Marco Bonarrigo, Corriere della Sera 13/9/2015, 13 settembre 2015
CAPOLAVORO ARU, CONQUISTA LA VUELTA E SE STESSO
Fabio Aru è il sesto vincitore italiano del Giro di Spagna. Un piccolo club formatosi in 70 anni di storia della corsa: prima di lui Conterno, Gimondi, Battaglin, Giovanetti e Nibali. Massimo rispetto per i padri nobili del nostro ciclismo ma, Nibali a parte (2010), fino a pochi anni fa la Vuelta era una corsa a partecipazione limitata. Quella vinta da Aru allineava invece i migliori corridori del mondo: lui li ha battuti tutti, da Froome a Quintana, da Rodriguez a Valverde. Infliggendo ieri il colpo del k.o. all’avversario più tenace e meno atteso, il coetaneo olandese Tom Dumoulin che ha resistito per 19 tappe e si è arreso sulla penultima salita della 20ª.
Una crisi così profonda da farlo retrocedere dal primo al sesto posto in classifica. Merito dell’Astana (spesso criticata per eccesso di generosità agonistica) che l’ha tempestato di colpi. Quando Aru ha visto, finalmente, la maglia rossa staccarsi ha lasciato sfogare (tenendoli però a distanza ravvicinata) Nairo Quintana (4°) e Rafal Maika (3°) senza mollare Purito Rodriguez, arrivato secondo a 1’17” dal leader. La tappa è stata vinta in solitudine dall’iberico Plaza Molina.
A 25 anni il sardo dell’Astana vanta ora nel palmares due podi del Giro d’Italia (3° nel 2014, 2° nel 2015) e la Vuelta. Maurizio Mazzoleni, allenatore e mentore bergamasco, individua quattro punti chiave nella vittoria del corridore. «Il primo — spiega Mazzoleni — è la maturazione delle qualità fisiche. Fabio ha una capacità rara di resistere al dolore e scattare con i muscoli imbottiti di acido lattico: è capace di fare sei scatti per staccare gli avversari quando gli altri scalatori si fermano a tre». Il secondo? «Sa fare gruppo sovvertendo regole consolidate nel ciclismo. Ormai tutti i corridori vivono mesi in altura per allenarsi, mettendo a rischio il loro equilibrio psicologico. Per combattere l’isolamento, Fabio ha chiesto a noi di portare la fidanzata per trasformare il ritiro da monastero a luogo di lavoro duro ma piacevole, convincendo anche i compagni a fare lo stesso. Ha cambiato le regole. È un ragazzo riservato, capace però di creare rapporti straordinari con tutti, anche con i kazaki del gruppo, che hanno carattere chiusissimo: ieri Zeits ha dato l’anima per lui anche quando era sfinito».
Concetto ribadito dalla prima frase pronunciata ieri dopo la vittoria: «Questa Vuelta è della squadra. Anche di Nibali e Tiralongo che hanno lasciato troppo presto la corsa». L’abbraccio con i compagni è stato poco convenzionale: in un’area di servizio autostradale, dove Fabio ha raggiunto il bus della squadra che lo aspettava dopo la premiazione .
La carriera di Aru è cambiata dopo la tappa del Mortirolo al Giro di quest’anno: «Fabio ha superato — spiega Mazzoleni — una crisi e un dolore di inimmaginabile profondità. E per questo già la sera, metabolizzata la sconfitta da Contador, ha capito di poter puntare a qualunque obiettivo». Il 13 agosto scorso, sull’amatissimo Moncenisio, Aru ha effettuato un test decisivo: «Ha voluto misurarsi — continua Mazzoleni — a un anno esatto di distanza dal test precedente: stesso giorno, stessa ora. Quando ha visto i risultati (molto migliori del 2014) Fabio ha capito che avrebbe potuto vincere la Vuelta e ha acquisito una serenità straordinaria».
Celebrato anche da un tweet del premier Renzi («Mitico Fabio Aru, la Vuelta 2015 è tua»). Aru festeggerà la vittoria nella passerella conclusiva di Madrid. Non parteciperà al mondiale di Richmond, puntando direttamente al Lombardia. Il prossimo anno cercherà la vittoria al Giro d’Italia. Per il Tour c’è tempo: in Sardegna gli Aru coltivano frutta e sanno bene come farla maturare.