Oliver Sacks, Domenicale – Il Sole 24 Ore 6/9/2015, 6 settembre 2015
ROMANTICISSIMI CASI CLINICI
La vita straordinariamente produttiva di Aleksandr Romanovič Lurija (1902-1977) abbracciò quasi tutto il secolo e vide i più profondi cambiamenti nelle nostre modalità di affrontare lo studio del cervello e della mente.
Quando fu pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti Un mondo perduto e ritrovato, ne rimasi così colpito che scrissi una recensione diventata poi un saggio su Lurija (The Mind of A.R. Luria, in «The Listener», 28 giugno 1973). Fui ancora più colpito quando egli mi mandò una risposta in merito (ricevere una lettera da Lurija era come ricevere una lettera da Freud!), precisando, fra l’altro, la sua impostazione di lavoro: «Parlando francamente, mi piace molto il tipo di studio “biografico”, come quelli su Šeresěvskij (il mnemonista) e su Zaseckij... anzitutto perché è un tipo di “scienza romantica”quella che ho voluto introdurre, in parte perché sono nettamente contro un approccio statistico-formale e a favore di uno studio qualitativo della personalità, a favore di ogni tentativo di trovare i fattori che sottostanno alla struttura della personalità [...]solo lo stile di questi due libri è differente dagli altri; il principio resta lo stesso» (lettera del 19 luglio 1973). E in un’altra lettera di qualche giorno dopo: «Sono sempre stato consapevole e sicuro che una buona descrizione clinica dei casi ha un ruolo fonda mentale in medicina, specialmente in neurologia e psichiatria. Purtroppo, la capacità di descrivere che era cosa comune tra i grandi neurologi e psichiatri del XIX secolo... ora è quasi persa» (lettera del 25 luglio 1973). Lurija riteneva che il suo compito (uno dei due compiti della sua vita) fosse la rifondazione di una scienza romantica (l’altro era la fondazione della neuropsicologia, una nuova scienza analitica). Le due imprese non erano antitetiche, ma complementari sotto ogni aspetto. Così parlava della necessità di scrivere due tipi di libri: libri «sistematici» (come Le funzioni corticali superiori ) e libri «biografici» o «romantici» (come La mente di un mnemonista e Un mondo perduto e ritrovato). Per lui questi ultimi non erano «leggeri» o di minore importanza rispetto ai primi, ma rappresentavano una forma diversa (e, a suo modo, ugualmente rigorosa) di scienza, necessaria quanto quella classica, complementare a questa. Che questi libri fossero estremamente leggibili e accessibili non era affatto casuale, ma derivava dalla natura dell’impresa, che era quella di presentare un paziente, un soggetto umano, nella sua totalità, delineando allo stesso tempo la struttura intima del suo essere, quella fusione di pittura e anatomia sognata da Hume. Questa impresa – ritrarre e allo stesso tempo anatomizzare un essere umano – fu realizzata per primo da Freud; e i magnifici casi di Freud vengono subito a mente quando si legge Lurija. I casi di Lurija, infatti, possono essere comparati solo a quelli di Freud per la loro precisione, la loro vitalità, la loro ricchezza e profondità di dettagli (sebbene, com’e naturale, siano pure del tutto diversi, poiché la neuropsicologia è differente dalla psicoanalisi). Entrambe le discipline esplorano, fondamentalmente, la natura dell’uomo; entrambe sono nuovi modi di pensare intorno alla natura umana. Le «biografie» di Lurija si distinguono inoltre perché sono storie lunghe trent’anni: né Freud, né nessun altro ci ha mai dato un caso di questa lunghezza. Ma la loro unicità reale sta nello stile, nella combinazione di una descrizione rigorosa, analitica, con una comprensione e immedesimazione profondamente personale con i soggetti. L’analisi rigorosa serve a delineare una «sindrome», la totalità del disturbo o la predisposizione o la funzione alterata; ma la sindrome, così anatomizzata, si incorpora in una persona, in un individuo rappresentato con grazia e forza novellistica. Sindrome e persona sono connesse – la sindrome è sempre legata alla persona e la persona alla sindrome –, il personale e lo scientifico sono sempre fusi fiduciosamente. Spetta al lettore giudicare se Lurija riesca a compiere questa fusione; ciò che deve essere messo in evidenza è che questa impresa è stata coraggiosa e nuova. Nessuno aveva pensato a un «romanzo» neurologico prima di Lurija.
In Un mondo perduto e ritrovato il senso di tensione drammatica, di dinamica narrativa, è presente fin dall’inizio (sebbene, come in gran parte dei racconti veridici, sia una storia senza una fine). Zaseckij è ferito gravemente dai frammenti di un proiettile nel 1943, con un danno massivo alla regione occipito-parietale sinistra del cervello. Questa frammentazione colpisce tutti gli aspetti della sua vita. Soffre di un intollerabile caos visivo che muta continuamente: gli oggetti nel suo campo visivo (in ciò che resta del suo campo visivo) sono instabili, luccicano con intermittenza, si spostano, cosicché ogni cosa sembra in uno stato di flusso. Gli è impossibile vedere, e persino immaginare, il lato destro del corpo: il senso di «lato destro» è scomparso sia relativamente al mondo esterno che a se stesso. È continuamente incerto, in modo quasi non immaginabile, circa il suo corpo: qualche volta pensa che alcune parti del corpo siano cambiate, che la testa sia diventata smodatamente grande, il tronco estremamente piccolo, che le gambe si siano spostate... Altre volte pensa che la gamba destra sia chissà dove sopra la spalla, forse sopra la testa.
