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 2015  settembre 09 Mercoledì calendario

ERA MIA MAMA

«È come se dentro di me abitasse da sempre un uccello migratore: sin da piccola ho cercato cose nuove e differenti. Ho visto tanto, ma non è mai abbastanza», scriveva di se stessa Ingrid Bergman.
Di lei per molti rimangono soprattutto la divina di Casablanca e Notorious, i tre Oscar, il glamour della vita hollywoodiana. Ma sono la curiosità e la voglia di avventura che Isabella Rossellini ricorda soprattutto di «mama», come la chiama lei quando parla inglese. «Non era una di quelle persone che hanno successo in qualcosa e poi ripetono la stessa formula all’infinito. Come mio padre, voleva vivere fino in fondo. Divenne famosa nella sua Svezia, lavorò in Germania, e dopo il successo americano vennero l’Italia con mio padre e la Francia; a Hollywood rimase circa dieci anni in tutto, ma non voleva continuare a ripetere lo stesso ruolo. Cary Grant faceva sempre Cary Grant, Jimmy Stewart sempre Jimmy Stewart. Mia madre aveva una sensibilità più europea: voleva scomparire nei suoi personaggi».
Il 29 agosto sarebbe stato il centesimo compleanno di Ingrid Bergman, e Isabella Rossellini ha pensato che il modo migliore di festeggiarla fosse lasciare che sia lei stessa a raccontarsi. È facile, perché Bergman conservava tutto: il diario, le foto, i film che girò lei stessa andando in vacanza o sul set dei suoi film. Lavorando negli archivi della Wesleyan University, dove è conservato questo materiale, Isabella ha scelto centinaia di foto inedite per il libro Ingrid Bergman, A Life In Pictures, che si apre con la prefazione di Liv Ullmann, a fianco di Ingrid in Sinfonia d’autunno.
Dall’autobiografia My Story, che la Bergman scrisse nel 1980 e che è ormai introvabile, Isabella leggerà alcuni passaggi in un tributo che porterà in scena l’11 ottobre a Roma con Christian De Sica, e prima ancora a Londra (con Jeremy Irons) e a Parigi (con Fanny Ardant e Gérard Depardieu). Poi c’è il documentario Io sono Ingrid. Diretto dal regista svedese Stig Björkman, inizia con le straordinarie immagini dell’attrice bambina: «Mamma è nata all’inizio dell’era della cinematografia, e suo padre ogni anno noleggiava una cinepresa per filmare le feste di compleanno. È molto toccante, perché nei primi film mamma è con sua madre, ma al terzo anno la vediamo portare fiori sulla sua tomba».

