Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 13/9/2015, 13 settembre 2015
LA STORIA UBI, IL «NOCCIOLO» DEGLI AZIONISTI ITALIANI
Quando nel 2007 accettò di fondere la Banca Lombarda e Piemontese spa nella popolare bergamasca Bpu per dare vita a Ubi Banca, il patto di sindacato delle famiglie bresciane storicamente guidato da Giovanni Bazoli che fino ad allora aveva gestito l’istituto acconsentì a fare un passo indietro: le azioni non si contavano più, valeva solo il consenso dei soci in assemblea. Un potere ridotto, sebbene compensato dalle complesse regole di governance che suddividevano le cariche tra i componenti delle due ex banche. Acqua passata. Ora che dal 10 ottobre Ubi sarà la prima popolare a trasformarsi in spa in applicazione del decreto Renzi, si torna indietro. Le azioni tornano a pesare. E nei destini di Ubi, a incidere saranno soprattutto quelle dei bresciani.
Nonostante il voto capitario, l’ex patto di sindacato ha mantenuto una sua coesione attraverso l’associazione Banca Lombarda e Piemontese, che raccoglie circa 300 famiglie azioniste, il salotto buono di Brescia. Non esistono numeri certi — essendo tutte quote minime, suddivise tra vari nuclei familiari — ma la stima in ambienti bancari è che i bresciani possano contare su circa il 12% del capitale di Ubi: un pacchetto che vale 630 milioni di euro.
Diversi azionisti bresciani di peso in questi anni hanno continuato ad avere ruoli in Ubi, come il vicepresidente Alberto Folonari, che ha lo 0,19% cui vanno sommate altre quote minori in mano ai familiari, o Franco Polotti, presidente del consiglio di gestione, che ha circa lo 0,35%. Il maggiore azionista singolo è Pietro Gussalli Beretta, con l’1% intestato alla Ufipra sa. Ci sono poi le famiglie di imprenditori locali come gli Spada (0,2%), gli Ebenestelli (0,13%), i Niboli (0,42% con Raffmetal spa), i Brunori (0,34% con Valsabbia Investimenti), i commercialisti milanesi Strazzera (Serfis, 0,13%), il patron delle ceramiche emiliane Giuseppe Zannoni (0,3% con la moglie Silvana dall’Orto). Con lo 0,17% dovrebbe esserci Helene de Prittwitz, moglie di Romain Zaleski, ex patron della Carlo Tassara spa, che a sua volta ha l’1,4% della banca.
Un’altra fetta di capitale — circa il 2% complessivo — sarebbe in mano a enti religiosi o vicini alla Curia, come la Congregazione delle suore ancelle della carità (0,22% con la San Giuseppe spa), la Diocesi di Milano (Lambriana, 011%), la casa editrice La Scuola (0,64%). Quote di Ubi sono anche in mano alla finanziaria bresciana Mittel (0,15) e all’Istituto Atesino di Sviluppo (0,3% circa), holding trentina presieduta da Massimo Tononi, prossimo numero uno di Mps. Un ruolo non ininfluente lo giocheranno poi le fondazioni bancarie: il 4% è suddiviso tra Fondazione Cr Cuneo (2,3%) e Fondazione Banca del Monte di Lombardia (1,6%): potrebbe toccare a loro presentare la lista per il consiglio, visto che lo statuto richiede almeno l’1% del capitale.
Non sembra che questa sintonia storica tra soci possa portare alla nascita di una struttura legale (holding o patto di sindacato), almeno per ora. «I bresciani sono pragmatici, un passo per volta», dice uno di loro. «Per ora facciamo la spa, poi si vede. L’assemblea per il consiglio è in primavera…». Non sembra invece esistere un analogo fronte bergamasco. Sono pochi gli esponenti cittadini con quote significative: avrebbero lo 0,5% a testa solo le famiglie Radici, Jannone e Zanetti. E non appaiono compatti come i bresciani. Per il momento dunque la futura Ubi sarà una public company. Ma a proteggerla da eventuali scalate sarà il tetto al 5% di possesso azionario valido fino a marzo 2017.
È vero che il gruppo bancario guidato da Victor Massiah ha oltre il 40% del capitale nelle mani dei fondi d’investimento, a cominciare da Sinchester International con il 4,9%. Da essi non si potrà prescindere per i voti in assemblea. Ma saranno comunque gli italiani ad avere in mano le redini della banca in un periodo cruciale. Nei prossimi mesi sono attesi il rinnovo dei consigli di sorveglianza e di gestione e soprattutto la fusione con un altro istituto. In pole position sono dati il Banco Popolare oppure il Montepaschi. Sarà comunque Ubi a tirare le fila del risiko: tra le Popolari è la più capitalizzata e quella con i soci privati più forti.