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 2015  settembre 13 Domenica calendario

IL TEMPIO DEL TENNIS SOTTOSOPRA E NEW YORK ADOTTA LE ITALIANE

Appena esci dalla metropolitana, la numero 7 alla fermata Willets, ti viene incontro un nero che dice di chiamarsi Jay: «Biglietti? Cercate biglietti?», chiede con fare circospetto. Ma come, non vai a vedere la finale del secolo tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci? «Ehi man, saranno brave e pure simpatiche, non discuto. Però io ero venuto qui per celebrare Serena Williams che faceva la storia. Ho due biglietti buoni, amico, box a un passo dal campo. Te li vendo a 350 dollari, face value, giusto per recuperare i soldi che ho speso».
Benvenuti in quello che Jerry Seinfeld, l’eroe televisivo della commedia cinica newyorchese, chiamerebbe «bizarro world», il mondo all’incontrario. Da una parte, il premier Matteo Renzi che sale spavaldo in giacca e cravatta blu verso il palco presidenziale, e commenta felice: «Per noi è un grande giorno, una giornata storica. Sono orgoglioso delle nostre ragazze». Dall’altra la First Lady Michelle Obama, che deve limitarsi a consolare la nazione via Twitter: «Brava Serena, siamo orgogliosi di tutto quello che hai fatto quest’anno». Certo, giusto. Però lo sport è spietato: uno solo vince, tutti gli altri sono al massimo i primi fra gli ultimi. E quella che doveva essere un’impresa storica americana, il Grande Slam, mai vista dai tempi di Steffi Graf, si è trasformata in una delusione storica per gli americani, e in una gioia mai vista per gli italiani. Due mondi, due stati d’animo opposti, nello stesso catino minacciato dalla pioggia dello stadio intitolato ad Arthur Ashe.
I GIORNALI SPIAZZATI
L’America era così sicura di vedere il solito film a lieto fine, che il «New York Daily News» non ha potuto fare a meno di sfottere Eurosport, colpevole di aver trasmesso un promo della finale che metteva Williams contro Pennetta: non avevano neppure aspettato la fine del match, per fare un errore tipo quello della Chicago Tribune, quando dopo le elezioni del 1948 aveva assegnato la Casa Bianca a Dewey. Nel «bizarro world», noi italiani stavamo celebrando, riscoprendo l’orgoglio nazionale, mentre i media americani cercavano disperatamente di trovare una risposta allo scherzo del destino. «Serena - constatava il sito Slate - dice che vince sempre perché ha la volontà di farlo. Stavolta non è bastata, però». E poi il New York Times: «L’unica possibilità che Serena perdesse stava nel fatto che cedesse alla pressione. Ed è successo». Intanto i prezzi dei bagarini per i biglietti della finale femminile andavano a picco, quasi come le azioni di Wall Street nel «Black Tuesday» del 1929: oltre duemila dollari venerdì mattina, anche zero ieri sera. Come accade solo nella distruzione creativa del capitalismo puro, i rivenditori avevano già voltato le spalle agli Open, per concentrarsi invece sulle aste che offrivano i biglietti vinti alla lotteria per testimoniare il 25 settembre la processione di Papa Francesco a Manhattan.
IL PREMIER
L’America è forte per questo: mette alle spalle le delusioni e ricomincia a costruire guardando avanti. Quello che dovrebbe imparare anche l’Italia da questa storia, secondo Renzi: «Oggi abbiamo sorpreso l’America, queste ragazze hanno dimostrato che siamo un grande Paese, hanno fatto una cosa che dovrebbe ispirare tutti noi». Un concetto simile a quello di Giuseppe Lavazza, che con la finale azzurra si è goduto l’esordio della sua azienda come fornitrice ufficiale del caffè agli Us Open: «Si sono dimostrate due straordinarie combattenti. Rappresentano quel tipo di Italia che vuole emergere grazie alla determinazione, al talento e alla capacità di rischiare, quel tipo di Italia che deve ispirarci in tutti i campi». Ognuno a suo modo, poi. «God Bless America» e i marines che arrotolano la bandiera a stelle e strisce sotto rete, per cominciare la sfida secondo la sceneggiatura pensata dagli organizzatori diventati solo spettatori, e poi «L’Estate Addosso» di Jovanotti per omaggiare Flavia, Roberta, e l’Italia.
Paolo Mastrolilli, La Stampa 13/9/2015