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 2015  settembre 13 Domenica calendario

NON SOLO VINCI E PENNETTA. DALL’OSCAR DI BENIGNI A MARCHIONNE CHE COMPRA LA CHRYSLER

Informate i parenti di Cristoforo Colombo: l’America ha scoperto l’Italia. Vinci-Pennetta o Pennetta-Vinci (non sono un esortativo al successo della brindisina) sono l’ultimo tappo di spumante nostrano verso il cielo di New York e gli yankee hanno dovuto battere le mani dopo aver visto la loro monumentale Williams niente affatto serena ma molto sbattuta.
Ecco il miracolo, l’Italia s’è desta, riscoprendo bandiere e Patria, sostantivi impolverati e ritenuti inutili da inutili intellettuali. Italia del tennis, della pallacanestro, del canottaggio, del ciclismo, l’Italia dello sport che unisce e divide ma anche un altro Paese bello, vincente e vittorioso, netto, deciso, diverso dai punti neri che macchiano il suo corpo.
L’Italia che spiazza l’America e il resto del mondo, il mondo che ci ritiene e ci spaccia, da sempre, mandolinari, spaghettari, pizzaioli, mafiosi, casinisti e incasinati, adesso è costretto a titolare e a celebrare due ragazze brave e belle.
Ma basterebbe riflettere, un attimo: quante volte siamo stati e siamo capaci di queste imprese alle quali sembriamo, invece, assuefarci? Perché forse Sergio Marchionne che sbarca a Detroit e si porta a casa la fabbrica che Walter Chrysler fondò novant’anni fa e che oggi viaggia sotto lo stemma Fiat, dicevo Marchionne non è l’uomo che ha stupito gli americani di Detroit e non ancora gli italiani prevenuti in un Paese che litiga nelle riunioni condominiali come nei talk show politici?
Quante volte siamo andati ad Hollywood e lì piantato il tricolore? Magnani, De Sica, Loren, Rambaldi, Fellini, Moroder, Storaro, Morricone, Benigni, Bertolucci, Germi, Petri, Tornatore, Salvatores, e altri a decine, statue del cinema con la statuetta dorata in mano, storie e film, musiche e fotografie che sono arte vera, pura, altissima e, ancora una volta, l’America delle facce rifatte costretta ad applaudire (come è accaduto a Flushing Meadows), nel teatro di Los Angeles, sì, divorando fette di pizza, durante la premiazione. Potrei dire dei premi Nobel, Franco Modigliani, Emilio Segre, uomini d’America per studio ma italiani di scienza, economia e fisica, da sempre e per sempre, come lo furono per la cronaca e per la storia non soltanto il popolo di mafiosi e mammasantissima ma anche Fiorello La Guardia e Rudy Giuliani, come l’ultimo sindaco della grande mela, Di Blasio che ha studiato la lingua madre, nostra dico, a Broccolino.
Gente d’Italia, come mister Candido Jacuzzi erede della famiglia che all’inizio dell’altro secolo sbarcò negli States occupandosi di idraulica e, dunque, nel ’68 proprio Candido inventò, disegnò e lanciò la vasca nella quale tutto il mondo frulla, tra bollicine e spuma. E la moda che ha vestito e veste tutto il mondo che conta e non soltanto quello? Versace, Armani, Valentino, Ferré, Ferragamo, Gucci, Prada, Fendi sfilano, come le loro modelle e i loro modelli, e gli americani e i russi e i giapponesi, francesi e inglesi, tutti insomma, fotografano, copiano, indossano le loro, le nostre creazioni
Lucidiamo le medaglie con l’orgoglio patriottico che, ormai, più non ci appartiene se non nelle vittorie finali, nei trionfi calcistici e quando la bandiera tricolore sale, per prima, sul pennone per le premiazioni. Fieri di essere cittadini e nativi di un Paese che ha grandissima storia antica e miserabile cronaca contemporanea.
Ma a New York qualcosa è accaduto, non soltanto sul cemento di un campo di tennis. È accaduto che l’America e il mondo si siano accorti di noi, non per morti, feriti, scandali, corruzione.
E, per un giorno, anche noi ci siamo ricordati di essere italiani.