Francesco Bei, la Repubblica 13/9/2015, 13 settembre 2015
MA RENZI NON MOLLA “UN ACCORDO SI FA SOLO SE C’È L’OPPOSIZIONE”
ROMA.
La parola chiave per capire quello che è successo ieri è «reciprocità». È questo il mandato che Renzi ha affidato al pacchetto di mischia incaricato di gestire il dossier riforme: da Tonini alla Boschi, da Guerini a Finocchiaro. Con Luca Lotti nel ruolo del “poliziotto cattivo”. «Reciprocità», che tradotto significa una cosa sola: «Potremmo riaprire l’articolo 2 della riforma –spiega uno degli sherpa renziani - solo a patto di un accordo generale tra tutte le forze politiche. Cose che allo stato purtroppo non si vede». Insomma il premier continua a non fidarsi. E teme che l’articolo2 sia solo il grimaldello per far saltare tutto il disegno di legge. E mettere a rischio la stessa esistenza del governo, a cui è legato il cammino delle riforme.
«Se davvero puntano ai contenuti - dice il premier pensando alla minoranza interna - allora siamo d’accordo. Si fa il listino come gli abbiamo proposto e la chiudiamo in quindici giorni. Altrimenti vuol dire che il loro scopo è un altro». La trincea è questa.
E, a ben vedere, anche l’apparente apertura affidata ieri dal renziano Giorgio Tonini all’Huffingtonpost contiene una “poi-son pill”, una clausola capestro. I renziani in fatti chiedono in sostanza che sia la minoranza dem a garantire anche per altre forze politiche d’opposizione. Ovvero a coinvolgere Forza Italia, Lega e Cinque Stelle in un eventuale accordo sull’elettività dei consiglieri-senatori. Ma se le opposizioni, come è probabile, dovessero rispondere picche e non ritirare le loro migliaia di emendamenti, a quel punto dovrebbe essere la stessa minoranza Pd a riconoscere che l’unica via d’uscita è quella suggerita dalla Finocchiaro. Ovvero stabilire che i cittadini possono scegliere i consiglieri-senatori, ma scriverlo in un altro articolo della riforma. Non nell’articolo2 ma in uno di quelli già modificati da Montecitorio e che dunque possono tranquillamente essere “riaperti”. In fondo, benché nascosto in un linguaggio moroteo, lo stesso Tonini - apparentemente il più aperturista – ha previsto la trappola: «Chi ti sostiene che la sua proposta possa “allargare i consensi, coinvolgendo forze di opposizione”. Penso sarebbe saggio verificare con serietà politica e onestà intellettuale questa ipotesi. La stessa serietà e la stessa onestà che dovrebbero portarci, nel caso constatassimo insieme l’impraticabilità tecnica e politica della proposta avanzata da Chiti, a convergere uniti, tutti uniti, sul bene possibile, che è sempre da preferire all’ottimo impossibile». Da qui, appunto, potrebbe partire l’offerta last minute rivolta a tutti i gruppi parlamentari. Un rapido giro di consultazioni, condotto magari da quel gruppo di lavoro messo in piedi dopo l’ultima assemblea del gruppo dem (i capigruppo, la Boschi, due rappresentanti per bersaniani e cuperliani, oltre a Fiano e Pizzetti) per verificare appunto la disponibilità delle forze d’opposizione a realizzare questo scambio: la maggioranza rinuncerebbe ai senatori scelti dai consigli regionali e darebbe via libera al listino, l’opposizione dovrebbe però ritirare tutti gli emendamenti all’articolo 2. Uno scenario ai limiti della fantascienza. Per questo l’intesa, che ieri poteva apparentemente sembrare a un passo, in realtà è ancora tutta da costruire. E il tempo stringe, visto che martedì in commissione affari costituzionali si inizierà a fare sul serio. «L’accordo resta difficile - ammette infatti Miguel Gotor - perché per noi è fondamentale la relazione tra la legge elettorale e il superamento del bicameralismo. Visto che l’Italicum non lo vogliono cambiare, allora non possiamo cedere sull’articolo2». In apparenza si tratta di una questione di lana caprina, visto che sul listino sia la minoranza dem che i renziani sembrano concordi. Ma la forma è sostanza e nessuno vuole cedere. Anche perché, dietro lo schermo della riforma, si sta combattendo il primo tempo della sfida del 2017, quella sulla segreteria del Nazareno. Maurizio Martina, il ministro dell’Agricoltura che guida la corrente degli ex bersaniani di governo, non a caso tira in ballo proprio la sfida interna e lancia un appello alla minoranza: «Continuiamo instancabilmente il nostro lavoro di sintesi e chiediamo a tutti di stare al merito senza non vivere questo passaggio come fosse l’ennesimo atto di un congresso che non c’è».
Al ritorno di Renzi da New York è prevista una riunione decisiva sul da farsi. Le lancette scorrono.
Francesco Bei, la Repubblica 13/9/2015