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 2015  settembre 09 Mercoledì calendario

PAPA’, NON MI GUARDARE

In questa stanza tutta bianca, che è un teatro di posa, va musica funk anni Settanta, e la ragazza balla. Ha la schiena nuda, i capelli scomposti, un piccolissimo neo sulle labbra.
Chiedo a Miriam Leone se questa sua sensualità che le si espande naturale intorno c’è sempre stata, se è cresciuta con gli anni, dove l’ha trovata, se ci convive bene. «Appartiene al cerchio magico dei fattori innati e misteriosi. Spesso ci convinciamo che il nostro potere d’incanto sia in qualcosa di cui siamo coscienti, invece si può essere eleganti senza sapere come, stravolgenti senza capire perché».
In Non uccidere, la serie noir con cui torna in televisione dopo il successo di 1992 (e prima del cinema con Giuseppe Tornatore), l’ex Miss Italia è un ispettore di polizia della sezione omicidi, con un caso in famiglia: figlia di una Monica Guerritore in carcere per avere ucciso il marito, cerca di risolvere episodi di cronaca nera ispirati a quelli finiti sui giornali veramente (violenze, prostituzione minorile, stalker, uxoricidi) «con metodi d’indagine anarchici e poco ortodossi, aprendo porte di solito per quieto vivere intoccabili».
Le è mai successo di trovarsi dall’altra parte?
«Mi è capitato di fiutare il pericolo come un animale. In una strada buia, di prendere il cellulare dalla borsa e fingere: “Sì, sto arrivando”. Ci si sente sempre un po’ prede, vittime potenziali, per il solo fatto di essere donne».
Come invertire il corso?
«Credendo – lo fa Rania di Giordania – che il futuro migliore stia nell’educazione. Quella delle madri, dei padri, delle scuole, dei media, delle istituzioni. Così, piano piano, ci allontaneremo dai tempi dei nostri trisavoli, quando bastava volere una donna per potersela prendere».
Rimedi palliativi?
«In America, nei college, le ragazze hanno iniziato a denunciare gli stupri nei party, e la legge ha imposto la regola del sì esplicito. Sbaraglia il “Chi tace acconsente”: lui può andare fino in fondo solamente se lei lo verbalizza».
Ha mai avuto addosso sguardi che non voleva?
«Mi ricordo da adolescente quelli degli uomini seduti agli angoli delle piazze di Catania. Ma presto impari che quel modo di fare è culturale, e passa la paura: da siciliana, sono figlia delle storie di Brancati, del Bell’Antonio, del Don Giovanni».
Con il suo mestiere, mai avuto problemi con stalker?
«Uno mi mandava in continuazione sui social foto del suo membro in tutte le condizioni immaginabili: irsuto, glabro. Un altro mi aspettava ogni sera sotto al portone».
Come si è difesa?
«Chiudendo il profilo su Facebook e cambiando casa. Quello è il luogo che più di ogni altro bisogna sentire sicuro».
È vero che in Non uccidere Giuseppe Gagliardi, lo stesso regista di 1992, l’ha voluta senza trucco?
«Solo con l’ombretto, ma per accentuare le occhiaie e il viso scavato qualora la notte prima avessi dormito più del consueto. Abbiamo voluto ispirarci alle protagoniste femminili sbattute e imperfette di Top Of the Lake - Il mistero del lago, di The Bridge. È un modo realista di dire: Valeria è un’eroina, sì, ma anche una stronza con un caratteraccio. A me non sembrava vero: per La dama velata (fiction di Raiuno ambientata a fine ’800, ndr) mi svegliavo ogni giorno alle 5 per acconciature, patacconi, corsetti».
E si è piaciuta, «sbattuta e imperfetta»?
«La prima volta che mi sono rivista, no. La seconda mi sono detta: “È così che sei quando fai colazione ogni mattina”. E poi ormai mi prendo la libertà anche di non piacere. È stata una rivoluzione gentile».
Ce la racconta?
