Stephen Ornes, Le Scienze 9/2015, 8 settembre 2015
CATALOGARE TUTTO L’UNIVERSO
Un fresco venerdì sera del settembre 2011, su vari tavoli della casa di Judith L. Baxter e di suo marito, il matematico Stephen D. Smith, a Oak Park, nell’Illinois, era disposta una varietà apparentemente interminabile di cose da mangiare. Tartine, polpette fatte in casa, piatti di formaggi e spiedini di gamberetti alla piastra abbondavano accanto a pasticci, paté, olive, salmone con aneto e involtini di melanzane con feta. Tra i molti dessert c’erano una torta di mascarpone al limone e una africana alla zucca. Dopo il tramonto lo champagne scorse a fiumi, mentre i 60 ospiti, circa metà dei quali matematici, mangiavano, bevevano e poi mangiavano di nuovo.
Questo banchetto colossale era appropriato per un ricevimento in cui si festeggiava un risultato enorme. Quattro dei matematici presenti – Smith, Michael Aschbacher, Richard Lyons e Ronald Solomon – avevano appena pubblicato un libro che aveva richiesto più di centottant’anni e che forniva un’ampia panoramica di uno dei più grandi problemi di classificazione nella storia della matematica.
Il loro trattato non finì in nessun elenco di best seller, il che è comprensibile, dato il titolo: The Classification of Finite Simple Groups [la classificazione dei gruppi semplici finiti, N.d.R.]. Ma per gli algebristi questo tomo di 350 pagine è una pietra miliare; si tratta della versione sintetica, un bignamino, di questa classificazione universale. La dimostrazione completa raggiunge qualcosa come 15.000 pagine – o, secondo alcuni, 10.000 – sparse tra centinaia di articoli su riviste, di più di 100 autori. L’affermazione che prova è nota, non sorprendentemente, come Enorme Teorema: il teorema in sé è piuttosto semplice, è la dimostrazione a essere gigantesca. L’abbondanza a casa Smith sembrava adatta per celebrare un simile titano: la dimostrazione più lunga della storia della matematica.
E adesso corre dei rischi, il lavoro del 2011 si limita ad abbozzare lo schema della dimostrazione. La mole senza pari della documentazione vera e propria la pone sull’orlo dell’ingestibilità da parte di esseri umani. «Non mi risulta che nessuno abbia letto tutto», spiega Solomon, 66 anni, che si è occupato per tutta la carriera di questa dimostrazione, andando in pensione dalla Ohio State University due anni fa. Solomon e gli altri tre matematici festeggiati in quel ricevimento sono forse le uniche persone attualmente in vita che capiscono la dimostrazione, e la loro età avanzata preoccupa tutti. Smith ha 67 anni, Aschbacher 71 e Lyons 70. «Stiamo invecchiando tutti, e vogliamo mettere per iscritto queste idee prima che sia troppo tardi», dice Smith. «Potremmo morire, o lasciare la matematica, o dimenticare».
Sarebbe una perdita, ovviamente, enorme. Detto in due parole, questo lavoro mette ordine nella teoria dei gruppi, che è la branca della matematica che studia la simmetria. Le ricerche sulla simmetria, a loro volta, sono essenziali per aree come la moderna fisica delle particelle. Il modello standard – la teoria fondamentale che comprende tutte le particelle esistenti note, scoperte e ancora da scoprire – è basato sugli strumenti della simmetria forniti dalla teoria dei gruppi. Grandi idee sulla simmetria alle scale più piccole hanno aiutato i fisici a mettere a punto le equazioni usate in esperimenti che hanno rilevato particelle fondamentali esotiche, come i quark che unendosi formano i più familiari protoni e neutroni.
È stata la teoria dei gruppi a portare i fisici anche verso l’idea rivoluzionaria che la massa stessa – la quantità di materia in un oggetto come questa rivista, voi, qualsiasi cosa si possa toccare e vedere – si sia formata perché a qualche livello fondamentale si è rotta una simmetria. Questa idea ha condotto fino alla scoperta della più celebre particella degli ultimi anni, il bosone di Higgs, che può esistere solo se sulla scala dei quanti la simmetria viene meno. Il concetto di bosone di Higgs emerse dalla teoria dei gruppi negli anni sessanta, ma non è stato scoperto fino al 2012, dopo gli esperimenti con il Large Hadron Collider del CERN, vicino a Ginevra.