La giovinezza di Ingrid Bergman è segnata dalla scomparsa di quelli che le stanno vicino.
«Sua madre se ne andò quando lei aveva tre anni, e il suo adorato padre quando ne aveva 13, seguito solo sei mesi dopo dalla zia che per anni era stata per lei come una mamma».
È da queste perdite che viene la sua determinazione?
«Forse il fatto di essere orfana le ha dato l’impulso iniziale verso l’indipendenza, ma è difficile dare un’interpretazione univoca della sua vita. Di certo conta suo padre, che la incoraggiava molto: una volta la portò all’opera e lei ne rimase entusiasta, disse che voleva fare quel lavoro senza cantare, che poi significa essere un’attrice. Cominciò la scuola di recitazione a 17 anni, prima ancora di finirla lavorava già: capì subito di appartenere al palcoscenico, che quella era la sua casa».
Si capisce che era attratta dal successo, ma lo viveva con scetticismo.
«Esitò molto quando venne chiamata da David Selznick, il produttore di Via col vento, perché temeva di abbandonare una carriera avviata in Svezia e perché allora gli studios facevano contratti di 7 anni. Non le piacevano le imposizioni: non amava indossare scarpe coi tacchi alti, si rifiutò di cambiare il proprio nome, o di rifarsi le sopracciglia e i denti. Ma non so se lo faceva perché era determinata o solo per logica: mamma pensava che Hollywood fosse un’esperienza sporadica, e che non avrebbe abbandonato del tutto la sua carriera svedese».
Era una donna molto sicura di sé?
«In realtà era lieve, ironica, per niente una schiacciasassi, e molto timida. Era più sicura di sé sul set che nella vita privata. Ma sapeva di volere essere un’attrice e di volerlo fare a modo proprio».
La parte più tumultuosa della vita di sua madre fu quando, ancora sposata col suo primo marito Petter Lindström, andò in Italia a lavorare con suo padre Roberto Rossellini, anche lui all’epoca sposato, e rimase incinta di suo fratello. Fu uno scandalo enorme: l’America le voltò le spalle, un senatore disse che la Bergman era l’espressione del demonio. Prima del ritorno trionfale in America, dopo sei anni di esilio, venne accusata di trascurare i suoi figli.
«Ma la verità è che quello che è successo a mamma accade da sempre a tutte le donne che cercano di bilanciare le esigenze della carriera e quelle della vita privata: se lavori, stai meno coi figli. E se fai carriera, paghi un prezzo molto alto, spesso proprio in famiglia. È una questione che non ha trovato ancora una risposta, nemmeno adesso».
Reagiste tutti nello stesso modo alla sua assenza?
«No, e questo secondo me dimostra che non esiste un buon modo di essere madre. Io per esempio vissi serenamente il fatto che mamma fosse molto impegnata nella sua carriera, anche se bisogna ricordare che quando da bambina mi venne diagnosticata la scoliosi lei smise di lavorare e stette per quasi due anni con me. Anche per Roberto le sue assenze non furono un problema, mentre mia sorella Ingrid ne soffrì moltissimo, e Pia è ancora arrabbiata».
È lei quella che ha pagato più di tutti.
«Credo di sì: quando mia madre si innamorò di mio padre e chiese il divorzio da Lindström, lui si offese a morte e chiese la custodia di Pia. Così per otto anni Pia non vide più mamma: sarebbe andata diversamente se Petter fosse stato meno rigido».
Fu altrettanto difficile il divorzio tra sua madre e suo padre?
«No, la separazione fu amichevole. Quello che pesò su noi bambini furono i paparazzi che ci seguivano ovunque, una vera persecuzione. Ne avevamo timore, ci coprivamo la faccia: fu spaventoso».
Cosa ricorda degli ultimi anni di vita di sua madre?
«Il tumore le venne diagnosticato nove anni prima della morte, lo aveva già quando girò Sinfonia d’autunno, e alla fine delle riprese fece una seconda mastectomia. Il suo ultimo lavoro fu la miniserie Tv Una donna di nome Golda. Per interpretarla studiò a lungo il primo ministro israeliano Golda Meir e, pur di salutare come faceva lei, prima di andare sul set teneva alzato per ore il braccio che si era gonfiato tantissimo per via del tumore».
Volle lavorare fino all’ultimo.
«Ripeteva spesso quella frase dei cowboy: “Me ne voglio andare indossando i miei stivali”. Era una donna che non poteva stare ferma. Ricordo che una volta si svegliò dal torpore della malattia, si girò verso di me che le stavo accanto guardando fuori dalla finestra e mi disse irritata: “Ma non puoi fare qualcosa, magari lavorare a maglia?”. Non sopportava il ruolo della malata».
So che esiste un altro tributo a sua mamma, che si chiama Viva Ingrid!
«È un omaggio dolcissimo fatto di immagini di mia mamma in Italia, preparato da mio nipote Alessandro (figlio di Renzo Rossellini, ndr). A differenza dei miei figli, che non hanno fatto a tempo a conoscere mia madre, Alessandro ha potuto passare del tempo con lei e la chiamava nonna ma – per dirle la confusione – non aveva capito che fosse la stessa persona che altri chiamavano Ingrid Bergman. Quindi, quando da bambino ricevette un orsacchiotto decise che era suo figlio e lo chiamò Ingrid Bergman. Non sa quanto mi renda felice che anche i suoi nipoti ora sappiano perfettamente chi era la nonna».