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 2015  settembre 14 Lunedì calendario

L’ANIMA VERDE DI SINGAPORE

Quando la vide per la prima volta il suo fondatore, Thomas Stamford Raffles, nel 1819 Singa-pura (la città dei leoni) era un isolotto di giungla di nessuna importanza. Oggi quell’isolotto ha cinque milioni e mezzo di abitanti e da qualche anno, forse nostalgico del suo recente passato di foresta vergine, ha iniziato ad adottare vigorose politiche di stimolo per lo sviluppo dell’edilizia sostenibile.
A due passi da Raffle’s Place quest’anno apre il CapitaGreen, un iconico edificio di 40 piani situato nel cuore del Business District della città.
FORESTE
Un verde lussureggiante avvolge l’edificio, oltre la metà della superficie esterna è coperta da piante. La facciata a doppia pelle, composta da due strati di vetro farciti di fioriere zeppe di arbusti, riduce il calore interno fino al 26%. Ma è sul tetto che fiorisce quel bouquet capolavoro che poi è anche il marchio distintivo dell’edificio: da lontano appare come una stravagante scultura a petali rossi tutta estetica e niente sostanza e invece è proprio il cuore ’verde’ del palazzo: un gigantesco imbuto che si avvale della direzione prevalente del vento per tenere al fresco tutti gli ambienti sottostanti. È un sistema inesauribile di aria condizionata, un esempio di architettura ecologica a impatto ambientale zero le cui origini si possono rintracciare addirittura nell’antico Egitto. A Dubai, per dire, nel quartiere Bastakija c’è la famosa torre del vento vecchia di secoli e ancora funzionante. Non si inventa niente, diceva un grande saggio d’Oriente, si adattano le vecchie conoscenze ai nuovi contesti.
IRRIGAZIONE
E un’altra conoscenza presa in prestito dal passato viene da un altro edificio nato appena due anni fa a due passi da Chinatown, è il Parkroyal. Qui l’acqua piovana viene raccolta e poi smistata – per sola forza di gravità - per irrigare le piante che decorano gli ambienti interni: risparmio di energia e sulla bolletta dell’acqua non indifferente.
Alzando lo sguardo dalla strada l’intera costruzione sembra proiettare il passante in un futuro dove gli esseri umani sono scomparsi e la vegetazione ha lentamente ripreso il possesso delle cose: la parte inferiore dell’edificio è costruito a sfoglie a imitazione di uno sperone di roccia stratificata cosparsa di felci tropicali e rampicanti. Più che edilizia verde qui siamo nell’eco-mimetismo.
«Negli anni ’70 i turisti che venivano a Singapore parlavano della puzza della città, della malaria, del caldo. Oggi abbiamo annientato anche quello», commenta la manager dell’Hotel mentre mi conduce attraverso una lobby freschissima ai cui margini scorrono canali d’acqua a pelo libero e sulle cui pareti muschi che si fingono selvaggi tengono vivo il miraggio di uno sperduto e roccioso isolotto tropicale.
BEACH ROAD
Strutture imponenti come queste stanno a sottolineare l’impegno di Singapore, anche attraverso generosi incentivi, a rendere ecologico il più cementificato degli ambienti. Per farsi un’idea di come si presentava la città solo qualche decennio fa basta farsi una passeggiata lungo la centralissima Beach Road. Negli anni ’70 qui si veniva a passeggiare lungomare, oggi in alcuni punti la costa è distante più di un chilometro. Lo skyline di Singapore, rilanciato innumerevoli volte negli spot della compagnia di bandiera poco prima di atterrare all’aeroporto Changi, è interamente costruito sull’acqua. Fagocitata la vegetazione - trovare un solo albero a Chinatown o a Little India è impresa a dir poco disperata – ci si è rivolti direttamente all’oceano. La storia viaggia per ripensamenti e perfino svolte ambivalenti. Un esempio di quest’ultime è la baia di Marina Bay, con il suo Garden by the Bay, uno spazio totalmente artificiale ma che si presenta come uno dei più suggestivi parchi ‘naturali’ al mondo: 101 ettari di futuristici giardini botanici che di sera diventano la scenografia per uno show di luci dove strutture che vanno dai 20 ai 50 metri d’altezza, detti Supertrees, creano un incantesimo di suoni e colori che ricordano le atmosfere bioluminescenti di Pandora in Avatar.
Lo sviluppo della bioedilizia in Asia ha il potenziale per produrre in un futuro prossimo notevoli risparmi di energia e rendere le città - già inquinatissime - più abitabili.
Nei prossimi decenni i paesi in via di sviluppo saranno in testa per il consumo di energia relativo agli edifici urbani. Già oltre il 40 per cento della popolazione asiatica vive in città, e nel 2050 la cifra potrebbe raggiungere i due terzi. Nella sola Cina la popolazione urbana potrebbe sfiorare il miliardo di persone entro il 2025, il ché richiederà la costruzione di milioni di nuovi edifici.
In questo contesto Singapore si candida come modello di edilizia verde dalle soluzioni architettoniche innovative, che potrebbe contagiare positivamente l’intero scenario continentale dove spesso regnano i brutti progetti tirati su letteralmente col cronometro in mano (l’ultimo in ordine di tempo sono i 57 piani di un palazzo a Changsha, in Cina, terminati con un primato da Guinness di appena 19 giorni) e dove i costruttori hanno storicamente visto ben pochi incentivi a investire nella sostenibilità.