La simmetria è l’idea che qualcosa possa subire una serie di trasformazioni – girare, piegarsi, riflettersi, procedere nel tempo – e, alla fine di tutti questi cambiamenti, apparire immutato. È presente ovunque nell’universo, dalla configurazione dei quark alla disposizione delle galassie nel cosmo.
L’Enorme Teorema mostra con precisione matematica che tutte le possibili simmetrie si possono decomporre e raggruppare in una fra quattro famiglie, in base alle loro caratteristiche. Per i matematici che si dedicano allo studio rigoroso della simmetria, i teorici dei gruppi, il teorema è un risultato non meno ampio, importante e fondamentale di quanto lo sia la tavola periodica degli elementi per la chimica. In futuro potrebbe portare ad altre profonde scoperte sulla struttura dell’universo e sulla natura della realtà.
Tranne, però, che è un caos: equazioni, corollari e congetture che compongono la dimostrazione si trovano qua e là tra più di 500 articoli su rivista, alcuni sepolti in spessi volumi, pieni della miscela di caratteri greci, latini e altri usati nell’oscuro linguaggio della matematica. Per non parlare del fatto che ognuno degli autori scrive in un proprio stile personale.
Questo caos è un serio problema perché, se anche un solo pezzo non sta al posto giusto, il tutto rischia di traballare. Per fare un paragone, immaginiamo i 2 milioni e passa di blocchi di pietra che compongono la piramide di Cheope sparpagliati alla rinfusa per il deserto del Sahara, con solo poche persone che sanno come vanno assemblati. Senza una dimostrazione accessibile dell’Enorme Teorema, i matematici del futuro avranno due possibilità azzardate: confidare nella dimostrazione senza sapere molto di come funzioni oppure reinventare la ruota. Nessun matematico si sentirebbe a proprio agio con la prima opzione, e per quel che riguarda la seconda, è pressoché impraticabile.
La panoramica messa a punto nel 2011 da Smith, Solomon, Aschbacher e Lyons era parte di un ambizioso piano di sopravvivenza per rendere il teorema accessibile alla prossima generazione di matematici. «In qualche misura il teorema viene ormai trattato dai più come una scatola nera», si duole Solomon. Il grosso di questo piano consisterebbe in una dimostrazione ottimizzata che riunisca tutti i pezzi disparati del teorema. Il piano fu concepito più di trent’anni fa, e ancora oggi è realizzato solo a metà.
Se un teorema è importante, la sua dimostrazione lo è due volte tanto. Una dimostrazione sancisce l’affidabilità del teorema e permette a un matematico di convincere un altro – anche a distanza di continenti o di secoli – della verità del suo enunciato. Questi enunciati, a loro volta, danno vita a nuove congetture e dimostrazioni: il cuore della matematica, fatto di collaborazione, è in vita da millenni.
Inna Capdeboscq, dell’Università di Warwick, nel Regno Unito, è una delle poche ricercatrici più giovani a essersi addentrata nel teorema. Quarantaquattrenne, affabile e sicura di sé, si illumina in volto quando descrive l’importanza di capire appieno come funziona l’Enorme Teorema. «Che cos’è una classificazione? Che cosa significa avere un elenco?», riflette. «Sappiamo di ogni oggetto dell’elenco che cos’è? Altrimenti, è solo un mucchio di simboli».
I segreti più profondi della realtà
I matematici cominciarono a sognare questa dimostrazione almeno dagli ultimi anni dell’Ottocento, quando si affermò una nuova disciplina detta teoria dei gruppi. In matematica la parola «gruppo» si riferisce a un insieme di oggetti sui quali è definita un’operazione matematica. Se si applica l’operazione a due elementi qualunque del gruppo, si ottiene ancora un elemento del gruppo.
