13 settembre 2015
APPUNTI PER GAZZETTA
Nella top ten delle scuole italiane in cui si boccia di più, elaborata dal sito Skuola.net, ce ne sono ben cinque napoletane. Al primo posto svetta l’Istituto professionale De Sanctis, con oltre il 58% di bocciati. Metà bocciati e metà promossi, invece, all’Istituto tecnologico Elena di Savoia, che si qualifica a mezza classifica anche per l’indirizzo turistico. Ottavo e nono posto, infine, per gli istituti professionali Bernini e Colosimo. Cinque su dieci. Uno scandalo nazionale. Ma era così anche l’anno scorso. Rossella Grasso, praticante giornalista, ne fece una video inchiesta. Le hanno dato anche un premio, ma a Milano, il Sara Bianchi. Punto. In quell’inchiesta, un prof raccontava di un ragazzo con troppe bocciature e troppe assenze non più accettato come iscritto a scuola. Lo stesso ragazzo, l’anno successivo, si è presentato, per giorni e giorni, davanti ai cancelli dell’istituto. Si faceva vedere, e se ne andava.
I ragazzi in cura, o in osservazione, presso il nucleo operativo distrettuale di Rione Traiano, diretto dal neuropsichiatra infantile Camillo De Lucia, sono 7.757, più di un contingente europeo in un teatro di guerra. Hanno problemi di adattamento o gravi ritardi nell’apprendimento. Li segnalano i genitori o, più spesso, le scuole. Davide Bifolco, ucciso a settembre nel corso di un inseguimento da un militare dell’Arma, era in cura da De Lucia. Poi c’è il problema degli stranieri. Nelle scuole di Napoli, scrive Il Mattino , i figli degli immigrati sono 3.500: quanti a Udine e meno che a Piacenza, mentre a Roma sono 39 mila, a Milano 35 mila, a Torino 23 mila.
La fuga degli abitanti
Ma a Napoli non si svuotano solo le scuole. Si svuota la città. Vanno via le giovani coppie in cerca di fitti meno cari, vanno via i disoccupati in cerca di lavoro, vanno via gli studenti in cerca di scuole e università migliori, e ora vanno via anche i professori in cerca di stabilità: secondo la Cgil sono tremila in Campania, almeno 1.600 nel capoluogo. Napoli, ormai scesa sotto il milione di abitanti, è la città con la più alta percentuale di spopolamento in Italia. Nel decennio 1982-1991 ha perso 129 mila abitanti, più del 10% dell’intera popolazione. C’era stato il terremoto, è vero. Ma il fenomeno è continuato anche nel decennio successivo. Negli anni tra il 1991 e il 2002, la perdita è stata di 83.330 unità. E l’emorragia non si è fermata neanche quando ovunque c’è stata una inversione di tendenza. Tra il 2002 e il 2011 Roma ha aumentato la sua popolazione di oltre 200 mila abitanti; Milano di quasi 70 mila, Torino di circa 45 mila. Napoli ne ha persi altri 45 mila.
Il vuoto più clamoroso, però, è quello di Bagnoli. Un quarto di secolo fa la dismissione dell’Italsider. Poi più nulla. Ora c’è il commissario alla bonifica, Salvo Nastasi. C’è voluto un anno solo per nominarlo. E manca ancora l’atto ufficiale da notificare al sindaco, pronto a respingerlo con la bandana in testa. Gli industriali napoletani implorano de Magistris perché collabori con Renzi. Lui non vuole saperne. Con Renzi sarà guerra, dice. Di carte bollate, in questo caso .
@mdemarco55
CDS DI GIOVEDì
ROGER ABRAVANEL
D opo presidi, docenti, ministri e sindacati, di scuola — e di riforma della scuola — parlano gli studenti e le famiglie italiane. Insomma, i «clienti» della scuola. Lo fanno attraverso un sondaggio realizzato in agosto presso un campione statisticamente significativo di 1.000 cittadini, concepito dagli autori di «La ricreazione è finita, scegliere la scuola, trovare il lavoro» e realizzato con il contributo di Duepuntozero Doxa e il supporto del Forum della meritocrazia.
I risultati del sondaggio sono chiari: gli italiani credono nella scuola e ne capiscono molto di più di quanto pensano i media («la scuola non fa audience» è il motto di molti giornalisti televisivi) e di molti politici, docenti e sindacalisti.
Innanzitutto appare che gli italiani sono critici, ma non del tutto negativi sulla scuola di oggi, a cui danno un voto complessivo di «6». Hanno abbastanza chiari i suoi punti di forza e di debolezza: danno un voto di 7 meno meno alla sua capacità di «formare la cultura degli studenti», un 6 meno alla «formazione personale» e una netta insufficienza a come prepara al lavoro, tanto che un italiano su dieci la considera addirittura «inutile» a questo scopo.
