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 2015  settembre 07 Lunedì calendario

GHIZZONI: "COSÌ TRASFORMERÒ UNICREDIT. ECCO I MIEI PIANI PER I PROSSIMI TRE ANNI"

[Intervista a Federico Gizzoni] –
"Dopo qualche anno in difesa adesso si riparte, rivedendo la presenza in Europa e fuori, puntando sui nostri punti di forza nel mercato dei capitali e sul fatto che siamo il gruppo europeo che ha più multinazionali tra i suoi clienti". L’amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni garantisce che la banca non farà aumenti di capitale e delinea le linee che seguirà nei prossimi tre anni. Crescita interna, in particolare nel private e nell’investment banking, nel sostegno all’export e agli investimenti internazionali. "Nei prossimi mesi Unicredit 2.0 prenderà forma, diventeremo una banca digitale a tutti i livelli ". I tagli dei costi e i programmi di sviluppo del nuovo piano industriale.
Il primo ottobre prossimo saranno cinque anni che Federico Ghizzoni è al vertice di Unicredit. "Cinque anni difficili, per le crisi in Europa e in Italia, cinque anni in cui sono cambiati completamente l’assetto regolamentare, le tecnologie e i mercati".
La banca in che condizioni è oggi?
"Abbiamo lavorato a fondo sui fondamentali, in un periodo in cui i parametri di capitale sono triplicati, l’impegno è stato forte nel ridurre i costi ed aumentare l’efficienza, anche per creare le risorse necessarie a coprire le sofferenze che si sono generate in questo ciclo recessivo. Oggi la banca è solida e pronta ad affrontare la nuova fase, non avendo perso la sua dimensione europea, come pure qualcuno spingeva a fare".
Che missione si è dato per il nuovo mandato?
"Ho accettato di guidare Unicredit per i prossimi tre anni per completare il lavoro fatto e affrontare le nuove sfide, la prima delle quali è diventare davvero una banca digitale, il che non vuol dire eliminare la parte fisica, ma aumentare semplicità, sicurezza, gestire il cliente individualmente e non per segmenti. Ma c’è anche da raccogliere i frutti del lavoro fatto: l’Italia sta ripartendo, le sofferenze scendono, il costo del rischio è in diminuzione e il frutto delle ristrutturazioni si comincia a vedere".
Ma a quanto pare non basta, avete annunciato una revisione del piano industriale e si parla di 10 mila esuberi.
"Il piano verrà aggiornato da noi, come penso da molti altri. Non si può fare la banca digitale senza cambiare il modello di servizio, e avendo i tassi a zero non si può non lavorare sui costi. Ormai i piani di 3 o 5 anni non reggono più, quello che succede intorno costringe ad aggiornarli continuamente. Ci sono opportunità nuove come il boom del risparmio gestito che tre anni fa non si prevedeva così come c’è la Banking Union, che tre anni fa non c’era".
E gli esuberi?
"Non sono in grado di dare anticipazioni, l’elaborazione del piano è ancora in corso. Ovviamente lavoreremo ancora sui costi e sulla riorganizzazione ma anche sulla crescita della banca e sullo sviluppo delle attività commerciali ".
Taglierete soprattutto in Germania e Austria, che hanno ancora un rapporto costi ricavi superiore alla media del gruppo?
"Ciascuno sarà chiamato a dare il suo contributo, avendo l’obiettivo di un gruppo più snello, efficiente e produttivo ciascuna componente, dalla rete delle filiali alle strutture centrali, sarà chiamata a contribuire".
Mettere il rapporto costi ricavi di Germania e Austria in linea farà parte del piano?
"Abbiamo in mente un cost-income medio, ma non può essere uguale per tutti. In Russia per esempio è pari a 30, il che non vuol dire che anche lì non si possa migliorare".
E i ricavi, dove cresceranno?