Le simmetrie, cioè i movimenti che non modificano l’aspetto di un oggetto, soddisfano questo requisito. Immaginiamo per esempio di avere un cubo con lo stesso colore su tutte le facce; ruotiamolo di 90 gradi – o di 180, o di 270 – e il cubo ci si mostrerà esattamente come all’inizio. Ribaltiamolo, portando in basso la faccia superiore, e apparirà immutato. Se usciamo dalla stanza e chiediamo a un amico di ruotare o ribaltare il cubo, o di eseguire una qualunque sequenza di rotazioni e ribaltamenti, quando rientreremo non avremo modo di sapere che cosa avrà fatto. Ci sono complessivamente 24 trasformazioni distinte che lasciano immutato l’aspetto di un cubo: queste 24 rotazioni formano un gruppo finito.
I gruppi semplici finiti sono l’analogo degli atomi. Sono i costituenti fondamentali di altre strutture più grandi: si combinano a formare gruppi finiti con più elementi e una maggior complessità. L’Enorme Teorema organizza questi gruppi come la tavola periodica organizza gli elementi. Afferma che ogni gruppo semplice finito appartiene a una fra tre famiglie, oppure a una quarta famiglia di outsider. Il più grande di questi indipendenti, detto «Mostro», ha più di 10⁵³ elementi ed esiste in uno spazio di dimensione 196.883. C’è addirittura un intero campo di indagini, la mostrologia, in cui i ricercatori cercano indizi del mostro in varie aree della matematica e di altre scienze. I primi gruppi semplici finiti furono identificati nel 1830, e per la fine dell’Ottocento erano state compiute molte incursioni nello studio di questi componenti fondamentali. I teorici cominciarono anche a sospettare che tutti questi gruppi si potessero organizzare in un lungo elenco.
I matematici dell’inizio del Novecento posero le basi per l’Enorme Teorema, ma il corpo della dimostrazione non cominciò a materializzarsi fino a metà del secolo. Tra il 1950 e il 1980 – il periodo che il matematico Daniel Gorenstein della Rutgers University chiamava «Guerra dei trent’anni» – alcuni pesi massimi fecero avanzare la teoria dei gruppi in un modo che non ha precedenti, scoprendo vari gruppi semplici finiti e raggruppandoli in famiglie. Questi matematici brandivano manoscritti da 200 pagine come machete algebrici, sfrondando erbacce astratte per rivelare i fondamenti più profondi della simmetria. (Freeman Dyson, dell’Institute for Advanced Study a Princeton, nel New Jersey, ha definito questo incalzare di scoperte di gruppi strani e belli «un magnifico zoo».)
Fu un periodo esaltante: Richard Foote, all’epoca dottorando all’Università di Cambridge e adesso professore in quella del Vermont, ricorda la volta in cui, seduto in uno studio umido e freddo, fu presente mentre due illustri teorici – John Thompson, adesso all’Università della Florida, e John Conway, ora a Princeton – chiarivano i dettagli di un gruppo particolarmente intrattabile. «Fu stupefacente, erano come due titani che si scambiassero fulmini fra le menti», racconta Foote. «Non sembravano mai a corto di nuove tecniche meravigliose e inedite per fare qualcosa. Era una cosa da rimanere senza fiato».
Fu in quei decenni che si raggiunsero due delle tappe principali della dimostrazione. Nel 1963 un teorema messo a punto dai matematici Walter Feit e John Thompson descriveva una ricetta per trovare nuovi gruppi semplici finiti. Dopo questo punto di svolta, nel 1972 Gorenstein espose un piano in 16 passi per dimostrare l’Enorme Teorema: un progetto che avrebbe sistemato una volta per tutte il problema dei gruppi semplici finiti. Prevedeva di riunire tutti i gruppi semplici finiti noti, trovare quelli mancanti, inserire ognuno nella categoria opportuna e dimostrare che non potevano essercene altri. Era grande, ambizioso, caotico e, secondo alcuni, inverosimile.
L’uomo con il piano
Gorenstein era sicuramente un algebrista carismatico, e le sue idee diedero impulso a un nuovo gruppo di matematici – le cui ambizioni non erano né semplici né finite – desiderosi di dare un contributo memorabile. «Aveva una personalità magnifica», ricorda Lyons, che lavora alla Rutgers. «Era terribilmente aggressivo nel suo modo di concepire i problemi e le rispettive soluzioni. Ed era molto efficace nel convincere gli altri ad aiutarlo».
