Roberto Mania, la Repubblica 12/9/2015, 12 settembre 2015
RISCATTO MEZZOGIORNO CON MELFI E L’INDOTTO L’EXPORT BATTE IL NORD
ROMA.
C’è la nuova polarizzazione dell’industria italiana nei dati dell’export arrivati ieri dall’Istat, + 5% nei primi sei mesi dell’anno con un picco del 7% registrato nelle regioni meridionali. Conta sempre di meno la divisione nord-sud, oppure quella tra grandi e piccole aziende, o, infine, tra pubbliche e private, guardando alla spartizione delle quote societarie. La traiettoria che va seguita per capire cosa accade nel capitalismo italiano è segnata dall’export. Qui ci sono le differenze (le polarità) tra chi è internazionalizzato e chi no, tra chi si è inserito nelle nuove catene del valore globale e chi resta ancorato agli impercettibili movimenti del mercato domestico. I primi creano anche occupazione, i secondi no. I secondi cercano incentivi, sgravi, aiuti; i primi hanno imparato a farne a meno. Investono e innovano. In Italia ci sono ormai 14.500 imprese con una forte vocazione all’esportazione. Sono duemila grandi (colossi come Fiat-Chrysler, Eni, Finmeccanica, Salini) e 12.500 medie, quelle multinazionali tascabili della meccanica, della moda, dell’alimentare, dell’elettronica, che non hanno mai partecipato ai giochi “dei salotti buoni” della finanza, sono gli outsider, poco visibili anche nei giochi confindustriali, che stanno ridisegnando i contorni del nuovo capitalismo italiano. Hanno sostenuto il Pil durante la crisi.
A guidare l’export è tornata prepotentemente l’industria dell’auto (rappresenta circa il 2% del Pil nazionale) con la lunga e articolata filiera che si trascina dietro, perché nelle migliaia di pezzi che compongono una vettura c’è tutta l’industria: meccanica, chimica, elettronica, tessile. C’è un indotto di qualità che si è rimesso in movimento e che consente a una piccola regione come la Basilicata, che ospita nella piana di Melfi l’impianto della Fca, di segnare un imponente + 129,6% di crescita dell’export nel primo semestre dell’anno, con un addirittura +367,4% nel settore dell’automotive. Da Melfi partono le Jeep Renegade e le 500X destinate agli Stati Uniti e al Canada. Perché è nei mercati maturi (stabili dal punto di vista geo-politico), non più in quelli emergenti, che si è spostata la battaglia italiana per conquistare quote di mercato. È negli Stati Uniti, in Giappone, in Canada, nel Regno Unito — come dimostra una recente analisi di Prometeia — che c’è un potenziale inespresso di crescita dell’export italiano. E non è un caso che nel primo semestre del 2015 l’export italiano negli Usa sia aumentato di ben del 27% (+2,7 in Europa, +0,8 in Cina e + 4,7 nel resto del mondo). Certo, c’entra il l’euro debole contro il rafforzamento del dollaro. Ma questo è un fattore che vale per tutta l’euro- zona che mediamente negli States ha accresciuto l’export della metà rispetto all’Italia. Noi stiamo andando molto meglio degli altri. Un tempo le imprese italiane si fermavano a New York, Los Angeles o Miami, ora guardano all’intero territorio degli stati federali. Sono in affanno, invece, le aziende che avevano puntato sul classico binomio Turchia-Russia e ora fanno fatica a spostarsi. La guerra in Ucraina ha fatto crollare di circa il 30% le esportazioni e così va interpretato il — 2,8% delle esportazioni dalla Marche, i cui distretti (per esempio quello delle calzature) erano molto proiettati verso il mercato russo che è solo un terzo di quello americano.
E un terzo dell’aumento dell’export è dovuto al settore dell’auto (da Piemonte, Basilicata, Emilia Romagna e Lombardia) e a quello della farmaceutica, della chimica-medicinale e della botanica laziale. Anche qui, sia chiaro, sono le grandi multinazionali a segnare il ritmo, ma è anche la conferma che non è il passaporto dell’azionista a far bene all’economia, bensì gli investimenti che si realizzano per la produzione.
È dunque nei mercati mondiali che si gioca il futuro manifatturiero italiano. Ma non è semplice esportare. Le imprese vogliono imparare e cercano professionisti: in soli dieci giorni sul tavolo del viceministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, sono pervenute 2000 richieste di voucher per i temporary export manager. Avanti di questo passo alla fine saranno cinque volte superiori all’offerta.
Roberto Mania, la Repubblica 12/9/2015