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 2015  settembre 14 Lunedì calendario

PIRELLI, COSA SUCCEDE SE L’OPA NON ARRIVA AL 55%

Da quando è partita l’offerta di Marco Polo su Pirelli, il titolo è tornato poco sopra i 15 euro che la cordata capitanata da ChemChina propone agli investitori. Le poche banche d’affari che non sono advisor dell’operazione che si propone di ritirare il gruppo degli penumatici dal mercato, sono per lo più convinte che il prezzo non rispecchi il valore che si può estrarre dall’azienda, quotando separatamente le gomme dei camion da quelle del segmento consumer, di cui l’alto di gamma fa da padrone. L’obbiettivo dell’Opa è quello di ricomprarsi il 100% di Pirelli, separare la divisione camion per farla confluire dentro Aeolus, le attività quotate di ChemChina, per poi riquotare sul mercato il segmento di alta gamma entro quattro anni. Quest’attività, dicono fonti finanziarie vicino a Tronchetti che ipotizzano un’Ipo a Londra o a Honk Kong, da sola può valere 20 euro. A simili valutazioni arrivano anche gli analisti di Equita, Credit Suisse ed Exane Bnp Paribas, che proprio in settimana è tornata a ribadire la sua valutazione di buy su Pirelli con un prezzo di 18,3 euro. «Ho abbassato le stime per il 2015 e il 2016 per tener conto del rallentamento del Brasile – spiega Edoardo Spina di Exane – ma già grazie al forte marchio e al posizionamento sul premium di Pirelli, ritengo che nel 2017 l’azienda farà meglio dei rivali». In proposito, applicando uno sconto del 10-15 % rispetto al leader delle gomme da neve Nokian, Exane stima che le gomme consumer di Pirelli valgano 9 miliardi, più dei 7,3 offerti da Marco Polo. Simili considerazioni valgono per Credit Suisse che le valuta 8,8 miliardi, mentre Equita ha una stima di 8,3 miliardi. A dispetto dei prezzi di mercato, del fatto che grandi investitori speculativi come i fondi di John Paulson (7,5%), o soci di lungo termine come i Malacalza (6,9%), abbiano quote importanti di Pirelli, ci sono buone chance che l’Opa abbia successo. Per completare la fusione, Marco Polo che ha già opzionato il 35,8% di Pirelli deve arrivare al 55% , ovvero raccogliere 3 azioni su 10 flottanti. Detto questo, come ha fatto Sergio Marchionne scorporando le attività industriali di Cnh, fondendo quelle automobi-listiche di Fiat in Chrysler e studiando l’Ipo di Ferrari, la ristrutturazione delle gomme può essere fatta anche se Pirelli resta quotata (solo che a quel punto i tempi si allungherebbero). L’intera operazione viene inoltre finanziata a leva, ma il debito per creare valore a stretto giro, non potrà pregiudicare l’operatività industriale. Nel caso in cui l’Opa di Marco Polo arrivi al 50,1% di Pirelli e non si completi la fusione, il debito non potrà superare 2,5 volte il mol di Pirelli. Ma se i debiti restano ai piani alti, la prospettiva che la Bicocca paghi un dividendo straordinario si fa più concreta, dando ragione a coloro che non hanno aderito oggi all’offerta che termina il 13 ottobre. Infine il debito ai piani altissimi non è sostenibile, perché la cedola di Pirelli paga gli oneri ma non il capitale. Si rischia così di tornare all’emergenza dell’estate 2012, che costrinse Camfin a lanciare un bond convertibile in titoli Pirelli, emissione che alla luce dell’Opa odierna è costata ai soci Camfin il 16% di interessi all’anno. Oggi, invece, Unicredit e Intesa – che da azionisti partecipano anche al capital gain dell’operazione – hanno accordato delle linee di credito a cinque anni a un tasso dell’8%, un interesse conveniente – dato che sul mercato un debito che non è rimborsabile, comporta oneri a partire dal 12%. Infine qualcuno fa notare che il “Polo” di soci che Marco Tronchetti ha aggregato intorno a lui si è già frammentato. Se una volta a monte della Pirelli c’era una sola holding di cui l’imprenditore e manager era il primo socio, dopo l’Opa ce ne saranno tre: la finanziaria di ChemChina, quella dei soci italiani di cui Tronchetti è capofila e quella dei russi di Rosneft che si sono voluti staccare dalla vecchia Camfin per avere mani libere e scegliere in futuro con chi allinearsi tra italiani e cinesi.
Sara Bennewitz, Affari&Finanza – La Repubblica 14/9/2015