Paola Jacobbi, Vanity Fair 9/9/2015, 9 settembre 2015
SON ZANZARA, INGOIO ROSPI
La storia del passato/ ormai ce lo ha
insegnato/ che un popolo affamato/
fa la rivoluzion»
(Viva la pappa col pomodoro, testo di Lina Wertmüller, musica di Nino Rota)
L’infanzia è povera, puzza di minestre di verza, ha il colore smunto delle patate bollite, i grumi insapori della polenta. Ma l’infanzia dura pochissimo. A 12 anni, finita la scuola dell’obbligo, Rita va a lavorare in una camiceria. Stira, in mezzo al vapore, fino a crollare di stanchezza.
Certe sere, il padre Giovanni, operaio alla Fiat, la porta in giro a cantare. La ragazzina è sensazionale. Ha la voce, ha la verve.
A 16 anni arriva a Milano, in un locale di varietà di una certa fama, l’Olimpia di largo Cairoli. Un anno dopo, il 31 agosto 1962, a Roma, la sua vita cambia per sempre. Partecipa (e poi vince) alle selezioni del Festival degli Sconosciuti di Ariccia, antenato dei talent show di oggi. Conosce Ferruccio Ricordi, noto con il nome d’arte Teddy Reno: sarà il suo pigmalione, mentore, marito, padre dei suoi due figli, Alex giornalista e Giorgio musicista con il nome George Merk.
Il 31 agosto, una settimana dopo aver compiuto 70 anni, Rita è venuta in redazione a Milano, non lontano da dove un tempo sorgeva l’Olimpia. La visita non ha lasciato indifferente nessuno di noi, neanche quelli che sono nati molto dopo Rita la zanzara e Datemi un martello.
È venuta perché sta per uscire la sua biografia Tutti pazzi per Rita - La mia vita, i miei sogni, la mia voglia di cantare (scritto con Emilio Targia, Rizzoli editore). È la storia di una vita densa, di cose successe a velocità vorticosa.
Il ventunesimo compleanno di Rita, idolo teen che raggiunge la maggiore età e riceve in regalo una Jaguar rosa, è una fotografia perfetta dell’Italia dell’epoca, affamata, non più di cibo, ma di automobili e canzonette.
Nel ’68, per il suo matrimonio segreto in Svizzera con Ricordi, vent’anni più grande e in attesa del divorzio che in Italia non era permesso, un giornale fornisce una macchina fotografica a una suora, sorella del direttore della rivista, perché faccia lo scoop dell’anno (senza riuscirci).
Oggi, se qualcuno incontrandola le dice «sei un mito», lei risponde «lo so». Ha sfondato in Francia, Germania, Brasile. Ma anche in Inghilterra e negli Stati Uniti. I giornali si domandavano: «Rimpiazzerà i Beatles?». Non esattamente, ma ha cantato in tutte le lingue. Uno dei suoi cavalli di battaglia, Cuore, nella versione inglese Heart è la canzone preferita di Morrissey degli Smiths e di recente Viva la pappa col pomodoro, colonna sonora dello sceneggiato Rai Il giornalino di Gian Burrasca, è tornata in auge grazie allo spot di una birra.
Venti mesi dopo avere vinto il Festival degli Sconosciuti, lei volò a New York per partecipare allo show di Ed Sullivan, una consacrazione. Tremava?
«No. Per un attimo mi chiesi che ci faccio qui, ma poi pensai che se mi avevano chiamata era perché mi consideravano all’altezza. Non mi feci problemi nemmeno nei giorni successivi, quando mi trovai in uno studio di registrazione a pochi metri da Ella Fitzgerald. Cantava stringendo in mano un fazzoletto, me lo ricorderò sempre».
A Parigi, finì a una cena chic dal produttore Eddie Barclay, con Catherine Deneuve, Roger Vadim, Jacques Brel.
«C’erano troppe posate a tavola, mi confondevano le idee e non sapevo di che cosa parlare. Non mangiai quasi nulla, al ritorno in albergo divorai un cestino di mele, a morsi. Negli anni, ho cercato di colmare l’assenza di una vera preparazione culturale. Mi sono letta certi tomi di romanzieri russi che non ha idea, e tanti libri in inglese, con il dizionario accanto, per imparare la lingua».
