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 2015  settembre 14 Lunedì calendario

TESORO, ECCO COME NASCE UNA MANOVRA DA 25 MILIARDI

Portone del ministero dell’Economia, ti chiedi come sia possibile che più di quattromila persone riescano a dare un ordine al loro lavoro senza farsi fagocitare dall’enorme palazzo umbertino, dai suoi corridoi a prima vista tutti uguali e dalle sue centinaia di stanze, il primo edificio nella storia del Paese costruito apposta per diventare un ministero su impulso di Quintino Sella. Eppure un senso in questo gigantismo c’è. É qui che entro il 15 ottobre dovrà nascere la Legge di Stabilità. La prima manovra espansiva da anni, per molti dirigenti la prima in assoluto da scrivere con l’economia in crescita. Sarà per questo che i 700 funzionari tecnicamente al lavoro sulla manovra e i loro manager sembrano di ottimo umore. Mano a mano che incontriamo i capi dei dipartimenti che compongono il Mef nasce un gioco. Paragonare ognuno di loro a un giocatore di un club di calcio. Sarà per la crescita che rende il lavoro un po’ più facile, o perché tutti insistono sullo spirito di squadra portato dal ministro Pier Carlo Padoan, la metafora piace. E così si inizia a buttare giù una formazione. La punta, concordano tutti ridendo, non può che essere Matteo Renzi. Guai lasciare fuori squadra il premier. E Padoan? L’allenatore? No, non può avere il potere di sostituire Renzi, si scherza. E allora lo mettiamo a fare il trequartista.
Il modulo? Quest’anno si può abbandonare il classico catenaccio all’italiana per un atteggiamento più aggressivo.
Bruxelles permettendo. Già, perché anche se il Pil finalmente ha ripreso a salire, e come vedremo potrebbe farlo ben più di quanto stimato negli scorsi mesi dando una bella mano al Tesoro, gli obiettivi fissati da Renzi non sono facili da centrare. Una manovra da 25 miliardi, 16 circa per evitare l’attivazione delle clausole di salvaguardia, l’aumento dell’Iva, nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio concordati con l’Europa. Dieci miliardi arriveranno dalla spending review, sei saranno coperti grazie alla flessibilità sul deficit che l’Europa ci ha già concesso per il 2016 per premiare il programma di riforme. Ma poi ci sono da coprire le sentenze della Corte Costituzionale su pensioni e pubblico impiego, le classiche spese insopprimibili (come le missioni di pace all’estero) e infine il taglio delle tasse sulla prima casa e gli incentivi al Sud promessi da Renzi. Le coperture vanno trovate, la coperta è sempre troppo corta.
IL QUADRO MACROECONOMICO
E così inizia il viaggio negli “spogliatoi” del Mef. La prima persona con cui parlare per capire come nasce la manovra è il nuovo capo economista, Riccardo Barbieri Hermitte. E’ arrivato al Tesoro da pochissimo, assunto con un bando dopo una vita nel settore privato tra J.P. Morgan, Bank of America e Morgan Stanley. Parte da qui il lavoro di costruzione della Legge di Stabilità perché è Barbieri a dare i numeri. Letteralmente. É la sua direzione generale che fornisce le cifre sulle quali edificare la manovra, e le più importanti, ovviamente, sono le previsioni sul Pil. Il primo mattoncino dell’edificio, le fondamenta. «Potrei essere un mediano che imposta il gioco – scherza – anche se a me piaceva tanto Baresi che era un libero». Venerdì prossimo il governo approverà la nota di aggiornamento del Def e se le previsioni sulla crescita 2015 e 2016 saranno migliori dello 0,7% e dell’1,4% stimate negli scorsi mesi, Padoan e i suoi avranno più margini nel portare a termine il lavoro sulla Legge di Stabilità. «A livello qualitativo – spiega Barbieri con passione – i dati sono migliori di quelli del Def, la dinamica domestica dà segnali migliori ma il quadro internazionale è meno favorevole». Pesano le incertezze sulla Cina e il conseguente andamento negativo degli altri paesi emergenti come Brasile, Turchia e Russia. Si può arrivare allo 0,9% di crescita nel 2015 come già dichiarato da diversi politici vicini al governo? Barbieri sorride: «Il trimestre in corso non sta andando per niente male», è la risposta cifrata. E anche se non lo dice, l’espressione lascia capire che anche per il 2016 la crescita potrebbe essere rivista al rialzo. Il che renderebbe più facile trovare un accordo con Bruxelles. Dopo il regista arretrato, è necessario voltarsi indietro e parlare con gli stopper. Non possono che essere il Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, e la “Signora del debito”, Maria Cannata.
