Mattia Feltri, La Stampa 13/9/2015, 13 settembre 2015
FORZA ITALIA AI MINIMI STORICI TROPPI AUTOGOL DAGLI ALLEATI
In Forza Italia non si deprimeranno nemmeno stavolta per il sondaggio Demos che li dà all’undici per cento. Del resto non si erano depressi a luglio, quando quell’undici per cento gli era stato accreditato dall’Istituto Piepoli e tenevano l’umore alto perché lì dentro si raccontano e si riraccontano che un giorno tornerà il Grande Mago, e con lui torneranno i voti e i fasti.
Lo ha ripetuto anche ieri Antonio Tajani a una convention del centrodestra a Fiuggi, per il resto non molto elettrizzante: «Senza Silvio Berlusconi non si va da nessuna parte». Nel frattempo ci si arrangia.
Si segnala il viaggio in Russia del vecchio leader come un passo di alta diplomazia, si enumerano le difficoltà di Matteo Renzi al Senato come gli avamposti della gloriosa controffensiva, si rassicura il mondo intero sulla definitiva stesura di «un programma chiaro, con idee concrete e la forza per realizzarle, unità e coerenza: è la ricetta che ci chiedono i nostri elettori, perché gli italiani vogliono un paese normale». Quest’ultima è del senatore Andrea Mandelli, splendido e inconsapevole nella citazione di Massimo D’Alema che sognava un «Paese normale» già anni fa, ma in contrapposizione al berlusconismo.
Non è sorprendente. Forza Italia, intanto che cerca segnali nella notte, si sorbisce la settimana di gloria di Therese Salemi, la fashion blogger ammirata dal capo in tv per le qualità politiche, anche se a prima vista si poteva pensare male. Insomma, Therese viene lanciata come volto nuovo, si fa qualche intervista con foto panoramica, rinverdisce certe strane stagioni come quella dei fratelli Zappacosta che spuntarono un giorno a corollario di qualche convention, belli, giovani, con ciuffi e cravatte e idee chiarissime evaporate in una notte. E Therese scompare altrettanto di botto. È normale che in un simile carosello, fra una scissione di fittiani e una di verdiniani, abbia finito con l’imporsi l’unica posizione perlomeno lineare, quella di Renato Brunetta, nemico avvelenato del renzismo: lui era contro le riforme anche quando Forza Italia era ufficialmente partecipe del patto del Nazareno, sostenuto al Senato con militare entusiasmo dall’altro capogruppo, Paolo Romani. Il quale ora deve giustificare un’ostilità altrettanto granitica con motivazioni che vanno dall’evoluzione del quadro politico, o qualcosa del genere, al rischio autoritarismo. Vittoria secca di Brunetta che da mesi diffonde paralleli fra il giovane Renzi e il giovane Mussolini e fra il suo Pd e il Pnf.
Il primo risultato è che le riforme di Renzi, per il centrodestra, riporterebbero dritte al fascismo cioè esattamente dove ci avrebbero riportato le riforme di Berlusconi, per il centrosinistra. E il secondo è che quando il governo immagina una riduzione delle tasse, magari quelle sulla casa, la reazione sprezzante sul bluff e sulla mancanza di coperture ha l’aria antica della reazione di sinistra a ogni promessa berlusconiana. Chissà, forse quei tristi sondaggi dipendono un pochino da qualche elettore che magari s’è fatto l’idea che a sinistra si vogliono tagliare le tasse e a destra ci si oppone. La risposta sarà senz’altro la solita, e cioè ulteriori sondaggi rivelatori del sorpasso sul Pd, e di zero virgola sei, se agli azzurri si sommano la Lega e F.lli d’Italia. Con una simile gestione del territorio, le scorrerie dei barbari sono faccenda quotidiana, e non soltanto di Matteo Salvini, in fondo una specie di Attila, ma di barbarucoli sparsi, ognuno dei quali ha diritto d’azione e di parola: qualche giorno fa è spuntato un tale Andrea Delmastro Delle Vedove, avvocato e responsabile cultura della squadra di Giorgia Meloni, che ha mandato una diffida ad Angelino Alfano all’uso del termine destra nel nome del partito, e se dovesse insistere sarà trascinato in tribunale. Appena prima era uscito un documento di Prima l’Italia in sostegno alla Mozione dei Quarantenni per rilanciare l’azione politica di Alleanza nazionale, protagonisti e prospettive del tutto oscuri a chiunque segua la politica in dosi non patologiche (comunque Prima l’Italia è un movimento di Alemanno che si propone di mettere assieme le oltre venti sigle della diaspora post-missina). Ce n’è per ogni inclinazione: non soltanto la festa di Casa Pound ma pure quella d’Udc, alleata di Alfano, e aperta ieri a San Giovanni Rotondo con l’intervento del segretario nazionale Lorenzo Cesa: «Dobbiamo dare vita ad una forza popolare partendo dalla periferia». Che ormai è soprattutto un luogo dell’anima.
Mattia Feltri, La Stampa 13/9/2015