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 2015  settembre 16 Mercoledì calendario

NON DATE DEL TU A ECO O SARETE SEMPRE INFERIORI – 

Cosa sono le grandi tragedie storiche delle migrazioni e delle morti in guerra e in mare, al cospetto dell’affronto che ogni giorno è costretto a subire il Professor Umberto Eco, semiologo, filosofo e scrittore di fama internazionale. Egli – come racconta a Repubblica e come avrebbe raccontato al Festival della Comunicazione di Camogli se solo la pioggia non avesse costretto gli organizzatori ad annullarlo – entra in un negozio, anzi in un emporio, e ecco che la commessa, una ragazzina col piercing al naso, lo apostrofa con il “tu”. Dopo averla opportunamente redarguita, egli si reca all’Università, dove uno studente Erasmus lo saluta con un “ciao”. Ma è quando esce nella città piovosa per recarsi a casa, e si sente quasi al riparo dai proiettili vaganti del “Tu generalizzato”, che lo sconcerto lo agghiaccia, perché è allora che gli si para davanti un extracomunitario che, nel tentativo di vendergli un ombrello (pardon: un “parapioggia”), brandisce impudentemente l’odiato pronome: Tu.
Ora. Si sa che gli extracomunitari “usano il Tu con tutti”, tanto che non si può prendere un autobus senza che uno svizzero, un norvegese, un canadese ci atterrisca col minatorio: “Scendi alla prossima?”. Ma qui si parla di un particolare tipo di non appartenenti all’Unione europea: i neri (africani, bengalesi, cingalesi, magrebini…) che – come si sa in ogni mercato rionale del Paese – “usano il Tu con tutti, anche quando se la cavano abbastanza con l’italiano senza usare i verbi all’infinito”, come peraltro fanno nelle barzellette sui cannibali. I negri, insomma, il Tu ce l’hanno nel sangue.
Ma sarebbe niente. La cosa grave è che questi non si rendono conto che “usando indistintamente il Tu si qualificano subito come linguisticamente e culturalmente limitati” e con ciò “impongono a noi”, che saremmo pure disposti a istruirli, “di trattarli egualmente con il Tu”, giacché non sia mai che li facciamo sentire inferiori. Ovvio che questo, a lungo andare, impoverisce la nostra lingua, la nostra memoria, fors’anche la nostra civiltà. Perché pur con tutta la buona volontà è “difficile dire Ella a un nero che tenta di venderti un parapioggia”. Se almeno avessero il buon senso di addottorarsi in Discipline delle Arti e dello Spettacolo! Ma niente.
Significativo che continuino a fregiarsi del titolo di “vucumprà”, quando ad esser pignoli sarebbe più corretto “vuolcumprà”. Peraltro, “nessuno si prende cura degli extracomunitari appena arrivati per insegnare loro a usare correttamente il Tu e il Lei”, per esempio disponendo squadre di glottologi nei Cie per scremare almeno alla grossa quelli che avrebbero diritto a restare e quelli che invece è meglio rispedire a casa. Poi non ci lamentiamo se ce li ritroviamo sui social network, a limitare culturalmente i già limitati imbecilli. Nessuna pietà, altroché!, per questi che, furbescamente, si aggirano per le nostre strade cercando di racimolare 3 euro per il pranzo, nella presunzione di non acquisire alcuna contezza circa l’uso dei pronomi allocutivi reverenziali o di cortesia. Sì, sarebbe comodo: basta arrivare sulle nostre coste sdruciti, affamati, mezzi assiderati, e si può dare del “tu” a Umberto Eco.
È ora di smetterla di pensare che siamo noi, ad abituare i neri al Tu dandoglielo noi per primi, trattandoli come esseri inferiori, come bambini o come cani; sono loro che, senza vantare manco un corso di credito al Dams, ci costringono all’odioso uso, loro che erodono la nostra memoria rinfocolando al contempo i nostri più bassi istinti coloniali che credevamo sopiti, “evocando il ricordo del terribile ‘zi badrone’”. Questo avrebbe detto il Prof. Eco davanti alla platea del Festival della Comunicazione di Camogli, se solo un negro, culturalmente e linguisticamente limitato, avesse osato avvicinarsi a lui e agli ospiti brandendo un tracotante Tu, e un umile parapioggia.