Solomon, che descrive il suo primo incontro con la teoria dei gruppi come un «amore a prima vista», conobbe Gorenstein nel 1970. La National Science Foundation aveva organizzato una scuola estiva di teoria dei gruppi al Bowdoin College, e ogni settimana veniva invitata nel campus una celebrità matematica per tenere una lezione. Solomon, che all’epoca era un dottorando, ricorda in modo vivido la visita di Gorenstein. Sia l’aspetto che il messaggio di questa star della matematica, giunta direttamente dalla sua casa estiva a Martha’s Vineyard, erano elettrizzanti.
Non avevo mai visto prima un matematico con pantaloni rosa acceso», ricorda Solomon.
Solomon racconta che nel 1972 la maggior parte dei matematici riteneva che la dimostrazione non sarebbe stata conclusa entro la fine del secolo. Quattro anni dopo, però, la conclusione era in vista. Gorenstein attribuì buona parte del merito di questa accelerazione ai metodi ispirati e al ritmo febbrile di Aschbacher, che è professore al California Institute of Technology.
Uno dei motivi per cui la dimostrazione è così gigantesca è che afferma di dare un elenco completo dei gruppi semplici finiti, dice cioè che l’elenco comprende tutti i blocchi costitutivi e che non ce ne sono altri. A volte dimostrare che qualcosa non esiste – come in questo caso, che non ci sono altri gruppi – è più faticoso che dimostrare che esiste.
Nel 1981 Gorenstein dichiarò compiuta la prima versione della dimostrazione, ma i festeggiamenti erano prematuri. Si scoprì un difetto in un blocco di 800 pagine particolarmente spinoso e furono necessari diversi scambi di idee per risolverlo. In più occasioni qualcuno ha affermato di aver trovato altre lacune nella dimostrazione o di aver scoperto nuovi gruppi che infrangono le regole. Finora nessuna di queste affermazioni è riuscita a invalidare la dimostrazione, e Solomon si dice fiducioso che rimarrà in piedi.
Gorenstein capì presto che la documentazione del teorema era diventata un groviglio vastissimo e disorganizzato, poiché era il prodotto di un’evoluzione caotica. Cosi convinse Lyons – e nel 1982 i due tesero insieme un agguato a Solomon – perché lo aiutasse a curarne una revisione, una presentazione più accessibile e organizzata, che sarebbe diventata la cosiddetta dimostrazione di seconda generazione. Il loro obiettivo era chiarirne le linee logiche ed evitare che le generazioni future dovessero riscoprire i ragionamenti, spiega Lyons. Inoltre questo lavoro avrebbe smagrito le 15.000 pagine della dimostrazione, riducendole ad appena 3000 o 4000.
Gorenstein aveva in mente una serie di libri che avrebbero raccolto in modo ordinato tutti i pezzi e ne avrebbero chiarito la struttura logica in modo da omogeneizzare le peculiarità dei singoli autori ed eliminare le ripetizioni. Negli anni ottanta la dimostrazione era inaccessibile a chiunque non fosse uno dei veterani della sua scoperta. I matematici che ci avevano lavorato per decenni volevano poter condividere il loro lavoro con i posteri. Una dimostrazione di seconda generazione avrebbe placato Gorenstein, preoccupato del fatto che i loro sforzi si sarebbero persi tra i tomi di biblioteche polverose.
Gorenstein non visse fino a vedere l’ultima tessera del puzzle in posizione e tanto meno fino a levare un calice a casa di Smith e Baxter. Morì nel 1992 di cancro ai polmoni a Martha’s Vineyard. «Non smise mai di lavorare», ricorda Lyons. «Parlavamo tre volte al giorno finché morì, sempre della dimostrazione. Non c’erano saluti o altro: si parlava solo di lavoro».
Ridimostrarlo da capo
Il primo volume della dimostrazione di seconda generazione apparve nel 1994. L’esposizione era più estesa rispetto a un normale testo matematico e comprendeva appena due delle 30 sezioni previste per coprire l’intero Enorme Teorema. Il secondo volume fu pubblicato nel 1996, e i successivi continuano a uscire: il sesto apparve nel 2005.
Foote afferma che i pezzi di seconda generazione combaciano tra loro meglio di quelli originari: «Le parti apparse finora sono scritte in modo più coerente e sono organizzate molto meglio. Da un punto di vista storico è importante avere la dimostrazione tutta insieme; altrimenti, in un certo senso, diventa una specie di tradizione orale. Addirittura se si crede che sia completa, è impossibile verificarla».