"Prevediamo tassi a zero ancora per due o tre anni, quindi dobbiamo puntare su business in crescita, come per esempio il risparmio gestito e l’export, e su business che assorbono poco capitale come il private banking e il wealth management".
E il credito?
"Con le regole di assorbimento del capitale e i tassi così bassi il credito, che è l’attività centrale delle banche, è diventato meno attraente di altre attività. Noi continueremo a fare la nostra parte per sostenere i nostri clienti. Ma si deve riflettere su questo perché l’impatto sulle economie può essere rilevante".
L’obiettivo dei regolatori, oltre a stabilizzare le banche sembra essere anche quello di avere sistemi meno banco-centrici e un mercato dei capitali più vivace.
"Siamo totalmente favorevoli alla Capital Market Union, ma per realizzarla ci vorranno quattro o cinque anni. Certamente dobbiamo dare alternative alle imprese ma intanto il credito tradizionale resta fondamentale. Ora che l’obiettivo di rendere le banche più solide e stabili è stato raggiunto forse è il momento di tornare a incentivare il credito".
Alla luce del boom del risparmio gestito, non sono stati errori quotare Fineco riducendo la partecipazione e avviare il processo di fusione di Pioneer con l’asset management del Santander?
"Fineco è stata quotata in una visione di lungo termine, per darle munizioni per crescere e per rendere la banca più attenta ai risultati. L’essere in Borsa l’ha anche aiutata ad attrarre talenti offrendo una partecipazione che altrimenti non sarebbe stata possibile. E poi, vista la creazione di valore con il raddoppio della capitalizzazione in 15 mesi mi sembra difficile considerare la quotazione un errore. La stessa visione di lungo termine vale per Pioneer, con l’operazione che si avvierà a conclusione i primi mesi del 2016. Lì l’obiettivo è creare un gruppo di dimensioni globali, riducendo i costi e aumentando la penetrazione sui mercati. Insieme a Santander mettiamo insieme 20 mila filiali, in tutta l’Europa, Sud e Nord America, Asia e diventiamo fortissimi nel rapporto con gli investitori istituzionali. E’ una scelta strategica di grande portata".
State cambiando anche la strategia di presenza internazionale, con quale modello?
"Abbiamo sperimentato in Francia un nuovo approccio, prima eravamo lì per seguire le aziende italiane, ora serviamo le multinazionali francesi che investono all’estero, soprattutto nel Centro ed Est Europa. Abbiamo cominciato a vendere la nostra geografia ed è stato un successo. Adesso replichiamo quel modello in Spagna, nel Regno Unito, negli Stati Uniti, mentre in Asia siamo soprattutto al servizio dei nostri clienti esportatori ma abbiamo seguito anche investitori cinesi nelle loro operazioni in Europa".
Secondo molti analisti Unicredit continua ad avere problemi di capitale.
"Siamo partiti con il piano industriale di marzo 2014 dandoci un obiettivo di capitale di vigilanza del 10 per cento nel 2016, ai dati di giugno 2015 siamo già a 10,37, e con le ultime due trimestrali abbiamo dimostrato di essere in grado di generare capitale nella misura di 15-20 punti base a trimestre: questo rassicura noi e dovrebbe rassicurare tutti. Confermo quanto già detto, non faremo aumenti di capitale perche siamo in grado di generare quello che ci serve".
Ma i dubbi permangono.
"Penso che sia la conseguenza dei nuovi meccanismi. Prima c’era un obiettivo certo, che per le banche come la nostra era il 9 per cento, ora con la revisione annuale effettuata dalla Bce (il nome in codice della nuova prassi è Srep, ndr), c’è meno certezza sulle richieste della vigilanza, il che spinge gli analisti ad aspettarsi da gruppi come il nostro capitali di vigilanza più alti rispetto a quanto richiesto solo uno o due anni fa. Noi continueremo a generare capitale organicamente, come abbiamo dimostrato di poter fare".