Peraltro, quando criticano la scuola, lo fanno per le cose veramente importanti.
Alla domanda: «Qual è il problema più grave della scuola italiana?» un italiano su due ha risposto che è la qualità dell’insegnamento, e in particolare i «metodi di insegnamento» (incoraggiare a fare domande, spiegare bene, interessare l’allievo) e la «adeguatezza degli insegnanti».
Questo giudizio è eguale che si tratti del Nord o del Sud Italia e diventa un terrificante 74 per cento quando si esaminano le risposte degli studenti del campione. La maggioranza dei docenti però non la pensa così: soltanto il 22 per cento degli insegnanti del campione concorda sul fatto che questo è il principale problema della scuola italiana mentre per la metà di loro i nodi da sciogliere sono precariato e stipendi troppo bassi.
Dal sondaggio appare poi chiaramente che gli italiani capiscono l’importanza della scuola: non scelgono le scuole in base alla comodità (solo uno su cinque cerca quelle vicino a casa) e metà delle famiglie dichiara di darsi da fare per capire la qualità della scuola, soprattutto con il passaparola.
L’italiano ha voglia di scuola! Il 75 percento degli intervistati vuole più ore per recuperare chi è indietro, valorizzare i più capaci, fare più sport e arte.
Dalle risposte poi, emerge a gran voce la richiesta di più meritocrazia.
Innanzitutto nel valutare i rendimenti degli studenti. Sette studenti su 10 e un italiano su due ritengono che «i voti degli insegnanti rispecchino poco o nulla la reale preparazione degli studenti» o perché «ogni professore ha il suo metro di giudizio» (53 %) o addirittura perché «i professori sono parziali e prevenuti» (13 per cento).
Chiedono poi criteri più obiettivi per valutare le scuole (il passaparola funziona ma non basta). Un po’ meno della metà si dice favorevole a una misurazione secondo indicatori oggettivi che valutino il progresso educativo e il successo nel mondo del lavoro e solo il 9% è favorevole alla «autovalutazione», che invece rappresenta la prima scelta del 25% degli insegnanti.
Dal sondaggio emerge anche una vera sorpresa: con la netta maggioranza di 61 a 39 gli italiani vogliono valutazioni quantitative come i test Invalsi. Secondo loro, il problema è che gli insegnanti non preparano sufficientemente gli studenti per i test e spesso ne falsano gli esiti perché fanno copiare. Di contro, un insegnante su tre li considera «inutili» e uno su quattro addirittura «nocivi».
Il sondaggio chiedeva anche un giudizio sulla riforma della «buona scuola». Emerge chiaramente che è considerata troppo timida. Un italiano su quattro ritiene infatti che «è una riforma abbastanza buona, non risolve tutti i problemi, ma alcuni sono stati correttamente affrontati», ma uno su tre la considera «una riforma poco utile, i problemi resteranno gli stessi».
Un italiano su due si dichiara poi d’accordo con l’idea che «a selezionare e valutare gli insegnanti siano i presidi, ma i presidi non sono preparati e si rischiano favoritismi». Gli insegnanti invece sono ancora divisi sulla necessità di essere valutati — quattro su dieci ritiene che «la valutazione degli insegnanti può compromettere la libertà d’insegnamento».
Quale è la speranza nel rendere pubblico questo sondaggio?
Il sogno è quello di dare coraggio al governo per avviare una fase 2 della «buona scuola» potendo contare sull’appoggio di milioni di italiani. Tony Blair diceva che «le riforme della scuola sono le più difficili e si fanno solo con l’appoggio della maggioranza dei cittadini». Ebbene, questo sondaggio sembra indicare che da noi la maggioranza c’è.
Per fare che? La «grande riforma» la stanno suggerendo tutti gli italiani. Ripensare il modo di insegnare per prepararsi meglio al mondo del lavoro e alla vita. Il che non vuole dire più o meno latino o matematica, ma un modo nuovo di insegnare latino e matematica, imparando a dibattere in classe e con maggiore interattività. Allungare decisamente l’orario di presenza a scuola e le ore di lavoro degli insegnanti che alla fine guadagneranno di più perché daranno un miglior servizio. Nei sistemi educativi occidentali più evoluti è già così: da noi gli insegnanti oggi lavorano solo 18 ore a scuola, mentre per esempio in Germania ne lavorano 30 (e quindi sono pagati di più). Puntare decisamente sui test Invalsi, per avere criteri oggettivi per valutare le scuole. Renderli più credibili e trasparenti per le famiglie per scegliere le scuole. Creare a tempo di record un folto gruppo di ispettori che selezionino i presidi capaci di valutare scuole e insegnanti. L’Italia è, assieme alla Grecia, l’unico Paese europeo dove gli insegnanti non sono ancora valutati.
Se partirà un dibattito su queste idee, questo sondaggio sarà servito a qualcosa.