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 2015  settembre 15 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - ROTTURA TRA RENZI E LA MINORANZA PD


REPUBBLICA.IT
STEFANO CECCANTI
Quando si presentano gli emendamenti a un testo ci sono due filtri di ammissibilità. Il primo avviene in Commissione da parte del suo Presidente e il secondo in Aula da parte del Presidente di Assemblea. Quando si pronuncia il Presidente di Commissione la sua decisione costituisce un importante precedente da cui è difficile discostarsi, specie quando, come in questo caso, essa è puntualmente ed esaustivamente motivata e, a mio avviso, appare scontata. Tuttavia, alla fine, il Presidente di Assemblea non sarebbe strettamente vincolato a quel precedente. Per questo, in vista di quella decisione, qualche margine di incertezza sugli orientamenti del Presidente Grasso al momento può ancora esistere. È evidente che se si assistesse a un capovolgimento di orientamento, che andrebbe comunque motivato in maniera molto puntuale (e risulta davvero difficile) la sorte di quell’articolo potrebbe determinare il crollo della riforma.
Dal punto di vista tecnico la decisione della Presidente Finocchiaro non è contestabile. L’articolo2, che modifica l’articolo 57 della Costituzione, nel passaggio alla Camera è stato cambiato solo per stabilire che i 21 senatori che sono sindaci decadono dal mandato non più solo quando smettono di farei sindaci ma anche quando termina il mandato il consiglio regionale che li ha eletti. Quindi su quel punto e sul testo finale dell’articolo si dovrà votare, ma non si poteva utilizzare quella limitata modifica per rimettere in discussione il resto che era stato approvato in forma identica.
Sul piano tecnico la maggioranza non esclude che in un articolo successivo, che corrisponde al 122, il quale tratta delle leggi elettorali regionali, si possa inserire un correttivo che consenta un’indicazione popolare dei consiglieri regionali-senatori, come ha proposto anche il centro studi Astrid.
Nei giorni scorsi il senatore Tonini aveva proposto una soluzione politica: in presenza di un consenso pressoché unanime (secondo il principio "nemine contradicente") un accordo puntuale per riproporre quegli stessi contenuti (ossia un’indicazione popolare dei consiglieri-senatori) avrebbe potuto anche far derogare ai criteri di stretto diritto. Al momento però questo accordo non è maturato.
Fuori da quello schema di accordo, indipendentemente da dove si inserisca il principio, con emendamenti che, se dichiarati ammissibili, sovvertano l’art. 2, il testo non terrebbe più: l’elezione di senatori in modo pressoché identico ai deputati metterebbe fatalmente in discussione sia la prevalenza Camera su molte materie (perché differenziare le funzioni se eletti in modo uguale?) sia la riscrittura del Titolo Quinto (le Regioni hanno accettato di restringere la propria competenza legislativa perché rappresentate in Senato, altrimenti salta questo equilibrio).
Quanto poi ai tempi della riforma è evidente che il numero spropositato di emendamenti, rimasto tale anche dopo la dichiarazione di inammissibilità, impedisce il lavoro della Commissione e porta fatalmente alla scelta di esaminarlo direttamente in Aula.

HUFFINGTON POST
Molto probabilmente tra oggi e domani il gruppo del Pd chiederà di calendarizzare direttamente per l’Aula il testo di riforma costituzionale. I Dem, infatti, secondo quanto si apprende da fonti maggioranza, avrebbero deciso di accelerare i tempi di esame evitando che il ddl Boschi "resti impantanato ancora a lungo in commissione". "Una mossa per stanare Grasso", spiegano fonti Pd. Già oggi in commissione la presidente Anna Finocchiaro ha stretto i tempi dichiarando inammissibili gli emendamenti al ddl Boschi.
Le centinaia di migliaia di emendamenti di Calderoli e lo strappo della minoranza Pd, che con Doris Lo Moro ha abbandonato il tavolo di confronto, avrebbero spinto Renzi ad accelerare. Alle 18.30 Zanda, la stessa Finocchiaro, insieme ad una pattuglia di senatori e in diretto contatto con la Boschi, metteranno a punto la strategia: scavalcare la Commissione e far decidere direttamente al presidente di Palazzo Madama sull’ammissibilità degli emendamenti e su eventuali modifiche all’articolo 2.
