Giovannino Guareschi, Libero 5/9/2015, 5 settembre 2015
PEPPONE SCOPRE IL COMUNISMO: UN RAGAZZO UCCISO SOTTO IL MURO
La scena del «compagno padre» è stata scritta da Giovannino Guareschi appositamente per il film, con il personaggio di Tocci che attraversa tutta la vicenda, unendo vari momenti, con il ricordo della ritirata di Russia e della guerra. Venne cancellata da Comencini e dagli sceneggiatori romani, nonostante Guareschi avesse stemperato la violenza dell’uccisione del ragazzo. Alla soppressione della scena, Giovannino non oppose troppa resistenza, data la fiducia che riponeva nel regista. Si ricredette dopo aver letto il «trattamento» finale per il montaggio del film.
TOCCI: «Compagno, vedo che sei molto amico del capo e vorrei domandarti una cosa».
DON CAMILLO: «Parla, compagno Tocci. Qual è il tuo problema?».
TOCCI: «Sei ben sicuro che andiamo a Rossow?».
DON CAMILLO: «Così sta scritto nell’ordine di marcia. Ma che t’importa?
Rossow o un altro posto è sempre Unione Sovietica».
TOCCI: «A me interessa andare proprio a Rossow».
DON CAMILLO: «E perché mai, se è lecito?».
TOCCI (che ha il magone): «È una lunga storia, compagno...».
VESCOVADO
DON CAMILLO: «In verità era una storia molto complicata, molto personale e molto triste».
VESCOVO: «Riuscisti a fartela raccontare?».
DON CAMILLO: «Eccellenza, ero travestito da compagno ma rimanevo sempre un prete! Quel poveraccio aveva fatto la guerra in Russia, con gli alpini era caporale e, durante la ritirata comandava un plotone in avanscoperta».
Russia. Campagna con neve. Un gruppetto di alpini in ritirata. Li comanda Tocci.
TOCCI: «Ragazzi, non stiamo così uniti, perché se arriva nel gruppo qualche pillola di Katiusha ci frega tutti».
La fila si allunga. Sibilo di una bordata di Katiusha. Gli alpini si buttano sulla neve. I proiettili colpiscono un’isba a poche centinaia di metri più avanti. Gli alpini si rialzano e, arrancando nella neve balzano avanti.
TOCCI (mentre corre): «Mio padre ha fatto la grande guerra e dice che, quando arrivava una pillola tutti si buttavano nella buca dell’esplosione. Difficile che due colpi caschino nello stesso punto».
Raggiungono l’isba colpita in pieno. Si nascondono fra le macerie fumanti. Sibilo di una bordata di Katiusha. Però più indietro e a destra. Scoppio lontano.
ALPINO A: «Avevi ragione, caporale!».
TOCCI: «Non ce l’hanno con noi. Quei cancheri cercano il grosso e non gli frega niente dell’avanguardia».
Escono dal loro riparo e si accingono a ripartire.
ALPINO B: «Guardate lì». ALPINO A: «Poveracci!». Si avvicinano a un mucchio di macerie,
spostano qualche tavola.
TOCCI (scuotendo il capo): «Sono rimasti fulminati tutti. Un vecchio, una vecchia e una donna giovane. Che cosa c’entravano poi loro, poveretti!».
Tocci raccoglie degli stracci e ricopre i cadaveri che si intravedono fra i rottami.
TOCCI: «Dio sa quante case sono ridotte così anche da noi. Andiamo se no invece di avanscoperta diventiamo retroguardia».
Si incamminano. Qualcosa si muove in un angolo. Tutti gli alpini guardano. Sollevano travi e paglia. In un vano di rottami scoprono un ragazzino di otto anni atterrito, accoccolato nel suo buco. Lo tirano fuori. È incolume.
Tocci (dice qualcosa in russo stentato al ragazzino Ivan) indica tra cadaveri coperti dagli stracci. TOCCI (in russo stentato): «Chi sono?».
