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 2015  settembre 08 Martedì calendario

ROSSI SI CANDIDA A SEGRETARIO PD

Non ha resistito, Enrico Rossi. L’encomio, a fine agosto, di Eugenio Scalfari, che l’ha esaltato per la sua intervista pro-Nunzio Galantino, nel senso che il governatore toscano del Pd aveva plaudito all’invettiva del segretario della Cei contro la politica, l’elogio scalfariano, dicevamo, ha riacceso le sue polveri interiori.
E domenica, alla Festa dell’Unità di Firenze, mentre Matteo Renzi faceva faville in quella nazionale, a Milano, Rossi s’è detto pronto per il Nazareno. «Sono disponibile a candidarmi alla segreteria Pd, penso che ci sia spazio», ha detto rispondendo a Sandro Bertuccelli, il capo di Repubblica in città.
Quando il cronista gli ha chiesto se avesse informato Renzi, il governatore è stato netto: «Né Renzi, né Massimo D’Alema né Pier Luigi Bersani, sono adulto», ha riportato ieri il Corriere Fiorentino, «ho riflettuto, credo di essere in grado di portare un contributo. Valuteremo se poi sarà davvero candidatura». E ha precisato, Rossi, che quella disponibiità era «il frutto di una sinistra di governo, della quale io sono figlio». Per nulla impaurito dalla lunghezza del cammino e dagli ostacoli, «chi mi conosce,sa che quando provo a fare qualcosa ci provo fino in fondo. Gli ostacoli incentivano», Rossi ha sottolineato che «nessuno ha reagito in modo scandalizzato».
Parole chiare, anche se caute e condite di tanti atti di fedeltà al Renzi premier, a partire dalla riforma del Senato, «che va approvato subito senza perdere altro tempo», e di plauso al Jobs Act, passaggi che lo fanno smarcare dalla sinistra «vietnamita» in cui milita per esempio il senatore Vannino Chiti, suo predecessore alla guida della Toscana. Ai bersaniani, cui un tempo apparteneva, fino a sostenere Gianni Cuperlo contro Renzi nel congresso del 2013, Rossi ha dato persino una stoccata: «Non avrei mai pensato di candidarmi, se la sinistra e i suoi esponenti mi avessero rappresentato in pieno».
Precisazioni, distinguo, dichiarazioni di lealtà che non gli hanno risparmiato una fredda accoglienza da parte di quelli che, da sinistra, sono diventati renziani, come il presidente del Pd, Matteo Orfini, «non è il caso di pensare al congresso ora», o come Valeria Fedeli, ex-cgiellina e vicepresidente del Senato che, intervistata ieri dal Corriere Fiorentino, ha detto: «Non capisco bene a chi si rivolge (Rossi, ndr). Inoltre è stato appena rieletto presidente della Regione in un periodo di grandi cambiamenti per gli enti regionali e sarà molto impegnato su questo fronte». Una domanda, quella di Fedeli, che si pongono in molti. In chi confida Rossi, per dare vita a un tentativo di sinistra ma non antirenziano?
Può davvero bastare la simpatia del fondatore di Repubblica? Oppure Rossi ritiene che Scalfari abbia rinnovato quella che manifestò, ripetutamente anche Carlo De Benedetti, nel 2012, quando lo candidò al dopo Bersani? L’editore però, da quando è apparso Renzi all’orizzonte, s’è convertito al Rottamatore, con tanto di accoglienza in villa, a Dogliani (Cn), nella primavera del 2013. Conversione che ufficialmente non è venuta meno, anche se il quotidiano di Ezio Mauro, dagli entusiasimi dalla presa del Pd e dei primi mesi di governo, quando Scalfari stonava persino per le sue bacchettate, è arrivato alla freddezza, se non alla critica aperta, dell’ultimo periodo. A parte l’endorsement di Repubblica, resta però il dubbio che lo spazio politico, richiamato da Rossi, ci sia effettivamente. Se rompe con la sinistra interna e raccoglie per adesso solo alzate di spalle dalla sinistra renziana, perché il governatore fa questo passo?
Secondo alcuni osservatori del Pd toscano, che preferiscono non essere citati, il governatore, fiutando le difficoltà dell’esecutivo nazionale, soprattutto in economia, anche se l’Istat ha ridato una nota di ottimismo sulla disoccupazione, corre a posizionarsi per il dopo-Renzi eventuale, ché una caduta di governo non potrebbe non coinvolgere la leadership del partito. Ovviamente, in quel caso, si parlerebbe di congresso straordinario, dove si dovrebbe profilare un candidato, capace portare a unità la sinistra barricadera, avendone gli stessi cromosomi, ma che, non essendo antirenziano, sarebbe in grado di dialogare con gli stati maggior del renzismo, rimasti acefali.
Uno scenario che farebbe pendant con quello, circolato a Roma nei giorni più duri del governo Renzi, dopo la botta delle amministrative di maggio e i singhiozzi dell’economia: non il voto anticipato, ma un nuovo esecutivo a guida Pd, e per giunta a trazione renziana, cioè rispettoso cioè degli equilibri interni a quel partito, e per il quale s’era fatto persino un nome: Graziano Delrio. L’unica cosa certa di questi scenari, ammessa e non concessa la loro veridicità, è che il premier non la prenderà bene.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 8/9/2015