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 2015  settembre 14 Lunedì calendario

GUIDO CATALANO: «NON SONO UN POETA, MA SO CHE SCRIVO POESIE» – 

Le regole sono regole. Chi fa il poeta, nel 2015, non può vendere 20mila copie. Campare di reading, poi: non scherziamo. E invece tutti i libri di Guido Catalano contano almeno una riedizione (I cani hanno sempre ragione due oltre la prima). Questa è solo una delle ragioni per cui, sull’opera di questo torinese del 1971, discute il pubblico e discute la critica, domandandosi “ma sarà poesia?”. “Una volta, quando mi dicevano che sta roba non è poesia, rispondevo che anche Montale andava un sacco a capo”.

Via il dente, via il dolore: è un poeta?

Non so se sono un poeta, ma so che scrivo poesie.

In molti non capiscono.

È come fossi un errore di sistema. L’idea diffusa è che la poesia non possa funzionare, che sia per pochi, e isolati. Io rovino questo equilibrio di “mal comune, mezzo gaudio”. Il punto è che hanno ragione loro, a pensarci: io sono un’eccezione.

Cos’altro non li convince?

Il registro comico, che negli ambiti accademici è considerato volgare e non assimilabile alla poesia.

Qualsiasi cosa sia quello che fa, ci campa. Da quanto?

Saranno cinque, sette anni.

Prima che faceva?

Cantavo in un gruppo rock demenziale, più alla Skiantos che alla Elio. L’ho fatto dal liceo fino ai 26 anni, poi il gruppo si è sciolto, e non sapevo cosa fare. Alcuni dei testi che già avevo scritto sono diventati autonomi, e alcune delle cose che scrivevo funzionavano.

Formazione?

Lettere Moderne. Niente di artistico, fatta eccezione per Zelig, dove entrai al secondo turno. Andavo bene, ma non mi presero, non funzionavo su quei tempi lì, di tre minuti a sketch e avevano ragione.

Alla fine la tv l’ha fatta comunque: La7 e Rai3. Ma questa tv serve, o no?

La televisione serve sempre, fa curriculum a prescindere. Anche perché, per quanto male possa andare il programma, ti vedono centinaia di migliaia di persone. Poi, il problema è chi siano queste persone, perché servirebbe che fossero quelle che poi comprano i libri, ed escono da casa per gli spettacoli.

Lei in tv funziona?

No, per ora no. La tv ha tempi troppo stretti, a me ne servono di più lunghi.

I tempi giusti per “i finali di potenza”, come dice lei. Le contestano di avere un pubblico femminile.

Le statistiche dei social network confermano. Quando guardo quelle di Facebook, viene fuori che il mio pubblico è per il 70% di donne tra i 25 e i 35 anni. Per certi contenuti, il rapporto è anche maggiore.

Perché?

Scrivo poesie, e le donne ne leggono di più rispetto agli uomini. Come non bastasse, sono poesie d’amore.

Come avrebbe fatto senza internet?

Come facevo prima che ci fosse. Faticavo molto di più. Mi ricordo che andavo ad attaccare i manifesti delle serate, e poi cercavo di avvisare più persone possibile. Sms? No! Si poteva solo telefonare. Se usciva un articolo di giornale, bottiglie di champagne. Adesso, appena scrivo, mi leggono migliaia di persone.

E che effetto fa?

Sono diventato più politicamente corretto.

Pensa di essere un intellettuale?

No, perché non so le cose. E non perché non le abbia studiate, ma perché non me le ricordo. Dimentico tutto. Poi, se per intellettuale s’intende uno che vive del proprio intelletto, allora in quel senso sì.

La scena poetica contemporanea italiana c’è? Sta bene?

C’è una scena di poeti che fanno letture, oltre a quelli che fanno Poetry Slam (una gara dal vivo con poeti, presentatori e pubblico che decreta il vincitore), ce ne sono. Solo che il sistema mediatico non li considera molto. La mia casa editrice, la Miraggi, ne sta pubblicando alcuni.

Con i suoi numeri, non l’ha cercata nessuna grande casa editrice?

Sì, ho un accordo per un romanzo e un libro di poesie. Così i miei veri nemici potranno massacrarmi per bene.