I SIGNORI DEI NUMERI
Il corridoio del Ragioniere generale – colui che tiene la chiave della cassaforte, nell’immaginario collettivo l’uomo dei “no” che stoppa le ambizioni della politica per tenere i conti in ordine – è l’unico ristrutturato con un gusto più trendy da uno dei suoi predecessori, Vittorio Grilli, poi ministro con Monti. Sono questi uffici che redigono materialmente gran parte della manovra e calcolano gli effetti sul bilancio di ogni misura: «Mettiamo insieme gli input della politica, il quadro macroeconomico, finanziario e accompagniamo tutto il lavoro». Franco, lo impone il suo ruolo, è riservato, da come guarda gli interlocutori capisci che il riserbo è la cifra della sua personalità bellunese. Ma se ti aspetti uno stopper arcigno, uno che dice di no, che frena ogni operazione che possa mettere a rischio il bilancio, resti sorpreso dalla sua ultima risposta. Come ha reagito quando le hanno detto che nel 2016 l’Italia cancellerà la Tasi? «La nostra pressione fiscale è al di sopra della media dell’eurozona – dice – così come il sommerso, il che significa che chi paga tutte le tasse paga un’aliquota più alta di quanto sarebbe giusto e questo limita la nostra competitività. Il taglio delle imposte è una sfida, bisogna vincerla riducendo la spesa e mantenendo gli obiettivi concordati con l’Europa». A proposito di Bruxelles, e la polemica sulla convenienza di tagliare prima le tasse sul lavoro e poi quelle sulla casa? «E’ una decisione politica, ma ricordo che il lavoro sulle imposte non parte ora, ci sono già stati gli 80 euro e gli interventi sull’Irap, ora tocca alla prima abitazione ma poi nel 2017 e nel 2018 sarà la volta delle imprese e dell’Irpef. L’importante è dare segnali chiari e mettere mano all’Imu in un Paese depresso è un segnale chiarissimo: in questo il presidente Renzi ha avuto la giusta intuizione».
La spinta del premier è una costante che in via XX settembre si sente. «Renzi osa molto, ci stimola, anche noi ora pensiamo più alla crescita che al rigore ma poi a volte può accadere che se lanci il pallone troppo forte poi non riesci a prenderlo», è la sensazione che si coglie mentre si continua il giro Si arriva da Maria Cannata,l‘altro centrale difensivo, la donna che gestisce i 2.200 miliardi di debito italiano, colei che nel 2011 e 2012 è riuscita a mantenere l’Italia sui mercati evitando il default . Ma in quei mesi riusciva a dormire? «Eh, insomma...» Se nei giorni della crisi del debito veniva spesso mostrata dai Tg seria e silenziosa, si rivela una donna allegra, di spirito. Se l’Europa ci darà il via libera a tagliare l’Imu è solo perché anche alzando un poco il deficit per finanziare l’abolizione della tassa sulla prima casa il debito dal 2016 finalmente inizierà a scendere. Ce la faremo davvero? «Certamente sì», risponde con un largo sorriso. Racconta che anche a luglio, nel pieno della crisi greca, la tenuta dei nostri titoli è stata più che soddisfacente. Certo, il quantitative easing aiuta, ma colei che incontra regolarmente gli investitori e piazza le aste sul mercato ha la sensazione che là fuori «stanno apprezzando ciò che stiamo facendo». Un lusso fino a qualche tempo fa impensabile: «Pensi un po’, ieri mattina ero indaffarata e non ho controllato l’andamento dello spread fino a ora di pranzo». Ma dal famigerato differenziale arriverà un regalo al governo sotto forma di risparmio di pagamento sul debito? Purtroppo no, perché se lo spread è basso dopo la primavera i tassi sono leggermente saliti tornando a livelli fisiologici e in linea con le stime fatte a inizio anno. Un aiuto alla riduzione del peso degli interessi è arrivato da Francoforte. «É evidente – dice – che il clima è cambiato da quando Draghi ha pronunciato la famosa frase “whatever it takes”. Ora qualche incognita è legata alle decisioni della Fed, che avranno come è logico un impatto anche se minimo sui tassi». Il sogno nel cassetto? «Ovviamente ridurre il debito: lo ha fatto il Belgio, con una serie continua di avanzi primari di bilancio».