Si capisce dal libro che lei può essere testarda e anche litigiosa.
«Sono una grande ingoiatrice di rospi, ma arrivano momenti in cui esplodo».
Una cosa che la fa arrabbiare?
«Quando affiancano Viva la pappa col pomodoro al Ballo del qua qua, in un unico calderone di canzoncine per bambini. Eh no. Viva la pappa col pomodoro è di Nino Rota, non scherziamo».
Giovanissima, lavorava a ritmi forsennati: dischi, Tv, cinema, tour. Non si sentiva sfruttata?
«A volte mi ribellavo. Ma era difficile, perché tutti dipendevano da me. Sul set di Gian Burrasca venni ricoverata per un’appendicite. Non potevano bloccare le riprese, ingaggiarono una ragazzina come controfigura per girare le scene di spalle, in attesa del mio ritorno».
Con quel successo, altri avrebbero perso la testa. Non lei. Ma la sua famiglia deragliò.
«Mio padre cominciò a tradire mia madre e a spendere e spandere. Diceva che, “prima”, con mille lire si sentiva ricco e che “dopo”, con un milione in tasca, si sentiva un pezzente. Uno dei miei fratelli cominciò a giocare. E anche mia madre, che aveva passato la prima parte della vita a lavare i panni altrui, era come stordita dagli alberghi lussuosi. I miei genitori, che erano stati per me dei modelli, gente tenace che aveva vissuto la guerra, conosciuto la fame e i sacrifici, diventarono fragili e disorientati. Rinunciai a una proposta importante in America per restare vicina e portare un po’ di equilibrio».
È mai stata in analisi? O ha praticato forme di meditazione per «conoscersi»?
«Mai. Gioco a burraco con un’amica d’infanzia, di quando non ero famosa».
Che cosa pensa dei talent show?
«Per un Mengoni, una Amoroso, una Emma, quanti restano a terra? E poi, abbia pazienza, possibile che tutti vogliano fare i cantanti? I lavori normali chi li fa?».
Lei ha girato anche diversi film, i famosi «musicarelli». Una canzonetta diventava una sceneggiatura.
«Costava poco farli e incassavano un sacco di soldi: non ho mai capito perché questo in Italia sia sempre stato considerato un difetto. Erano un modello di business ideale».
Negli anni Settanta l’Italia cambia e si dimentica dei cantanti come lei.
«Arrivano i cantautori, va di moda il testo impegnato. Io ero una ex proletaria diventata ricca, avevo una villa enorme e nessuna voglia di cantare il disagio sociale. Quel tipo di musica non mi apparteneva. Nel ’72 portai a Sanremo Amici mai, pezzo secondo me bellissimo, ma mi fecero fuori. Per fortuna, all’estero le cose non hanno mai smesso di andare bene. Andai con Ferruccio a Parigi, azzeccammo subito un pezzo in francese e poco dopo ero seconda in classifica in Francia».
Siete sposati da 48 anni. Chi è Ferruccio per lei?
«Un uomo che non mi ha mai deluso. Su di noi si è scritto molto, per la differenza d’età e il fatto che era stato sposato, ma c’è poco da dire: è stato un incontro di anime».
Scenate di gelosia ce ne sono state?
«Una sola. E quando non stavamo insieme. Eravamo in macchina, durante un Cantagiro. Lui guidava, aveva accanto una smorfiosa cantante francese. Io ero dietro, in mezzo ai miei genitori. La francese lo abbracciava e gli leccava l’orecchio. Diedi i numeri. Dopo, piena di vergogna, mi misi a riflettere sulla mia reazione. Ero innamorata e non lo sapevo».
Ha avuto molto dalla vita. Che cosa vorrebbe ancora?
«Penso che se fossi nata in Inghilterra, per l’impatto che ho avuto, oggi sarei Lady. Spero che prima o poi Torino si ricordi di me come concittadina illustre. Per ora è successo solo che Piero Fassino mi ha chiamata per farmi gli auguri di compleanno. Non volevo crederci, ho temuto fosse uno scherzo della Zanzara, quella di adesso, alla radio».