Anna Guaita, Il Messaggero 13/9/2015, 13 settembre 2015
DALLE TASSE AL LAVORO, I MIGRANTI DIVENTANO UN INVESTIMENTO
NEW YORK Saranno i profughi siriani a salvare Detroit? Questa era la proposta che il New York Times lanciò lo scorso maggio: ripopolare la vecchia capitale dell’automobile con i fuggitivi dalla Siria, un gruppo etnico noto per essere industrioso, istruito e tendenzialmente laico. La crisi dei profughi in Europa nel frattempo è diventata sempre più gigantesca e ha creato reazioni allarmate e xenofobe in vari Paesi. E tuttavia, fra le pieghe del dibattito, quella proposta ha messo un seme e difatti sia negli Usa che in Europa prende forza la teoria che i nuovi migranti potrebbero rappresentare un vantaggio per le economie dei Paesi che li accoglieranno. Ultimamente, proprio su questo fronte, la cancelliera tedesca Angela Merkel è sembrata passare da arcigna donna d’affari ad angelo della misericordia. Ma la sua decisione di accettare per l’anno in corso ben quattro volte il numero di rifugiati rispetto a solo un anno fa, per un totale di 800 mila persone, non è solo dettata da istinto umanitario e dal bisogno di riscattare la Germania dal suo passato. Come ha spiegato Reiner Klingholz, direttore dell’Istituto per la Popolazione e lo Sviluppo, a Berlino, «poiché questi profughi sono piuttosto qualificati, ci sono buone chance che diventino una valida parte della nostra forza lavoro negli anni a venire».
I CALCOLI
Il calcolo dei costi e dei benefici della politica della porta aperta non è certo una scienza perfetta. Come prima cosa, per avere procedure di accoglienza e integrazione davvero efficaci, ci vogliono enormi spese. La Germania prevede di investire centinaia di milioni di euro, ma vari economisti sostengono che ci saranno importanti ricadute man mano che i rifugiati lavoreranno e pagheranno le tasse. C’è anche il timore che fra loro si possano nascondere «agenti dell’Isis». Ma vari studi, condotti soprattutto negli Stati Uniti, sembrano provare che quando un Paese stabile accoglie immigrati in fuga da situazioni di guerra e persecuzione, poi questi individui sono i più veloci ad acclimatarsi, a essere grati al Paese ospite e a diventarne parte. Negli Usa ad esempio ci sono prove chiare che sono proprio questi immigrati a collaborare più strettamente con le autorità per denunciare terroristi.
LA NUOVA POLITICA
Fiduciosa, la Germania dichiara che la nuova politica «porterà più vantaggi che rischi». E si rimbocca le maniche per seguire l’esempio della Svezia, che con gli immigrati sta facendo da apripista. Tutti e due i Paesi condividono gli stessi problemi sociali: popolazione over-65 in netto aumento, basso tasso di natalità, buon mercato del lavoro con rischio di scarsità di lavoratori a basso costo. La Svezia ha calcolato che con la politica dell’accoglienza riuscirà a invertire la continua erosione della popolazione, assicurandosi - anche con le nascite da famiglie immigrate - un aumento di milione e mezzo di individui entro il 2030.
I FONDI
E ha già stanziato 300 milioni di euro per attivare nei prossimi tre anni i provvedimenti per l’inserimento dei nuovi arrivati. L’insegnamento della lingua è il primo passo, come viene richiesto anche in Germania, ma poi ci sono corsi perché i profughi possano ottenere un titolo di studio equivalente a quello che avevano in patria, o proseguire studi cominciati a lasciati a metà, e diventare presto membri produttivi della società, pagando le tasse, contribuendo ai fondi pensione, e di fatto tamponando il dissanguamento delle casse statali dei Paesi con alta percentuale di cittadini anziani e in pensione: «Se miglioreremo l’accoglienza e accelereremo l’integrazione dei nuovi arrivati - ha dichiarato il ministro del lavoro svedese Ylva Johansson - saremo noi il paese europeo che potrà affrontare con un sorriso la sfida di una popolazione che va invecchiando».