Camillo Langone, Il Giornale 5/9/2015, 5 settembre 2015
IL BACCALÀ DI SUA MAESTÀ PICCHI? UN TENERO LINGOTTO D’ORO BIANCO
Non si può bere un Negroni in pace, uffa. L’Incontentabile è entrato al Caffè Cibreo senza secondi fini, al solo scopo di gustarsi il gran cocktail fiorentino, perché qui lo fanno bene e a differenza di altri posti dove lo fanno bene qui non ci sono troppi turisti o se ci sono non sembrano troppo turisti. Avesse voluto pranzare sarebbe entrato al ristorante Cibreo oppure alla trattoria Cibreo (detta anche Cibreino), insomma in uno dei locali che il vulcanico Fabio Picchi nel corso degli anni ha aperto a pochi metri l’uno dall’altro, tutti diversi eppure tutti dedicati al medesimo tradizionalissimo piatto a base di frattaglie di pollo. Che, fra parentesi, sembra impossibile da assaggiare siccome nemmeno al Cibreo e al Cibreino hanno in carta il cibreo, figuriamoci nei ristoranti di cucina turistizzata dove giammai potrebbero usare ingredienti quali testicoli e creste di gallo, si registrerebbero scene di panico fra i torpedoni. Comunque non voleva pranzare, voleva bere un Negroni. Non è stato possibile perché appena si è seduto è entrato il Picchi, lo ha riconosciuto e gli ha imposto di pranzare insieme, l’ultima cosa che l’Incontentabile avrebbe voluto fare primo perché non intendeva pranzare (Negroni e stuzzichini contengono calorie sufficienti per arrivare a cena), secondo perché non intendeva mangiare con un cuoco da giudicare (come fai a dirglielo in faccia se c’è troppo sale?), terzo perché temeva l’incontenibile affabulazione picchiana. All’apparenza tutto li divide: Picchi è ateo, ostentatamente ateo, e se deve citare un prete stai sicuro che ti cita un cattocomunista, inoltre è di sinistra, ostentatamente di sinistra, e se deve fare il nome di un politico ecco che del politico fa proprio il nome, non il cognome, e questo nome è Matteo. Se deve fare un altro nome, l’altro nome è Dario. Pare siano grandi amici, Matteo Renzi, Dario Nardella e Fabio Picchi, il sindaco d’Italia, il sindaco di Firenze e il sindaco del quartiere Sant’Ambrogio. Precisamente questo titolo merita Fabio Picchi che con le sue multiformi attività (non solo ristoranti, trattorie e caffé, anche un piccolo delizioso teatro) anima un intero quartiere della città della bistecca e della ribollita: il sindaco del quartiere Sant’Ambrogio. Guai però a chiamarlo così: «Non sono il sindaco, sono il Re di Sant’Ambrogio». Detto ridendo ma non troppo perché va bene la democrazia, va bene l’amicizia coi sindaci presenti e passati, però la monarchia assoluta è meglio. Specialmente quando si tratta di cucina. Sua Maestà non ha bisogno di stare ai fornelli, non ha bisogno nemmeno di vestirsi da cuoco giovandosi di un carisma puro: gli basta l’accenno di un ruggito e tutto il locale si mette sull’attenti, famigliari compresi. Non dev’essere facile la parte del figlio di Picchi, Giulio è un illustratore di riconosciuta bravura (sue le copertine degli ultimi numeri di Nuovi Argomenti) ma qui fa il cameriere, Duccio fa il cuoco che cucina, Giacomo segue gli acquisti, solo Giuditta si è salvata, fa la mamma.
Che poi il Caffé Cibreo sulle guide dei ristoranti risulta non pervenuto, tutti pensano (anche l’Incontentabile lo pensava) sia soltanto il bar del ristorante di fronte, e invece dalla cucina sono uscite materie prime da restare a bocca aperta e piatti da restare a bocca chiusa a lungo, per non perdere nemmeno un atomo di sapore. In poche portate si è scoperto che un presunto mago della comunicazione, uno dei cuochi più estroversi e diciamo pure logorroici d’Italia, è in realtà un sottovalutato e che a Firenze esiste un altro indirizzo imperdibile. La scordiglia? Chi la cerca su Google troverà come «skordalia» una crema greca di aglio, patate e mandorle, che nel tragitto da Salonicco a Firenze, via Livorno, è diventata scordiglia così come, sempre a Firenze ma in altri ben più patriottici tempi, la beef steak diventò bistecca. Oggi viviamo tempi xenofili e solo un sovrano sovranista come Picchi poteva italianizzarla. Il baccalà? È un lingotto di oro bianco, però tenero e profumato: qualcosa che in natura non esiste, solo al Caffé Cibreo. La cernia? Tecnicamente è una terrina, terrina di cernia e patate con maionese, ma è riduttivo, quasi offensivo, chiamarla così, la cernia è un pesce maestoso capace di cavalcare l’olio di una maionese al contempo eroica e casalinga, ed è un olio pugliese nient’affatto delicato, anzi gagliardo. Uno dei piatti migliori del 2015 e non solo del 2015. L’Incontentabile teme di avere esagerato con gli aggettivi e quindi tace su altre portate perfette e i dolci, facendo loro un torto, si limita a elencarli: la bavarese con la saba, la torta di formaggio e arancia amara... Il vino? Bisognava pranzare a Firenze per imbattersi in quell’Orvieto buono che a Orvieto i caffé storici e i ristoranti dai nomi altisonanti non si sa dove nascondano. L’azienda si chiama Madonna del Latte e compie un miracolo di mineralità in una denominazione abitualmente molliccia.
Adesso un paio di critiche altrimenti l’autostima di Picchi chi la ferma più: i tavolini sono troppo piccoli, da tè delle cinque più che da pranzo lucullian-toscano, e nemmeno al Caffé Cibreo c’è in carta il cibreo, maledizione.