Claudio Ghisalberti, La Gazzetta dello Sport 14/9/2015, 14 settembre 2015
«FABIO È COSI’: FORTE ED ESIGENTE»
«Con questo, sono otto giri più uno. Anzi, sarebbe più giusto dire nove. Però è la prima volta che un mio corridore vince la Vuelta». Chi parla è Giuseppe Martinelli, il tecnico dell’Astana. Al mondo, tra i direttori sportivi in attività, non c’è nessuno ad avere un palmares come il suo nelle grandi gare a tappe. In ammiraglia dal 1988 con la Carrera («meno male che nel 1987 non c’ero, altrimenti Visentini starebbe ancora rincorrendomi adesso...»), Martinelli può vantare cinque trionfi al Giro (Pantani 1998, Garzelli 2000, Simoni 2003, Cunego 2004, e Nibali 2013), due al Tour (Pantani 1998 e Nibali 2014) e ora anche la Vuelta con Fabio Aru. Il «più uno» è il Tour di Alberto Contador nel 2010: «Io posso anche far finta di non contarlo, ma lui no. Se lo è meritato al cento per cento».
Il successo più bello?
«Il più bello è sempre l’ultimo. Se fossi giovane direi il prossimo. Chissà».
Il segreto di questi successi?
«Se sono bravo non lo so. Di sicuro sono fortunato. Ho sempre avuto grandi squadre e grandi corridori».
Il successo mancato?
«La Vuelta 2013 contro Horner. Incredibile. Però se quella maledetta vespa non avesse punto Nibali prima della crono...».
Che cosa si prova a vincere una corsa a tappe con un colpo al penultimo giorno?
«Mi era già successo con Garzelli nella crono del Sestriere. Ma la crono è un’altra storia. Così il sapore è più forte».
Come è nata la giornata perfetta di Aru e dell’Astana?
«Al mattino mi sono confrontato con Shefer e Vinokourov. E ho ricordato che Dumoulin era ‘saltato’ solamente verso Andorra, in una tappa con quattro salite come quella che ci aspettava. Aveva pagato la terza ascesa, la Gallina. Ho pensato che se avessimo fatto una andatura brillante, alla garibaldina, poteva succedere lo stesso. Quella di avere due corridori in fuga non è stata una trovata geniale, non abbiamo scoperto l’acqua calda. C’erano via 37 corridori, un quarto del gruppo, normale che dovesse esserci anche qualcuno dei nostri. Doveva esserci Sanchez, c’è andato anche Zeits».
Una condotta di gara che ha ricordato quella di Falzes al Giro 2004.
«Con un passaggio in più. Stavolta avevo chiesto a Landa di non mollare mai la ruota di Fabio. Quando s’è staccato sullo scatto di Aru, avete visto come è rientrato? Un grande, per noi era troppo importante che lui ci fosse. Però la corsa l’abbiamo vinta in discesa. Se Dumoulin fosse rientrato, le cose potevano cambiare».
Landa però nel 2016 correrà con Sky.
«Ci darà fastidio, lo so. Ha un motore incredibile».
E se avesse vinto l’olandese per 6 secondi?
«So dove volete arrivare, ma non ci casco. Dico solo che mi sarei mangiato le mani. Però ci sono stati tanti episodi che forse andavano gestiti diversamente. Nella seconda tappa, quella della caduta di Nibali e Tiralongo (che da ieri è a Madrid e ha rinnovato per altri due anni, ndr), Dumoulin è arrivato 2° e Fabio da lui ha perso 40” più altri 6 d’abbuono. Ad Andorra l’olandese è partito con un vantaggio di 1’13”: troppo».
Ci sono mai stati momenti di frizione con Aru?
«Sì. Questa Vuelta mi è servita per conoscerlo meglio. Forse finora l’avevo un po’ assecondato, invece lui preferisce un confronto schietto. Quando dopo la vittoria di Purito sono andato in camera sua e gli ho detto che non era successo niente, ha reagito duro. “Martino, io non ho bisogno di gente attorno che mi dà morale”, mi ha detto. Mi ha un po’ sorpreso, mi ha toccato e mi sono chiesto se stavo sbagliando qualcosa. Fabio ha un carattere molto forte, con lui bisogna sempre essere concentrati».
Parliamo di Nibali e di quella giornata nera.
«Ero in ammiraglia, l’ho vissuta in prima persona. Difenderò Vincenzo fino alla fine ha inseguito per 30 chilometri, con la giuria che non voleva assolutamente che prendesse la scia delle ammiraglie. Questo non se lo meritava».
Pensa che la giuria lo abbia messo nel mirino e abbia voluto colpirlo?
«Non lo so. Però mi chiedo: “Se Vincenzo non fosse stato un corridore dell’Astana le cose sarebbero andate allo stesso modo?”. Mi sa di no».