Guido De Carolis, Corriere della Sera 9/9/2015, 9 settembre 2015
IL RITORNO DEL BAD BOY, LO PSICOLOGO: «SERVONO RISORSE PERSONALI E SOCIALI»
Obiettivi, analisi delle difficoltà, possibili soluzioni. Fabio Lucidi, 49enne professore di Psicologia dello Sport alla Sapienza di Roma, ha la chiarezza di un matematico, pur insegnando una disciplina per nulla aritmetica. Scientifica sì però. Il calcio lo vede e lo appassiona, ma «parlare di soggetti non direttamente assistiti non si può, non è corretto. Ampliare il campo, parlando di psicologia dello sport e non di paziente in cura psicologica però è possibile».
Professore, secondo lei Balotelli ce la farà a rigenerarsi al Milan?
«Non posso rispondere sul caso personale, ripeto non è un mio assistito. Le dirò quali sono i fattori di difficoltà per un giocatore della sua età, quindi non di Balotelli, ma genericamente di tutti».
Quali sono i rischi?
«Un calciatore si trova esposto a tre fattori principali: grandi possibilità economiche, immensa popolarità e pressione sociale».
Come può un ragazzo gestire una situazione così complessa?
«Serve una formazione mirata all’ambito sportivo e un sistema di risorse individuale. Un mix di risorse collettive (quindi magari l’aiuto del club) e sociali, come può essere stata la scuola».
Ma un giocatore che ha avuto problemi in passato come può ripartire?
«Occorre avere un obiettivo a medio termine, una prospettiva. Semplifico: voglio qualificarmi per la Champions. Poi questo obiettivo va segmentato in sotto obiettivi più vicini nel tempo. Quando gli allenatori dicono: “Pensiamo di domenica in domenica”, fanno questo. E qui il giocatore deve analizzare come superare le difficoltà giorno dopo giorno».
Mihajlovic con il suo carattere forte pò aiutare Balotelli?
«Si tende a dare immagini caricaturali: il sergente di ferro o il mollaccione. Non esistono. C’è l’allenatore più “supportivo” o direttivo. Pongo l’obiettivo di un esercizio a un giocatore e posso dire: “Devi farlo così”. Oppure: “Fammi vedere come lo faresti”. Nel secondo caso sei più supportivo e tendenzialmente dà più risultati. L’obiettivo resta, ma c’è una contrattazione personale».
Il codice etico che molte squadre hanno introdotto tra cui il Milan, è utile?
«Sì, perché è l’accettazione di regole da parte dei singoli per arrivare alla coesione del gruppo. Si decide di aderire a un sistema in modo pubblico. Non è un accordo, ma il desiderio privato di entrare a far parte di quel gruppo. E ci stanno anche regole in più per qualcuno. L’idea è: mi tengo i capelli corti perché è un mio desiderio entrare in quella comunità».
Ma il passato quanto pesa?
«Questo è il primo step: cancellare il passato. Se hai vinto una medaglia olimpica non poi adagiarti, se hai perso una finale devi voltare pagina. Ogni occasione è una nuova occasione. Se quell’occasione sarà colta non può saperlo nessuno» .
Riassuma, come se ne esce e si torna grandi?
«Serve un obiettivo a medio termine. Segmentarlo giorno dopo giorno. Trasformare gli obiettivi nei comportamenti che servono per raggiungerli. Analizzare le difficoltà. La valutazione e lo sforzo. E infine una forte convinzione di superare le specifiche difficoltà».
Ma se uno non ce la fa?
«Se un atleta pensa che quella difficoltà è troppo ardua non basta dirgli “dai che ce la fai” o “dovevi essere più motivato”. Serve un supporto a livello di psicologia dello sport. Voglio essere chiaro: non si tratta di psicologia dell’individuo, ma di un professionista in grado di aiutare un atleta a raggiungere l’obiettivo».