"Mi scuso ma non posso rimanere. Vorrei restare, ma devo allontanarmi per una situazione che si è creata, vi assicuro veramente di emergenza". Lo ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso, lasciando il convegno dal titolo ’Ricordo di Arrigo Boldrini a cento anni dalla nascita’ in corso alla Camera, per far ritorno di corsa al Senato.
Secco lo stop di Forza Italia. La maggioranza "andrà alla conta e spero che facciano bene i conti", risponde il capogruppo FI al Senato, Paolo Romani, a chi gli domanda se l’intenzione del governo sia quella di sfidare il voto dell’Aula.

HUFFINGTON POST
È il Mezzogiorno di fuoco sulle riforme. Con la minoranza che lascia il tavolo. Accade quando si riunisce l’ennesima riunione del Pd sulle riforme. Doris Lo Moro gela il ministro Boschi e Anna Finocchiaro: "Questa riunione - dice - non ha senso. Perché noi stavamo qui a discutere e a trattare di articolo due ma il premier ha dichiarato che l’articolo 2 non si tocca e non si tratta. Dunque questa riunione non serve più perché Renzi non vuole dialogare. Non sono io che me ne vado, ma questa riunione a non avere senso. Arrivederci". E lascia la stanza di palazzo Madama, lasciando di sanno Boschi e Finocchiaro, ma anche gli altri presenti: il sottosegretario Pizzetti, e capigruppo Zanda e Rosato.
È una posizione condivisa in una serie di riunioni della minoranza. Dopo che le parole di Renzi a Otto e Mezzo hanno fatto scattare il warning. Che era nell’aria da giorni, visto che, per dirne una, la mediazione proposta da Giorgio Tonini è stata silenziata e rottamata da palazzo Chigi. Allarme che è scattato anche nelle stanze di Pietro Grasso che - in privato - non ha celato il suo disappunto, cogliendone un sapore di sfida e anche un certo sgarbo istituzionale. Perché non solo il premier risponde agli auspici del presidente del Senato sulla necessità di un accordo politico con un classico "non tratto", ma scarica sulla Seconda carica dello Stato le fibrillazioni della minoranza: "Problema di Grasso".
Il clima si fa incandescente davvero. Istituzionalmente. Perché sulle spalle di Grasso c’è una decisione (quella se votare o meno l’articolo due) che rischia di trasformare il Senato davvero in un western. E Politicamente. Perché ormai i Pd sono due. Incomunicabili. Denis Verdini, che tiene il pallottoliere con Luca Lotti è certo che Renzi "asfalterà" la minoranza: "Alla fine - ha confidato Verdini - la sinistra non supera i 15". Ed è certo che qualche assenza strategica arriverà da Forza Italia. Linea che rende esplicita il ministro Boschi, entrando in commissioni Affari costituzionali del Pd: "Io sono ottimista, secondo me l’accordo lo raggiungiamo. Sono emerse alcune differenze all’interno della stessa minoranza tra Camera e Senato". Ora tutti gli sforzi dello stato maggiore renziano sono indirizzati a dividere la minoranza. Da quelle parti però assicurano invece che "sotto quota 25 non si scende". Tra una settimana l’Aula.

REPUBBLICA.IT
ROMA - Uno strappo in piena regola al quarto tavolo tecnico dove da giorni si sta cercando di trovare la sintesi tra governo e dissidenti interni al Pd (il partito di cui il premier Matteo Renzi è segretario) per approvare in terza lettura la riforma costituzionale. La senatrice della minoranza dem, Doris Lo Moro - bersaniana doc - abbandona il vertice del Pd sul disegno di legge che intende cancellare il bicameralismo perfetto e parla di "binario morto".
A risponderle a stretto giro, però, è il ministro Maria Elena Boschi che taglia corto con un "spiace per chi se ne va, il lavoro prosegue" mentre in commissione Affari costituzionali al Senato la presidente Anna Finocchiaro annuncia che, nell’esame degli emendamenti alle riforme costituzionali, saranno considerati inammissibili gli emendamenti all’articolo 2 - quello cruciale, su cui si discute da mesi, che riguarda l’eleggibilità diretta dei futuri senatori - "a meno che non ci sia un accordo politico da parte di tutti i gruppi". Accordo che a oggi proprio non c’è (gli emendamenti al provvedimento sono oltre 500mila). La novità la scrive il senatore Pd, Francesco Russo, su Twitter.