Uno dei drammi degli ultimi anni è stata la sovrapposizione del rischio paese al rischio banca, l’Unione Bancaria ha rotto quel collegamento?
"L’Unione ha dato maggiore solidità agli istituti, ma quel legame non è ancora completamente spezzato, lo sarà quando il fondo di risoluzione delle crisi che abbiamo appena cominciato a costruire sarà completo e quando i meccanismi di risoluzione saranno stati definiti".
Avete avviato la cessione della partecipata in Ucraina, ci saranno altri cambiamenti di perimetro?
"Più che altro è cambiata la logica. Non abbiamo bisogno di vendere per aumentare il capitale, ora di ogni attività valutiamo se la redditività è adeguata o ha il potenziale per aumentarla e quella sarà la discriminante delle nostre scelte. Ad esempio potremmo pensare di aumentare la nostra presenza in Polonia, perché è un mercato grande e la Banca Pekao ha una buona dotazione di capitale e soprattutto dà un buon ritorno sul capitale investito. In linea di massima tuttavia, più che ad acquisizioni pensiamo a spingere la crescita organica in particolare nel private banking e nell’investiment banking dove abbiamo già una posizione forte: in Europa siamo la banca che ha più multinazionali clienti, siamo forti nel mid corporate e siamo nei primi tre nel debt/capital market. Vogliamo favorire la crescita delle esportazioni e degli investimenti europei, e consolidare la nostra leadership continentale nel corporate banking. Possiamo fornire servizi di eccellenza dal cash mangement al pro-ject financing".
Ci saranno evoluzioni nella rete?
"Dobbiamo avere una dimensione funzionale alla digitalizzazione. Quale sarà il numero di filiali ottimale? Probabilmente inferiore a quello attuale. Il cliente chiede servizio e consulenza, il 90 per cento delle transazioni già avviene online, e la maggior parte di esse viene fatta dopo cena. Dobbiamo dilogare con il cliente molto di più e a tutte le ore. La dimensione della rete delle filiali sarà determinata da questa evoluzione".
L’operazione di finanziamento della Bce, l’Ltro, ha funzionato?
"La liquidità che abbiamo preso, circa 18 miliardi di euro, è tutta passata alle aziende, che ne hanno utilizzato una buona parte per sostituire finanziamenti più costosi o crearsi liquidità e una parte minore per nuovi investimenti . Ma l’effetto è comunque importante, si è ridotto il costo del finanziamento con vantaggi notevoli per i conti delle aziende".
E il quantitative easing?
"L’effetto sul cambio e sulla liquidità del sistema è stato raggiunto, dobbiamo ancora aspettare per vedere gli effetti sulla ripresa economica e sul tasso di inflazione. Quello che è certo è che l’Europa deve spingere sui consumi e gli investimenti, ora che la crescita dei Bric sta vistosamente rallentando bisogna aumentare la capacità di crescita interna del continente. La Germania in questo ci ha dato una lezione, raggiunto il pareggio di bilancio ora stanno aumentando i salari ed i consumi interni. E’ quella la strada: meno spesa pubblica e più risorse per i consumatori".
Tra la crisi greca, la frenata cinese, le tensioni nel Mediterraneo, cosa le fa più paura?
"La crisi greca è gestibile e anche quella cinese, come dimostra il fatto che se nell’azionario ci sono state reazioni esuberanti il reddito fisso è rimasto stabile. Il problema più grave è nel Mediterraneo, dove si devono risolvere i problemi nella sponda Sud e quelli sociopolitici legati all’immigrazione nella sponsa Nord. Anche qui la Germania della Merkel sembra stia adottando un approccio diverso dagli altri paesi europei. Un approccio che tiene conto dei problemi demografici determinati dal crollo delle nascite e dall’aumento della durata della vita. La loro posizione sull’immigrazione è meno congiunturale di quanto sembri".
Marco Panara, Affari&Finanza – la Repubblica 7/9/2015