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 2015  settembre 08 Martedì calendario

KRUGMAN FOLGORATO DALLE TESI DI TRUMP

Donald Trump? Gli converrebbe non essere eletto presidente degli Stati Uniti. Perché l’anno prossimo il Dow Jones è comunque destinato a crollare sotto i 5 mila punti (oggi è a 16 mila) innescando una recessione che potrebbe durare fino al 2020 e oltre. La catastrofica previsione è stata fatta da Paul B.
Farrell, editorialista di MarketWatch, sottolineando che la recessione durerà a lungo, chiunque sia il nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, Jeb Bush o Hillary Clinton (ma il socialista Bernie Sanders è in testa ai sondaggi delle primarie democratiche in New Hampshire). Bando ai gufi, Trump ieri ha comunque trovato un inatteso quanto riluttante sostenitore: il premio Nobel per l’economia Paul Krugman. Il titolo del suo editoriale sul New York Times è di quelli che attira l’attenzione: Sull’economia Trump ha ragione. In realtà il ragionamento del Nobel è più articolato di quanto non suggerisca il titolo. Il succo è: Trump ha un problema d’immagine e sembra dire cose balzane, ma i suoi avversari alle primarie repubblicane, come Jeb Bush, dicono cose ancora più assurde nonostante abbiano un’aria più educata. Secondo il Nobel, Trump può permettersi di prendere certe posizioni perché è in grado di autofinanziare la sua campagna elettorale e non deve chiedere niente al big business. Trump può evitare così di ripetere i vecchi dogmi della supply-side economics, portati alla ribalta da Ronald Reagan e fatti propri da George W. e Jeb Bush, nonostante Bush padre, quando aveva sfidato il vecchio attore di Hollywood alle primarie repubblicane l’avesse definita economia vodoo. L’immobiliarista newyorchese non ha quindi problemi a promettere di rinegoziare i trattati commerciali con mezzo mondo, gettando così nella spazzatura l’ideologia del libero scambio. Krugman apprezza soprattutto il fatto che Trump si sia detto pronto ad aumentare le tasse ai ricchi e abbia avuto parole positive per il sistema sanitario universale (all’europea). E il fatto che la base repubblicana sia pronto a votarlo in massa vuol dire che su questi temi il vento è cambiato.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 8/9/2015