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 2015  settembre 13 Domenica calendario

LA BAD BANK ADESSO? SAREBBE UN REGALO A CHI HA IN MANO GLI ISTITUTI DI CREDITO

La visita a Roma del Commissario Europeo alla Concorrenza, che continua a non dare il via libera alla Bad Bank voluta dal Governo Italiano, e la contemporanea approvazione del Decreto che recepisce la Direttiva sulla risoluzione delle crisi bancarie non sembrano una coincidenza fortuita. Riprendendo quanto già scritto su queste colonne, trasferire allo Stato il rischio delle perdite sui crediti delle banche (l’essenza della Bad Bank) è una soluzione corretta quando le perdite rischiano di mettere a repentaglio la solvibilità del sistema bancario, creando un danno al Paese. La Bad Bank andava fatta quattro anni fa, in pieno rischio Italia. Oggi le banche sono state ricapitalizzate e dichiarano ratio patrimoniali ben al di sopra di quelli richiesti; gli stress test hanno imposto la pulizia dei bilanci; il valore dei titoli bancari in borsa è aumentato di 2,5 volte dai minimi; i crediti in sofferenza possono essere facilmente collocati nel mercato, vista la forte domanda degli investitori istituzionali; e le nuove regole contabili, che richiedono di valutare i crediti sulla base della probabilità del futuro rimborso, allineandone così i valori a quelli di mercato, facilitano lo smobilizzo. Oggi la Bad Bank sarebbe soprattutto un regalo agli azionisti delle banche.
Al posto della Bad Bank suggerivo che facilitare il mercato secondario dei prestiti togliendo la “tassa” sulle sofferenze (perdite ammortizzabili su 5 anni) e tagliando i tempi di recupero dei crediti. Cosa che il Governo ha fatto. Allora, perché insistere? E perché Banca d’Italia permette di non considerare in sofferenza, riducendo così gli accantonamenti necessari, un’azienda che richiede un concordato “in bianco” (blocco automatico dei creditori per 6 mesi), e poi un concordato “con continuità”, che è un dichiarato stato di insolvenza, allunga i tempi dell’eventuale recupero dei crediti, e contrasta la sostanza dei nuovi criteri contabili?
Affermare che con meno sofferenze le banche potrebbero erogare più credito, è pura demagogia. In questo momento le banche sono affamate di imprese sane da finanziare, i coefficienti patrimoniali mostrati in bilancio permettono loro un’ampia erogazione del credito, e possono contare sui finanziamenti Bce a tassi agevolati. Ma ai debitori a rischio, o in difficoltà, il credito sarebbe negato comunque.
Forse, la risposta è nella nuova norma sui dissesti bancari, impostaci dall’Europa. Un semplice esempio per spiegare. Immaginiamo che una banca abbia erogato prestiti per 300 miliardi, finanziati da piccoli depositi (120), grandi depositi oltre 100mila euro (80), obbligazioni (50) e patrimonio (50). Se 70 miliardi di prestiti vanno in sofferenza, l’attivo si riduce a 230 e la nuova legge impone che se ne facciano carico per prima gli azionisti, che perderebbero il patrimonio (50), e poi gli obbligazionisti, tagliando valore delle obbligazioni dei restanti 20. Per ricostituire il capitale si attinge infine alle obbligazioni residue, ed eventualmente ai grandi depositi, convertendole in azioni.
Sorge il dubbio che si insista con Bad Bank, aiuti fiscali, e interpretazioni vantaggiose delle regole, per timore che la nuova vigilanza della Bce faccia emergere prima o poi un valore dei crediti sostanzialmente inferiore a quello contabile mettendo in crisi qualche istituto bancario; o incidendo significativamente sui valori di qualche popolare, colpendo così radicati interessi locali, alle prese con trasformazione in Spa e aggregazioni; o imponendo l’applicazione della nuova legge a banche attualmente in amministrazione (Marche, CR Ferrara, PopEtruria) o in ristrutturazione (PopVicenza, Veneto Banca). Se i cittadini dovessero perdere soldi investiti in azioni e obbligazioni di qualche banca italiana, le ricadute politiche sarebbero facili da immaginare. Meglio evitare il rischio.
Così, se anche si dovesse arrivare ad applicare la nuova legge, c’è pronto un paracadute. Nel meccanismo di risoluzione della legge, è fondamentale chi stabilisce se i 300 miliardi dell’esempio valgono davvero 230: la Direttiva impone una valutazione indipendente da qualsiasi Autorità pubblica, di mercato, e trasparente. Ma il Decreto attribuisce a Banca d’Italia un potere di prima valutazione, che successivamente deve essere validata da un perito indipendente. Impugnerà mai la valutazione Banca d’Italia? Suvvia non è credibile.
Alessandro Penati, la Repubblica 13/9/2015