Stefano Micossi, Affari&Finanza – la Repubblica 7/9/2015, 7 settembre 2015
DETASSARE LA CASA NON AIUTA LA RIPRESA
Il buon governo dell’economia è fatto di due ingredienti: una visione strategica capace di assicurare la crescita dell’economia e dell’occupazione nel medio termine e la sua realizzazione con misure concrete adeguate allo scopo e coerenti con gli obiettivi di medio termine. Il governo Renzi la visione ce l’ha, ma cresce la sensazione che le difficoltà politiche contingenti lo stiano allontanando dalla coerente realizzazione. Ciò mi appare evidente nei nuovi indirizzi di politica fiscale annunciati nell’estate.
Naturalmente, siamo tutti a favore di una riduzione dei carichi fiscali, ma ciò non deve compromettere il sentiero di riduzione del debito pubblico; la prima punizione verrebbe non dagli organi comunitari, ma dai mercati finanziari con l’aumento degli spread, che farebbe deragliare il treno della nostra finanza pubblica. Inoltre, se è vero che l’Italia è libera di scegliere quali imposte tagliare, questa scelta non è senza effetti sulla crescita.
La raccomandazione del Consiglio dell’Unione del 14 luglio 2015 ci vincola a realizzare nel 2016 un miglioramento del saldo strutturale di bilancio "almeno" dello 0,1 per cento del Pil - con un abbuono dello 0,4 per cento già concesso in riconoscimento delle riforme già avviate - mentre secondo la Commissione europea le tendenze attuali implicano un peggioramento dello 0,2 per cento. Dunque, per rispettare gli impegni assunti solo pochi mesi fa occorre ridurre il disavanzo dello 0,3 per cento. La richiesta di nuova "flessibilità" parte in salita, perché può significare l’arresto della discesa del rapporto debito/pil. Incombono sulla finanza pubblica clausole di salvaguardia - per riduzioni d’imposte e aumenti di spesa non coperti in precedenza - per 16 miliardi di euro (un punto percentuale di pil) nel 2016, che salgono a oltre 25 miliardi nel 2017.
In più, si devono coprire gli effetti della sentenza della Corte costituzionale sull’indicizzazione delle pensioni, possibili aumenti delle retribuzioni pubbliche per il nuovo contratto e le minori entrate per una misura sull’Imposta sul valore aggiunto poi bocciata dalla Commissione europea (reverse charge). Le riduzioni di spesa realisticamente realizzabili nel 2016 sono stimate in 10 miliardi, si spera di ricavarne altri 6 dalla riduzione degli interessi sul debito pubblico (grazie a San Mario Draghi) e la maggior crescita; ma l’inflazione resta ben più bassa del previsto, deprimendo il pil nominale, i tassi d’interesse a lunga possono risalire al traino di quelli americani.
Da dove, in questo quadro, arriveranno le risorse per abbattere le imposte nella misura indicata (oltre a quanto già fatto, altri due punti di pil) non è molto chiaro; è diffuso il sospetto che il premier punti ad abbattere subito le imposte sulla casa, senza copertura, in vista di un possibile anticipo delle elezioni, rinviando le promesse riduzioni dell’Irpef e dell’Irese alla nuova legislatura. L’abolizione dell’imposta sulla prima casa viene criticata dall’Ue, il Fmi e l’Ocse perché costringe a rinviare il necessario alleggerimento delle imposte sul lavoro e l’impresa, la vera palla al piede della crescita italiana.
Invece, nelle valutazioni più accreditate l’imposta sulla casa non ha effetti espansivi né sui consumi, né sull’attività di costruzione. Inoltre, essa aprirà un buco nelle finanze comunali al quale si finirà per rimediare con trasferimenti dal centro: tutto il contrario della finanza locale basata su entrate proprie e amministratori locali responsabili nei confronti dei propri elettori, verso la quale si voleva muovere. In ogni caso, il calo delle imposte può produrre effetti positivi sulla crescita solo se viene percepito come permanente, dunque collegato a un calo strutturale della spesa pubblica che al momento non è in vista.
Per completare il quadro, si è anche lasciata scadere la delega per le riforma del catasto, attesa da vent’anni, mantenendo l’attuale iniqua sottotassazione delle case nei centri storici. Né, dopo le utili misure sull’abuso di diritto e le sanzioni in attuazione della delega fiscale, si è avviato un serio riesame del groviglio delle tax expenditures, circa 10 punti percentuali di Pil (nelle stime del FMI, oltre 150 miliardi). Tra esse albergano esenzioni di alto valore sociale, soprattutto per le famiglie, ma anche un’incredibile stratificazione di regali ingiustificati ad attività e settori specifici. Una buona sfoltitura aprirebbe lo spazio a tutele più consistenti per i meno abbienti (gli 80 euro per i cosiddetti incapienti) insieme a un generale abbattimento delle aliquote per chi le imposte le paga, ma servono coraggio e vista lunga. La conclusione è chiara: il rischio, ancora una volta, è di gettare denaro al vento, come già fece Berlusconi, per inseguire il consenso, rinviando il buon riassetto della finanza pubblica che servirebbe a tempi migliori che non arrivano mai.
Stefano Micossi, Affari&Finanza – la Repubblica 7/9/2015