IVAN (in russo): «Mia madre, mia nonna, mio nonno».
TOCCI (in russo): «C’erano altri?».
IVAN (in russo): «No: mio padre è morto a Slivograd».
ALPINO A: «Che cosa bestemmia?».
TOCCI: «Dice che sono sua madre, sua nonna e suo nonno suo padre è morto in guerra».
ALPINO B: «Poveretto. E adesso che si fa? Lo piantiamo qui a crepare anche lui di fame e di freddo?».
TOCCI: «No. Ce lo portiamo con noi. Al primo paese che incontriamo lo consegniamo a qualcuno».
Il plotoncino si incammina e il ragazzo si mette al fianco di Tocci. Nelle immediate vicinanze della capanna distrutta sono sparsi i poveri oggetti della casa. Una borsa da scolaro. Il ragazzo la raccoglie.
TOCCI (in russo): «Che roba è?».
Il ragazzino mostra i suoi libri e quaderni di scuola. Un po’ più avanti, nella neve, una piccola icona. Il ragazzino raccoglie anche quella e la mostra a Tocci.
ALPINO A: «Ma sì, pigliala su anche lei poveretta. Chissà che non ci aiuti a uscire da questo inferno».
Il ragazzino ripone l’icona nella borsa. Il plotone dei disperati si allontana e si perde nel deserto di neve.
TRENO PER BERLINO CORRIDOIO
DON CAMILLO: «Che porcheria, la guerra! Povero ragazzino».
TOCCI: «Poveri tutti. I russi usavano la tattica della terra bruciata e non trovammo più una casa in piedi. I villaggi erano tutti ridotti a mucchi di calcinacci. Così non si
poteva fare altro che tirarci dietro il ragazzino. La ritirata di Russia: compagno, tu lo sai meglio di me cos’è stata».
DON CAMILLO: «Meglio di te, no, compagno perché tu l’hai fatta e io no».
Il compagno Tocci trae dal portafogli delle fotografie. Primissimo piano di una foto classica della ritirata in Russia. Altre foto del genere mentre Tocci commenta.
TOCCI: «Guarda che cosa eravamo ridotti. Una massa di 40.000 sbandati senza abiti sufficienti, senza armi, e ridotta alla fame. E per difendere questi sbandati e aprirgli la strada, noi alpini cui colpi contatti con due o tre pezzi d’artiglieria in tutto. Ma ce l’abbiamo fatta (foto Nikolajewka) ecco, Nikolajewka, noi quaggiù in quattro gatti contro una divisione armata fino ai denti. Venivano avanti cantando perché erano sicuri di giocare al tiro a segno. E qui, sopra questa collina i 40.000 sbandati, come a teatro stavano a guardare la battaglia dalla quale dipendeva la loro sorte. Ma ce l’abbiamo fatta a tenere aperta la via della salvezza (foto gruppo di alpini con Tocci e Ivan vicino con cappello alpino)... È stata scattata a Nikolajewka nel gennaio del 43. Questo sono io e questo è il ragazzino (foto con Tocci borghese, la moglie e il piccolo Ivan)... Mi ero affezionato a lui. Lo abbiamo portato in Italia... Questa l’ho fatta nell’agosto del 43... Il ragazzo è rimasto con noi. L’8 settembre ero in licenza: sono riuscito a sganciarmi e a darmi alla macchia. Nell’aprile del 45, quando tutto è finito, era diventato un bel ragazzone... Non avevamo figli né potevamo averne. È diventato lui nostro figlio... Mi scrissi al Partito. E, lo confesso, lo feci soprattutto per lui, per Ivan. Capisci?».
Due scene dal film «Il compagno Don Camillo». Sopra, Fernandel e Gino Cervi in una discussione. A fianco, Peppone e Don Camillo (mascherato da compagno) sulla scaletta dell’aereo con tanto di colbacco in testa
DON CAMILLO: «Spiegati meglio compagno».