«Compiere 30 anni ha fatto sì che finisse in me quella fase di “carineria” per cui non dici mai un no, non vuoi dispiacere a nessuno, non fai che compiacere».
Le sono costate molto, da «brava ragazza», le scene di sesso in 1992?
«Non sono cresciuta in una comune dove tutti facevano l’amore con tutti ma al Sud, in provincia, dove se durante la visione di un film c’era un nudo, si cambiava canale in fretta. Nonostante l’imbarazzo, dovevo interpretare un’aspirante soubrette pronta a vendersi al miglior offerente pur di fare carriera nello spettacolo: farle è stata una questione di professionalità. Fortunatamente mio padre non ha Sky, e sto ipotizzando di regalargli un viaggio a Cuba adesso che ridaranno la serie in chiaro».
Lei è fidanzata da quattro anni con Davide Dileo, in arte Boosta, tastierista dei Subsonica. Lui come le ha prese?
«È stato difficile, lo è stare con chi fa il mio lavoro. Ma due persone che si amano superano tutto quello che non perdoneresti mai a uno di passaggio. Dici: “Vaffanculo, ma va bene”».
L’incontro fu a un concerto: lui sul palco, lei tra il pubblico. Non avete più smesso di guardarvi, è così?
«La fedeltà è per i cani. La verità è che è l’amore che può portarti a desiderare una persona sola, quasi a scarnificarla, ad andare in profondità con una persona sola. L’amore deve riempirti, tenerti viva. È qualcosa che mi ha stupito, e sto provando».
Ha il bell’esempio dei suoi genitori: suo padre, Ignazio, professore alle superiori di sua madre, Gabriella, che l’ha avuta a 19 anni. Ancora insieme.
«E felici per davvero, non per convenzione sociale».
Quindi non teme i tour e i set come luogo di tentazione?
«Le ricerche e Antonello Venditti, quando canta Ma come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati?, insegnano che sono gli uffici i posti in cui si tradisce di più. E noi non ne abbiamo».
Però anche il vostro ambiente… Sui social, in occasione di 1992, nel focolaio che si accese contro le doti recitative di Tea Falco, Bianca Guaccero citò pure lei, scrivendo: «Ormai la Leone se la tira come Sharon Stone».
«Rimasi in silenzio, lo lasciai spegnere. Ognuno reagisce come si sente. Mi è dispiaciuto per la mia amica, non per il giudizio di chi non conosco».
Che bambina è stata?
«Una di quelle con un mondo interiore da gestirsi molto grande. A ricreazione, giocavo a Occhi di gatto con le amiche, poi però mi fermavo da sola davanti ai gelsomini e stavo lì a lungo, chissà a pensare a cosa: cento anni prima mi avrebbero chiusa in un manicomio».
Raccontano abbia imparato a leggere da autodidatta.
«Mia madre, impiegata al Comune che era in un ex monastero, mi portava al lavoro con sé. Rimanevo sola, nel silenzio e nel mistero di quella biblioteca: è stata la tata che non potevamo permetterci».
Che cosa prova quando vede Miss Italia? Per lei fu l’inizio di tutto.
«Mi commuovo. È stato un bivio storico della mia esistenza. Mi vergognavo dei tacchi, di giocarmi quella carta. Fu un frate a sciogliermi: “Ma l’hai letta che cos’è la bellezza nel Cantico dei cantici? Vivila”».
Conserva la corona?
«In bagno. Lo so che chi ci va poi ci si fa i selfie».
Perché ha chiuso con la carriera da conduttrice che seguì la vittoria?
«Per evoluzione naturale: la pesca è caduta dall’albero e un seme nuovo si è piantato nella terra. Ma vicino alle radici: d’estate, ad Acireale, nel giardino dei miei nonni, con mio fratello ci divertivamo ad annaffiare con il tubo dell’acqua le lucertole, ma io poi correvo dentro, a inventare i costumi con i pizzi che rimanevano dai rammendi. Avevo 5 anni, e volevo fare l’attrice».