Cristina Taglietti, Corriere della Sera 9/9/2015, 9 settembre 2015
NON APRITE QUELLA PORTA, DENTRO È PIENO DI LIBRI
Sono case-libro, cioè case in cui sono stati letti libri, case in cui sono stati scritti libri, case che sono entrate nei libri come personaggi. È un piccolo gioiello non solo per feticisti questa «autobiografia per feticci» che Michele Mari ha realizzato con il fotografo Francesco Pernigo e che presenterà venerdì 11 al Festivaletteratura di Mantova.
Asterusher (Corraini, pagine 104, e 16) parla di stanze e di letteratura, come d’altronde suggerisce immediatamente il titolo che mette insieme La casa di Asterione di Borges e Il crollo della casa Usher di Edgar Allan Poe. E come ci si può aspettare da Mari che con la metaletteratura, i pastiche , le ibridazioni e il manierismo ha sempre amato giocare. Borges e Poe vengono posti all’inizio e alla fine come due fermaporte che tengono aperte stanze dove stanno stretti l’uno all’altro Proust e Landolfi, Canetti e Gadda, Sebald e Buzzati, Benjamin e Lovecraft, Gozzano e Manganelli. Il legame tra gli «oggetti d’affezione» (come li chiama l’autore nella prefazione) e la scrittura, tra parole e cose, ha per Mari il suo precedente più significativo nella grossa bottiglia di profumo piena di tutti i mozziconi di matita accumulati negli anni degli studi liceali e universitari. La bottiglia compare nell’atto unico Ballata triste di una tromba , messo in scena nel 2012 per Pordenonelegge e, un anno dopo, in un incontro con Walter Siti nella seconda edizione della rassegna milanese «Roland».
Le immagini di Pernigo, fotografo nato a Rovereto, che si dedica a progetti legati al territorio e alla relazione tra gli oggetti e il loro contesto culturale, sono accompagnate dai testi dello stesso Mari, alcuni scritti espressamente, altri tratti dai suoi libri, da Euridice aveva un cane a Certi verdini , da I giornalini a Verderame , ma soprattutto Fantasmagonia .
Pagina dopo pagina si compone una biografia che soltanto in parte appartiene all’autore, dal momento che alcuni degli oggetti sono stati suggeriti dal fotografo per ragioni estetiche o di composizione geometrica, costringendo lo stesso Mari a rileggere se stesso e i suoi ricordi. I puzzle artistici (Cézanne, Corot, Vermeer, Morandi) realizzati da bambino su spinta della madre Iela Mari, il coltello di ferro privo del manico, quasi nascosto in mezzo ai mestoli, il seggiolone da cui l’autore cade a sette anni battendo la testa, gli antenati dei Sedici animali , opera del padre, il designer Enzo Mari, convocano nelle stesse stanze i familiari e le loro abitudini, il Mari bambino e il Mari adulto.
È a suo modo anche questo un romanzo di formazione, una genealogia dell’autore che si personifica nelle due teste di legno massiccio comprate dal padre probabilmente alla fiera di Sinigaglia: «il signore» e «il mostro», dove il secondo non può che essere la verità del primo.