TAGLI E TASSE
Al Tesoro nonostante il clima economico finalmente favorevole, si continua a giocare con la difesa a quattro. E dunque il primo dei due terzini, Luigi Ferrara, il capo del Dipartimento dell’amministrazione generale. Di questi tempi il suo contributo maggiore alla manovra è quello della razionalizzazione degli acquisti. Volgarmente detto, fa spending review a stretto contatto con gli uomini di Palazzo Chigi, Yoram Gutgeld e Roberto Perotti. La pubblica amministrazione spende 120 miliardi in acquisti, 67 solo per la sanità. «Centralizzando gli acquisti – spiega Ferrara – possiamo risparmiare fino al 20%». Molto è stato fatto: 40 miliardi di forniture sono già centralizzati, ma molto ancora resta da fare. «Dobbiamo estendere i settori e i soggetti» ai quali imporre la spesa centralizzata, anche se molte amministrazioni vedono questo meccanismo come un freno. Ma il gioco vale la candela, se quest’anno la spending deve portare in dote al governo 10 miliardi (naturalmente non tutti dal taglio degli acquisti), da aggredire ce n’è ancora: «Al momento presidiamo 40 miliardi di spesa, un terzo del totale, ma nel corso degli anni possiamo presidiarne altri 40 arrivando a un risparmio di otto miliardi». Nell’immediato è possibile ipotizzare che 1,5 miliardi di risparmi possano essere dati per acquisiti già nella prossima legge di stabilità. Su questo fronte il pressing è già iniziato: a inizio settembre una circolare di Ferrara e del Ragioniere Daniele Franco ha ricordato che passare per la Consip è un obbligo delle amministrazioni locali.
Se Ferrara dalla fascia porta risparmi da reimpiegare nella manovra, dall’altro lato del campo gioca Fabrizia Lapecorella, il direttore generale delle Finanze che porta il cash. Con un sorriso spiega che non vede l’ora di tagliare l’Irpef nel 2018 («è la tassa più difficile ma sulla quale intervenire dà più soddisfazione»). E la Tasi? «E’ l’imposta di fatto percepita come la più odiosa e tagliarla può far aumentare i consumi e la crescita». Ma le entrate quest’anno come stanno andando? «Stiamo registrando entrate in linea con le previsioni, e questo mi creda è già tantissimo». E’ la prima volta da quando lavora al Mef che non deve tappare buchi. Vanno bene le imposte dirette, meno bene quelle indirette ad eccezione dell’Iva che ad agosto ha registrato un aumento del 10% sugli scambi interni. Così come sta funzionando la lotta all’evasione, con una deterrenza che non si appoggia più su operazioni spettacolari, tipo i blitz a Cortina e Capri, «ma sul far capire che il Fisco dispone di tutti gli strumenti informatici e investigativi per conoscere i suoi contribuenti». Il suo sogno? «Portare a termine il programma del governo sul fronte fiscale».
L’EUROPA E LA CRESCITA
Se negli anni scorsi l’Italia giocava sempre in difesa, ora quel po’ di crescita in arrivo (saranno anche decimali, ma valgono oro) può anche alzare la testa e impostare una strategia per il rilancio dell’economia. E poi, ripetono al Tesoro, questa è la filosofia di Padoan. Così il centrocampo virtuale della sua squadra in questi mesi si è concentrato proprio su come irrobustire la crescita. Nel mezzo c’è il capo di gabinetto del ministro, Roberto Garofoli, ex segretario generale a Palazzo Chigi con Enrico Letta, giurista che al Mef lavora gratis: ha rinunciato alle indennità aggiuntive accontentandosi dello stipendio da magistrato distaccato. E’ lui che coordina tutto il lavoro del ministero. Sulla manovra segue passo passo l’attività dei quattro dipartimenti (Tesoro, Finanze, Ragioneria e Direzione Generale), dei consiglieri del ministro e della politica. Quando gli chiediamo quale sia la filosofia di gioco della ipotetica squadra del ministero, risponde: «Lavoriamo ad una politica cautamente espansiva». Tralasciando paragoni con il calcio è comprensibile per un Paese convalescente, ancora osservato speciale ma in ripresa di fiducia dopo i sacrifici, prima, e le riforme poi. In queste ore la sfida del ministero è quella di prevedere già nella Legge di Stabilità 2016 il taglio della tassazione sulle imprese del 2017 (la sforbiciata Irpef del 2018 invece è davvero difficile da inserire fin d’ora). Sia chiaro, non di anticiparlo all’anno prossimo, ma di metterlo subito in finanziaria con relative coperture in modo da dare la certezza che avverranno e così attrarre subito investimenti italiani e investitori stranieri. Così facendo si renderebbe la crescita più forte. Garofoli è anche il coordinatore dei rapporti con gli altri dicasteri, che appoggiano la crescita con altri provvedimenti tipo il ddl sulla concorrenza. «E’ importante – dice – eliminare le incrostazioni che rallentano la ripresa».