Ipotesi accelerazione. Il Pd potrebbe chiedere la calendarizzazione in aula del ddl riforme già alla prossima capigruppo, senza attendere dunque la conclusione dell’esame in commissione. Un’accelerazione voluta da palazzo Chigi. "Una mossa per stanare Pietro Grasso", spiegano fonti Pd. Nei giorni scorsi, infatti, il presidente del Senato aveva detto a proposito degli emendamenti all’articolo 2: "Io dirigo l’aula, quando sarà il momento deciderò io". Di sicuro c’è che nel pomeriggio Pd e maggioranza hanno chiesto a Grasso di convocare per domani la capigruppo. La notizia di una convocazione per domani, però, si era sparsa ancora prima che vi fosse la richiesta. Da qui la precisazione da parte di fonti della presidenza del Senato: "Finché resta questo Senato e il Regolamento è ancora quello in vigore, a convocare la conferenza dei capigruppo deve essere il presidente del Senato, e non altri". A ciò, si aggiunge la tempistica ribadita sempre oggi da Renzi secondo il quale il ddl riforme deve essere approvato entro il 15 ottobre visto che entro la medesima data la legge di Stabilità dovrà approdare a Palazzo Madama.
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La replica del ministro. Dice la Boschi dopo lo strappo della Lo Moro: "Io sono ottimista. Secondo me l’accordo lo troviamo. Anche e soprattutto con la minoranza Pd. La Lo Moro dice che siamo su un binario morto? No, assolutamente, passi avanti importanti sono stati fatti su diversi punti. L’importante, politicamente, è parlare con tutti. Stiamo lavorando per cercare di arrivare a un accordo ancora più ampio di maggioranza e con il coinovolgimento anche di parte delle opposizioni. Pur non essendo preoccupati per i numeri, l’impegno politico è cercare di parlare con tutti e avere un consenso più ampio sulle riforme costituzionali".
E ancora: "Abbiamo lavorato seriamente ieri come le scorse settimane - prosegue la Boschi -, con grande disponibilità da parte di tutti. Ed erano emerse differenze all’interno della stessa minoranza Pd". Quanto ai numeri, che rischiano di non esserci nell’aula di Palazzo Madama, il ministro ribadisce: "Non siamo preoccupati per i numeri ma il nostro dovere è per un accordo ampio".
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Lo strappo e gli equilibri. A sostegno della scelta compiuta oggi dalla Lo Moro, tuttavia, la minoranza dem ci sarebbe: la senatrice, infatti, partecipava al tavolo in qualità di capogruppo Pd in commissione ma è anche firmataria del ’documento dei 25’. La minoranza si è quindi riunita a Palazzo Cenci e ha rilanciato le sue richieste di modifica alla riforma costituzionale su quattro punti: elezione del Senato, funzioni, organi di garanzia e federalismo.
La parlamentare, infatti, ha lasciato la riunione col ministro e i capigruppo di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda (al tavolo, oltre alla Finocchiaro, anche il sottosegretario Luciano Pizzetti, ed Emanuele Fiano) per poi andare subito all’appuntamento coi dissidenti ai quali ha detto: "Siamo a un binario morto, a quel tavolo non si discute né di articolo 2 né delle funzioni del Senato". La minoranza Pd è intenzionata a mantenere gli emendamenti ribadendo che deve essere garantita l’elezione diretta dei senatori con un intervento sull’articolo 2 del ddl Boschi. Insiste poi su garanzie del Senato e funzioni delle regioni nel Titolo V. A chi poi le chiedeva se la minoranza approverà o meno il ddl Boschi ha risposto: "Valuteremo ma non credo che la voteremo".
Le reazioni. Di contro, al termine della riunione con la Boschi, è Rosato a dichiarare: "C’è serenità e impegno a trovare un’intesa che tenga dentro tutto il partito e allarghi il consenso su una riforma che va portata fino in fondo. Denis Verdini ha già votato questa riforma - ha aggiunto, commentando le parole di Pier Luigi Bersani - mi sembra l’approccio sbagliato".