Solomon e Lyons intendono concludere il settimo volume questa estate, e un gruppetto di matematici ha già cominciato ad addentrarsi nell’ottavo e nel nono. Solomon stima che la dimostrazione semplificata richiederà in tutto 10 o 11 volumi, il che significa che finora ne è stata pubblicata poco più della metà.
Solomon fa notare che neppure i 10 o 11 volumi conterranno integralmente la dimostrazione di seconda generazione. Anche la nuova versione riscritta comprende riferimenti a volumi supplementari e a teoremi preesistenti dimostrati altrove. In un certo senso, questi rimandi sono parte della natura cumulativa della matematica: ogni dimostrazione è un prodotto non solo del proprio tempo, ma anche di tutte le migliaia di anni di pensiero che l’hanno preceduta.
In un articolo del 2005 pubblicato nelle «Notices of the American Mathematical Society», il matematico E. Brian Davies del King’s College di Londra scrisse che la «dimostrazione non è mai stata messa per iscritto completamente, potrebbe non esserlo mai e nella sua forma attuale non è possibile che una singola persona la comprenda tutta». Il suo articolo metteva in luce l’idea sgradevole che ci siano imprese matematiche troppo complesse per essere comprese dai comuni mortali. Le parole di Davies spinsero Smith e i suoi tre coautori a redigere il volume relativamente conciso che è stato festeggiato nel ricevimento a Oak Park.
La dimostrazione dell’Enorme Teorema sarà forse oltre la portata della maggior parte dei matematici – per non parlare dei semplici curiosi – ma i principi che la organizzano forniscono uno strumento prezioso per il futuro. I matematici hanno da tempo l’abitudine di dimostrare verità astratte decenni, se non secoli, prima che diventino utili al di fuori del loro campo.
«Una delle cose che rendono entusiasmante il futuro è che è difficile da prevedere», osserva Solomon. «Appaiono geni con idee che non aveva avuto nessuno della nostra generazione. Abbiamo la tentazione, il desiderio, il sogno, che ci sia in giro qualcosa di profondo ancora da capire».
La prossima generazione
Questi decenni di studi approfonditi non si sono limitati a far progredire la dimostrazione, hanno anche portato alla formazione di una comunità. Judith Baxter – anche lei con una formazione da matematica – spiega che i teorici dei gruppi sono insolitamente uniti. «Quelli che si occupano di teoria dei gruppi sono spesso amici per la vita», osserva. «Si incontrano nei convegni, viaggiano insieme, vanno insieme ai ricevimenti e sono davvero una comunità meravigliosa».
Non sorprende che questi matematici che hanno vissuto l’emozione di accompagnare la prima stesura della dimostrazione tengano a preservarne le idee. Così Solomon e Lyons hanno reclutato altri matematici che li aiutassero a finire la nuova versione e a preservarla per il futuro. Non è facile: molti giovani matematici considerano la dimostrazione come una cosa che è già stata fatta e sono interessati a dedicarsi a qualcosa di diverso.
Inoltre, occuparsi della riscrittura di una dimostrazione già attestata richiede un entusiasmo sconsiderato per la teoria dei gruppi. Solomon ha trovato un seguace devoto in Capdeboscq, che fa parte della manciata di matematici più giovani che portano la fiaccola del completamento della nuova dimostrazione. Si innamorò della teoria dopo aver seguito un corso di Solomon.
«Ricordo la sorpresa nel leggere e risolvere gli esercizi e nel vedere quanto mi piacevano. Era una cosa bellissima», racconta la matematica. Fu «conquistata» dalla dimostrazione di seconda generazione quando Solomon chiese il suo aiuto per sistemare alcune parti mancanti che sarebbero entrate a far parte del sesto volume. Semplificare la dimostrazione, racconta, spinge i matematici a cercare approcci più lineari ai problemi difficili.
Capdeboscq paragona l’impegno a quello per rifinire un primo abbozzo. Gorenstein, Lyons e Solomon impostarono le grandi linee, ma il compito suo e di altri giovani è di sincerarsi che tutti i pezzi vadano al loro posto: «Sappiamo qual è la strada, e se la seguiamo alla fine dovrebbe uscirne la dimostrazione».