Ma soprattutto, e infinitamente più serie di tutte queste, sono le devastazioni della memoria, del linguaggio e del pensiero: «La memoria è vuota, non riesco a ricordare nemmeno una parola ... Tutto ciò che è rimasto nella memoria è polverizzato, spezzettato in singole parti isolate, senza alcun ordine». Si sente «un neonato» o qualcuno stregato o perso in un sogno terribile, ma «un sogno non può durare così a lungo, essere così continuo, uniforme. Vuol dire che non ho dormito tutti questi anni ... Ma che malattia terribile!». Talvolta pensa pure di essere stato ucciso, perché il vecchio Zaseckij, il suo sé e il suo mondo precedenti sono andati perduti. Allo stesso tempo, poiché i lobi frontali sono intatti, è del tutto consapevole della sua situazione ed è capace di compiere gli sforzi più determinati e ingegnosi per migliorarla. Il libro è la storia di questi sforzi, in cui il paziente e il medico si uniscono in una relazione strettissima, creativa e partecipe, una relazione che non ha riscontro nel libro sul mnemonista, una relazione – mai menzionata, invisibile, ma onnipresente – che è la vera essenza della Medicina, della Terapia e che soffonde il libro di un calore speciale, di sensazioni, e di una bellezza morale; è una storia di questi sforzi non meno che una storia dei danni e dei deficit. Così diventa una storia della sopravvivenza: una sopravvivenza, e quel che più importa, una sorta di trascendenza. A fianco della disperazione di Zaseckij c’è una spinta fiera e indomabile a migliorare, a fare ogni cosa possibile per ristabilirsi, a ridare un senso alla vita. Qui le metafore militari abbondano, sia nelle espressioni di Zaseckij che di Lurija. Il titolo originario del libro, il titolo dato da Zaseckij stesso, era «Lotto ancora!» e dall’inizio alla fine Lurija raffigura il suo eroe, e lo ammira, come un combattente: questo libro «parla di un uomo vivo che ha caparbiamente lottato per il proprio cervello, incontrando difficoltà insuperabili a ogni passo, ma, a conti fatti, è uscito vincitore da una lotta estenuante e impari». Questo libro non sarebbe stato possibile senza gli scritti dello stesso Zaseckij, che per la sua amnesia e afasia gravi (non poteva né leggere né ricordare che cosa aveva scritto) era soltanto in grado di mettere insieme ricordi e pensieri così come venivano, a caso, e con le più strazianti difficoltà e lentezze. Spesso non sapeva ricordare o scrivere del tutto e nei casi migliori riusciva soltanto ad annotare poche frasi al giorno. Ciò nonostante, con perseveranza e tenacia incredibili, riuscì a scrivere tremila pagine in un arco di venti anni e poi – questo è il punto cruciale – a metterle insieme e a riordinarle, e così a ristabilire e ricostruire la sua vita, creando un insieme significativo da questi frammenti. Le circostanze, come dice Lurija, erano in modo schiacciante contro di lui; le probabilità erano (e per un paziente del genere sono) che fosse «distrutto», «perso» per sempre. Fu certamente questo il caso di alcune sue funzioni cerebrali (rimase così per molti aspetti un «malato impotente»), ma non fu così per la sua «vita»: il modo in cui, ricostruendo il proprio racconto, cercò di ricatturare e di riappropriarsi del senso che aveva il «mondo della vita», una vita vissuta, del significato (in ogni senso) della sua propria vita. È questo ciò che vuol dire Lurija, credo, quando afferma che Zaseckij «a conti fatti, è uscito vincitore da una lotta estenuante e impari». E forse qui c’è un concetto generale che si applica a tutti noi, anche se lo impariamo di nuovo da Zaseckij, la lezione che ci hanno trasmesso Socrate, Freud, Proust: che una vita, una vita umana, non è una vita fino a quando non è esaminata; che non è una vita fino a quando non è veramente ricordata e assimilata; e che questo ricordo non è qualcosa di passivo, ma di attivo, la costruzione attiva e creativa della vita di un individuo, la scoperta e la narrazione della vera vita di un individuo. È profondamente ironico, in questi due libri meravigliosi e complementari, che sia l’uomo della memoria, il Mnemonista, ad avere in un certo senso perduto la sua vita e che sia l’uomo dell’amnesia, distrutto, ad averla conquistata e riconquistata.
Foreword Copyright © 1987 by Oliver Sacks.
Oliver Sacks, Domenicale – Il Sole 24 Ore 6/9/2015
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Su licenza di Susanna Zevi Agenzia Letteraria
Brano tratto dall’introduzione al libro di Aleksandr Lurija Un mondo perduto e ritrovato, Postfazione di Luciano Mecacci, Milano, Adelphi, pagg. 240, € 18,00, in uscita nei prossimi giorni