacato di voto, visto che agli aderenti impone solo obblighi di preventiva consultazione. Lo scambio di informazioni, infatti, non è vincolante per l’espressione del voto individuale e, dunque, lascia mani libere ai singoli azionisti. Dell’ipotesi, però, non si è mai discusso in sedi ufficiali e anche all’assemblea di ieri il tema è rimasto sullo sfondo. Segno che, nel migliore dei casi, i soci esteri del Monte non lo ritengono una priorità per le sorti della banca. Anche per i vertici di Palazzo Sansedoni il futuro del patto non è un argomento all’ordine del giorno: alle prossime riunioni della deputazione generale di lunedì 21 e martedì 29 settembre si parlerà d’altro, mentre non si ha notizia di recenti confronti con gli altri due pattisti, Btg Pactual e Fintech. A questa dialettica fanno da sfondo gli umori di ieri che evidenziano la freddezza degli azionisti esteri verso una riedizione del vecchio sindacato. Tanto più, per l’appunto, che gli assetti proprietari del Monte potrebbero essere tutt’altro che stabili.
Ieri l’ad Fabrizio Viola ha rilanciato con forza l’ipotesi di un’aggregazione definendola «una fonte di produzione del valore per la banca», anche se «per le aggregazioni bisogna essere in due e finché non ci saranno opzioni concrete continueremo a lavorare come stiamo lavorando», ha spiegato il banchiere. Sulla stessa lunghezza d’onda si è espresso anche il numero uno della Fondazione, Marcello Clarich, secondo il quale la ricerca del partner per Mps «sarà il primo dossier per il presidente Tononi. Il presidente, una volta insediato, dovrà valutare il contesto, i vincoli e le richieste della Bce». A Siena, insomma, l’impressione è che l’aggregazione sia alle porte, anche se sull’identità del partner circolano le ipotesi più disparate. Come quelle che vorrebbero in prima fila le spagnole Bbva e Banco Sabadell o quelle che rispolverano la carta Bnp Paribas. Di certo, comunque, sul fronte industriale il lavoro non è finito, come ha spiegato ieri Viola. I crediti deteriorati per 45 miliardi «sono il principale problema» per Mps, ha argomentato il banchiere, ricordando l’intenzione di vendere 1,8 miliardi di sofferenze in linea con quanto previsto dal piano industriale. C’è poi la trattativa con la banca giapponese Nomura per chiudere l’operazione Alexandria in merito alla quale le posizioni delle parti in causa risultano «ancora distanti».
Luca Gualtieri, MilanoFinanza 16/9/2015