Andrea Pira, MilanoFinanza 8/9/2015, 8 settembre 2015
LA CINA TAGLIA IL PIL DEL 2014
La distanza tra la reale crescita cinese dello scorso anno e l’obiettivo fissato dal governo è più ampia di quanto si pensasse. Pechino ha infatti rivisto al ribasso l’espansione del prodotto interno lordo del 2014. La correzione è dello 0,1%, da +7,4% al +7,3%, sufficiente però a rafforzare i timori sul rallentamento della seconda economia mondiale.
Il tasso di crescita è ai livelli più bassi dal 1990. La revisione inoltre è dovuta in parte al risultato meno soddisfacente nel settore dei servizi; un segnale delle difficoltà nel processo di transizione del modello economico cinese, che nelle intenzioni della dirigenza dovrà diventare meno dipendente dalle esportazioni. E i risultati potrebbero subire ulteriori correzioni, mentre la Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme si è affrettata a precisare che la nuova stima sul pil dello scorso anno non dovrebbe avere ripercussioni sull’obiettivo di una crescita «stabile» attorno al 7% per il 2015, sebbene diversi analisti ipotizzino già da tempo che l’espansione cinese si fermerà attorno al 4-5%. Così ieri il ministro delle Finanze Lou Jiwei ha annunciato quello che ha l’aria di essere un pacchetto di stimolo, ossia un probabile aumento del 10% della spesa pubblica per quest’anno.
La correzione annunciata dall’Ufficio nazionale di statistica è stata diffusa ieri, giorno di riapertura delle borse dopo il lungo fine settimana di chiusura, iniziato giovedì per celebrare i 70 anni dalla resa del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale.
La seduta sui listini è stata mista. Lo Shanghai Composite ha chiuso in calo del 2,5% a 3.080, 42 punti, di contro il listino di Shenzhen ha guadagnato lo 0,2% a 1.677,33 punti. Rosso invece per Hong Kong, con l’indice Hang Seng in flessione dell’1,23%, mentre il Csi 300, che include le più importanti società quotate, ha ceduto il 3,4% nel giorno in cui si è fatta strada l’ipotesi di introdurre un meccanismo di blocco degli scambi in caso di fluttuazioni superiori al 5% sull’indice. Se le fluttuazioni si verificheranno prima delle 14.30 lo stop sarà di 30 minuti, spiega una nota pubblicata dalle borse di Shanghai e Shenzhen e dalla China Financial Futures Exchange. Nel caso avvengano dopo tale orario o durante l’intera giornata con fluttuazioni oltre il 7%, la sospensione sarà fino alla chiusura dei mercati, ossia alle 15.
Domenica scorsa la China Securities Regulatory Commission, l’omologo cinese della Consob italiana, aveva di fatto ammesso la bolla finanziaria. «Il rialzo del mercato azionario è stato troppo rapido e troppo ampio provocando la formazione di una bolla ed erano inevitabili la caduta dei prezzi e il loro aggiustamento», riporta l’agenzia Xinhua.
Per il governatore della People’s Bank of China, Zhou Xiaochuan, intervenuto dal G20 di Ankara, la correzione sull’azionario è praticamente terminata, mentre lo yuan si starebbe stabilizzando dopo la svalutazione dello scorso mese. Rassicurazioni che sembrano indirizzate anche all’estero. Come sottolinea un recente rapporto di Morningstar, nonostante la recente volatilità sul mercato delle cosiddette azioni di classe A, ossia i titoli sui due listini della Cina continentale, «gli investitori che detengono quote sui mercati emergenti dovranno valutare una crescente esposizione alle azioni cinesi». Nel lungo periodo le A-share potrebbero infatti pesare per il 20-25% sugli indici emerging e la Cina avrà un peso complessivo del 40-50% del mercato azionario emergente. Bisognerà tuttavia tenere a mente il controllo che il governo centrale ha sui mercati e che «la maggior parte delle quotate è controllata dallo Stato e, in alcuni casi, gli interessi dello Stato hanno precedenza sulla redditività».
Andrea Pira, MilanoFinanza 8/9/2015