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 2015  settembre 14 Lunedì calendario

MASSA: «CORRO E SONO FELICE»

Seduto in borghese su una sedia pieghevole di plastica nel retrobox del circuito di Monza, Felipe Massa allarga un sorriso alla De Niro. Una settimana fa, mezzo milione di persone lo applaudiva con l’affetto e l’entusiasmo che solo Monza sa tributare ai grandi. Oggi l’autodromo è vuoto. In pista ronza una Williams del 2011, scarrozza giornalisti e vip pasticcioni per un evento organizzato dalla Martini. Lui, rilassato, si gode quel trionfo di frizioni bruciate e partenze da scuola guida.
Massa lei è rinato.
«Più che una rinascita direi che è proprio una nuova vita. Anzi, un nuovo inizio».
Come ha fatto?
«Non so. Diciamo che ho fatto la cosa giusta al momento giusto. Due anni fa. Era arrivato il momento di cambiare. La mia storia con la Ferrari era stata molto bella, intensa, sincera, come gli applausi di Monza dimostrano. Ma era arrivato il momento di sentirmi di nuovo importante».
Non era importante in Ferrari?
«All’inizio sì. Poi le cose sono cambiate, quando è arrivato Alonso. Mi guardavo intorno e vedevo che improvvisamente non avevo più potere sulle cose, sui dettagli. Il nostro sport è fatto di dettagli. E quelli li puoi cambiare solo se hai potere. Il potere è tutto. E io l’avevo perso. Il sintomo più evidente era proprio quello: non mi sentivo più importante. E bastava incrociare lo sguardo della gente intorno a me per capirlo. Era impossibile essere felice».
Non è improprio parlare di felicità quando si guadagnano milioni?
«No. Almeno non per me. Alla fine ho sempre corso dove e come mi piaceva, e i soldi hanno sempre contato fino a un certo punto. Io corro per essere felice. E se non sei rispettato, non puoi essere felice».
Doveva cambiare.
«Sì. E per fortuna quel cambiamento l’ho fatto nel momento giusto, e per la squadra giusta. La Williams aveva appena siglato il contratto con la Mercedes e aveva chiuso l’accordo con Martini. Stava rinascendo, siamo rinati in due: le mancava solo quello che avevo da darle io».
In Williams si è scrollata di dosso l’immagine del ragazzino di bottega che la opprimeva in Ferrari.
«A Maranello mi vedevano sempre come il fratellino minore di qualcuno».
Capita quando si cresce dentro le aziende.
«Nel mio caso comunque l’azienda ha sbagliato a puntare tutto su un pilota. I team vivono di punti e i punti li si porta in due».
È sicuro che non sia stata anche un po’ colpa sua?
«Tante volte ho pensato che avrei dovuto essere meno gentile. Più duro ed egoista. Però poi mi ritrovo a fare il bilancio della mia vita. Mi sono successe tante cose, ho rischiato la vita a Budapest, sono stato amico di una leggenda come Schumacher e di un ragazzo d’oro come Bianchi, ho attraversato due o tre epoche di questo sport, ho subito ingiustizie e visto porcherie di ogni tipo, sono stato costretto a lasciarmi superare dal mio compagno di squadra, ed è stato il momento peggiore della mia vita, ma ho anche vinto tanto e gioito e soprattutto mi sono divertito. Sono caduto spesso ma ogni volta che mi sono rialzato è sempre stato bellissimo. No. Non cambierei niente. Sono sempre stato me stesso, Felipe, e se il mio modo di essere mi ha causato qualche difficoltà, la mia forza mi ha permesso di superarle e di diventare un uomo e un padre migliore ».
A quelli che scrivevano cose brutte su di lei cosa dice?
«Niente, perché loro per primi hanno scritto cose belle, dopo. La coerenza è un problema loro. Se dovessi andare a dire “stronzo” a tutti quelli a cui ho fatto cambiare idea, non avrei più tempo per guidare! » Parlava di porcherie. A fine anno farà la race of the champions, in coppia con Nelsino Piquet, quello che andando a sbattere apposta nel 2009 a Singapore le tolse il mondiale. Non le fa strano?
«Non è andato a sbattere per togliermi quel mondiale. Lo ha fatto, sbagliando, per cose interne alla sua squadra, per continuare a guidare in F1. Siamo abbastanza grandi e ormai lontani da quei fatti per valutare tutto in modo sereno. Io sono felice, gli altri non lo so, non è un problema mio».
A proposito della felicità degli altri, di Alonso in Honda che cosa dice?
«Sono sicuro che non è contento. Non parlo di quanto guadagna. Ma di quello che un pilota vive quando è col casco calato sugli occhi. Pensando a tutto quello che è riuscito a fare in carriera, vederlo così fa effetto. Ma dio sa sempre ciò che fa. Se fa qualcosa di bello o di brutto per te, be’ c’è sempre un motivo».
Suo figlio Felipinho la segue ovunque nel mondo. Farà il pilota?
«Deciderà lui. E io asseconderò la sua scelta. Vede, il papà di un pilota rischia di essere come la mamma di una miss. Normalmente è la mamma che avrebbe voluto essere una miss e spinge la figlia verso un mondo che spesso la poverina nemmeno vuole. E finiscono per essere patetiche sia la mamma che la figlia. Patetiche e infelici. Io ho visto molti casi bruttissimi anche in F1. No, no. Deciderà Felipinho se fare il pilota. Io di certo farò il papà. Ma prima corro ancora per qualche anno».