Intanto, è Giorgio Napolitano - oggi senatore a vita dopo aver ceduto il testimone a Sergio Mattarella al Colle - a commentare la situazione da Palazzo Madama: "Non vedo possibile un’intesa" al di fuori del percorso indicato dalla presidente Finocchiaro "sopratutto se si vuole riaprire la scelta di un Senato che rappresenti le istituzioni territoriali".
Da Forza Italia, è il capogruppo al Senato Paolo Romani a dire: la maggioranza "andrà alla conta e spero che facciano bene i conti. Chiederemo un comitato ristretto tra tutte le forze politiche per verificare se c’è la volontà della maggioranza di far concorrere tutti alla riforma costituzionale". Romani ribadisce poi la contrarietà del partito di Silvio Berlusconi al ddl così com’è e parla di una "totale indisponibilità da parte della maggioranza che - aggiunge - ci trova sgomenti".
Nodo emendamenti. In commissione è iniziata oggi l’illustrazione degli emendamenti da parte dei presentatori. All’inizio della seduta la presidente Finocchiaro ha spiegato che i circa 2.800 emendamenti all’articolo 2 del ddl Boschi saranno considerati inammissibili perché esso è stato votato in doppia lettura conforme sia al Senato sia alla Camera. L’articolo 104 del regolamento di Palazzo Madama - ha ricordato la presidente della commissione - permette di presentare emendamenti solo nelle parti del testo toccate da modifiche della Camera. Per questo motivo verranno ammessi gli emendamenti solo al comma 5 dell’articolo 2, nel quale Montecitorio ha cambiato una preposizione ("nei" è diventato "dai"). Le modifiche ai testi approvati con doppia seduta conforme, ha sottolineato ancora Finocchiaro, sono modificabili solo se c’è l’accordo di tutti i gruppi parlamentari, secondo il principio del diritto parlamentare del nemine contradicente.

PROPOSTA BASSANINI
Per introdurre l’elettività (o meglio, un meccanismo di «designazione») nel nuovo Senato non è necessario modificare l’articolo 2 del ddl Boschi, ma si può intervenire sull’articolo 35 che modifica l’articolo 122 della Carta. Lo ha proposto il presidente della Fondazione Astrid Franco Bassanini con una lettera ai membri delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato. L’articolo 122 è già stato modificato in prima lettura e ora si può aggiungere un riferimento «alle modalità con le quali sottoporre agli elettori le candidature dei membri del Consiglio regionale che rappresenteranno la Regione nel Senato».

INTERVISTA A ROSATO SUL CDS DI STAMATTINA
ROMA «Nessun cedimento, l’articolo 2 non si tocca». Ettore Rosato, capogruppo alla Camera del Partito democratico è reduce da una riunione dem sulle riforme. Ma racconta di un altro incontro, lunedì scorso a Berlino: «Ho chiesto al vicecancelliere dell’Economia Sigmar Gabriel di darci una mano sulla flessibilità. Lui mi ha risposto: “E voi la approvate la riforma del Senato?”. Ecco, questo per dire quanto la riforma sia legata al futuro del Paese e alla sua credibilità».
Ma a che punto siamo?
«È un obiettivo che l’Ulivo insegue dal ‘95. Senza citare i tentativi della Iotti del 1979. Il testo approvato alla Camera è un ottimo testo, su cui si possono fare modifiche».
Non sull’articolo 2 e sull’elezione indiretta dei senatori. È davvero un totem intoccabile?
«Non serve modificarlo. Se l’obiettivo è garantire un rapporto più stretto tra eletti ed elettori, ci sono altre strade».
Quali?
«Si può intervenire sull’articolo 122 della Costituzione, sottoponendo alla valutazione degli elettori le candidature dei consiglieri regionali. Sono soluzioni indicate anche da Astrid e dall’onorevole Lauricella, della minoranza».
Vannino Chiti ha invitato a «non arrampicarsi sugli specchi». Perché non toccare l’articolo 2?
«Perché è stato votato in modo conforme da Camera e Senato. E la mia esperienza parlamentare mi dice che non si può intervenire, salvo intese tra tutti i gruppi. Ma deciderà il presidente Pietro Grasso».
Il vostro problema sono i tempi. E le imboscate.