Una maglia a centrocampo la merita anche Vincenzo La Via, direttore generale del Tesoro. Metà del suo tempo lo passa in Europa, nei comitati tecnici dell’eurozona dove si decidono le politiche economiche dei Diciannove. «Ora tra i partner europei c’è meno scontro, ma più confronto positivo su come impostare strategie per la crescita e come accompagnare le riforme con maggiore flessibilità sui conti», racconta. Eppure proprio in queste ore le linee tra Roma e Bruxelles sono calde, si negozia il taglio della Tasi, un margine di flessibilità di un paio di miliardi che permetterebbe a Renzi e Padoan di eliminare l’imposta senza subire una procedura di infrazione che somiglierebbe a un commissariamento. L’Italia grazie alle riforme ha già ottenuto uno sconto sul risanamento dello 0,4% (6,4 miliardi usati per evitare l’attivazione delle clausole di salvaguardia). Ora chiede più spazio. Almeno uno 0,1% in più (usando tutto il margine previsto per le riforme), 1,6 miliardi circa. Per ottenerlo al Tesoro setacciano la lista delle riforme attuate negli ultimi mesi, provvedimenti anche di altri governi i cui decreti attuativi sono stati portati a casa da poco e che magari non erano entrate nel piano di riforme presentato lo scorso anno a Bruxelles per ottenere la flessibilità. Se abbiamo fatto più di quanto promesso, possiamo ottenere più margini di manovra. Il resto lo farà la crescita, che coprirà quanto manca (in tutto circa 4 miliardi) per coprire il taglio della Tasi. Ce la faremo ad ottenere il via libera Ue? «Ci sono tutti gli elementi per trovare un giusto equilibrio – spiega La Via – le riforme e la ripartenza del credito vengono colte positivamente all’estero e la nostra credibilità sta crescendo».
L’Italia chiederà anche uno o due decimali di flessibilità prevista dalla clausola degli investimenti, ma quei soldi non potranno essere usate per tagliare le tasse bensì per finanziare la realizzazione di una serie di infrastrutture da indicare a Bruxelles. Ma certamente l’investimento aiuterà la crescita che a sua volta renderà più facile coprire le spese future, anche l’alleggerimento del fisco.
Ci sono poi le ali, i due consiglieri di Padoan che lavorano sempre con un occhio alla crescita. Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del ministro, ufficiale di collegamento tra le amministrazioni e il gabinetto, è concentrato a trovare nuovi canali per la crescita o per tagliare spese inutili. Ha ideato la riforma delle Banche popolari ed è responsabile delle privatizzazioni. «Un’ala di fantasia», si definisce. Proprio in questi giorni si prepara la privatizzazione del 40% di Poste che partirà tra ottobre e novembre. Intanto nella segreteria tecnica si studiano gli incentivi alle imprese, specialmente per il Sud, annunciati a Cernobbio da Padoan, e alcune misure per far crescere le aziende anche dal punto di vista manageriale e del valore d’impresa. Spesso da qui partono suggerimenti che rovesciano le logiche consolidate: e adesso si sta lavorando ad un meccanismo per aiutare le imprese che vogliono accedere al mercato dei capitali, evitando che si accodino per attingere ai fondi pubblici. L’altra ala, quella “keynesiana” è il consigliere di Padoan per la macroeconomia, Federico Giammusso. Tiene i contatti con i vertici della Commissione europea. L’anno scorso ha evitato la procedura d’infrazione stilando la lista dei fattori rilevanti che giustificavano un risanamento meno incisivo del previsto, poi accettati da Bruxelles. Ora si punta sulle riforme e se quella del Senato passerà avrà un impatto sul negoziato con l’Ue così come l’aver terminato i decreti attuativi del Jobs Act. Anche per lui il clima a Bruxelles rispetto all’Italia è diverso e «c’è la consapevolezza che bisogna prendere misure veloci e capaci di fronteggiare la crisi che ha colpito tutti: le nostre sono considerate credibili e forti».
Ma la partita è ancora aperta, tanto tra le diverse misure che potrebbero entrare o uscire dalla manovra, quanto nel dialogo con Bruxelles. La squadra di Padoan è ancora al lavoro e poco importa se alla fine in questa formazione virtuale non si è trovato nemmeno un portiere. Per adesso tutti vogliono giocare in avanti.
Fabio Bogo e Alberto D’Argenio, Affari&Finanza – La Repubblica 14/9/2015