«Sì. Il nostro obiettivo è chiudere entro la legge di stabilità, cioè entro il 15 ottobre. Il 2016, poi, sarà l’anno del referendum confermativo».
Ma così chiudete le porte a ogni dialogo.
«No, siamo apertissimi. Ci sono critiche che hanno grande dignità. Come quelle sulle competenze del Senato: per raggiungere una mediazione interna, alla Camera abbiamo agito in maniera troppo drastica. E credo che le obiezioni di chi vuole un Senato più centrale vadano ascoltate».
Giorgio Tonini, che non è della minoranza, proponeva un intervento sull’articolo 2.
«Possiamo arrivare allo stesso obiettivo altrimenti. Mettiamo in sicurezza la riforma».
E la proposta di Calderoli? Ventuno sindaci e settantaquattro eletti?
«Calderoli è sempre scoppiettante, ma i suoi 500 mila emendamenti non sono una dimostrazione di volontà».
Ma li ritirerà se prendete in considerazione la riforma.
«Quando uno anticipa che è pronto a presentare 8 milioni di emendamenti in Aula, lo chiamo ricatto non discussione di merito».
Siete pronti al pallottoliere in Aula? A chiedere i voti dei verdiniani e di Forza Italia?
«Ncd, Forza Italia e verdiniani l’hanno già votata. Altri la vogliono far fallire».
Si evoca sempre più la scissione nel Pd.
«Io la esorcizzo. Sarebbe un grave errore: stiamo bene insieme nella diversità».
Quagliariello (Ncd) dice che «o il governo rimette mano all’Italicum, consentendoci di esistere, o ci saranno conseguenze per le riforme».
«Frase strana per chi ha votato l’Italicum e sta al governo. La legge elettorale è approvata, gli italiani si aspettano che ci occupiamo di lavoro e crescita».

REPU DEL 5/9
FRANCESCO BEI
ROMA - L’intesa sulla riforma costituzionale è a un passo. Il momento della svolta è arrivato mercoledì sera, quando nell’ufficio di Renzi a palazzo Chigi sono saliti in gran segreto il ministro Boschi, il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda e la presidente della commissione affari costituzionali, Anna Finocchiaro. Portavano un messaggio di allarme e una richiesta precisa. Seduti davanti alla sua scrivania, Zanda e Finocchiaro hanno descritto la situazione al premier senza edulcorare la realtà: «Matteo, devi fare un’offerta alla minoranza del partito. Altrimenti stavolta rischiamo davvero che salti tutto». In piedi dietro di loro, Maria Elena Boschi annuiva: «Ascoltali, purtroppo è così».
Renzi, che alle strette ragiona come un politico e sa distinguere una sfida da una roulette russa, li ha guardati negli occhi e ha capito: «Va bene. Ditemi cosa posso fare ». È a questo punto che Anna Finocchiaro - da relatrice del testo ne conosce ogni piega più nascosta - ha abbassato la voce, si è avvicinata ancora di più al tavolo e ha spiegato quanto aveva concordato prima della riunione con Boschi e Zanda: «Devi accettare l’idea del listino. Ci abbiamo riflettuto e pensiamo che il problema dell’articolo 2 possa essere aggirato. Senza toccare quell’articolo, possiamo inserire la norma sul listino in altri due articoli che la Camera ha modificato».
Si tratta dell’articolo 10 della riforma, quello sul procedimento legislativo, oppure dell’articolo 35, che disciplina i limiti agli emolumenti dei consiglieri regionali. Entrambi ritoccati da Montecitorio e non suscettibili della blindatura data dalla “doppia lettura conforme” delle due Camere (come invece l’articolo 2, anche se la minoranza dem contesta questa interpretazione). L’idea insomma è quella di introdurre una forma “light” di elettività, facendo scegliere i consiglieri regionali che diventeranno senatori direttamente dai cittadini. Ma sempre tenendoli a carico delle Regioni.
Accettato il principio, che finora gli aveva sempre fatto storcere la bocca, Renzi ha chiesto tuttavia la garanzia che «l’articolo due non venga toccato», una condizione che potrebbe realizzarsi solo se la minoranza Pd ritirasse i suoi emendamenti. Inoltre per il premier è fondamentale la questione dei tempi e pretende che la riforma venga approvata in aula «entro la prima settimana d’ottobre ».