TOCCI: «Ogni volta che lo guardavo rivedevo quell’isba a distrutta e quei poveri morti, e tutte le altre isbe e gli altri morti. Anch’io, pur non di mia iniziativa, avevo portato guerra e distruzione nel paese di Ivan».
DON CAMILLO: «Ti sei spiegato benissimo compagno. E adesso credo di capire che tu vuoi andare laggiù per rivedere quei luoghi e consolarti nel trovare le isbe i villaggi e le città risorti».
TOCCI: «No, compagno: ci vado perché voglio rivedere Ivan. Per rivedere mio figlio».
VESCOVADO
DON CAMILLO: «Una storia che pare un romanzo. Ivan era rimasto in Italia con i suoi genitori adottivi fino al 1960. Allora aveva 24 anni. Naturalmente era diventato comunista anche lui, come il padre. In più il padre, attraverso il partito, gli aveva sempre procurato libri, giornali e riviste russi. Il ragazzino sapeva leggere benissimo quand’era stato raccolto, ma il padre gli aveva anche fatto impartire lezioni di lingua russa. Così, a forza di leggere tutte le cose meravigliose che l’Unione Sovietica stava facendo in cielo in terra e in ogni luogo, gli era venuta la nostalgia della Patria e la smania di rivedere la sua terra che ricordava appena. E a 24 anni era andato a lavorare a Berlino ovest di dove era passato nel settore sovietico».
TRENO BERLINO CORRIDOIO
Tocci sta mostrando altre foto a Don Camillo. Ivan a 24 anni con madre e padre.
TOCCI: «È l’ultima foto. Proprio il giorno che è partito. Ci scrisse da Berlino ovest, da Berlino est. Poi dalla Russia, proprio da Rossow dove voleva andare. Poi più niente. Il suo progetto era di rimanere la un po’ e poi tornare a casa. Aveva tutti i documenti rilasciati dal Partito e dall’ambasciata sovietica. Sua madre è disperata. Teme che gli sia successa una disgrazia».
DON CAMILLO: «Temo anch’io. Avrà incontrata una ragazza e se la sarà sposata. Ma non è una disgrazia grossa».
TOCCI: «Impossibile! Aveva al paese la ragazza e dovevano sposarsi!».
DON CAMILLO: «Appunto. E adesso non scrive perché non è una bella parte che ha fatto alla ragazza del paese».
TOCCI: «Compagno! Hai ragione! S’è trovata la ragazza là e si è sposato».
DON CAMILLO: «Niente di grave. Una disgrazia vale l’altra..».
Tocci finalmente sorride. (...) Entra in campo il compagno Tocci. TOCCI: «Compagna posso rubarti un po’
del tuo tempo?». NADIA: «Il mio tempo appartiene al parti-
to. Parla pure, compagno». TOCCI: «Io conosco un po’ il russo e, sic-
come volevo perfezionarmi, attraverso il giornale del partito ho chiesto se qualche compagno sovietico che conoscesse un po’ l’italiano, volesse mettersi in corrispondenza con me. Mi sono spiegato?».
NADIA: «Benissimo. Anche io ho tenuto corrispondenza con compagne italiane».
TOCCI: «Così mi sono messo in corrispondenza con un bravo compagno di Rossow e, siccome sono qui, mi piacerebbe conoscerlo di persona. Il suo nome è Ivan. Si Ivan Idof...».
NADIA: «Ivan! Oh sì! Apparteneva al centro interpreti come me. Conosce benissimo l’italiano. Ho imparato molto da lui. M’è dispiaciuto quando è partito».
TOCCI: «Partito?».
NADIA: «L’hanno trasferito al centro interpreti di Berlino est. Quando torni lo puoi trovare subito. Salutamelo molto è un caro ragazzo».
TOCCI: «Grazie compagna...». (...) CORTILE DAVANTI ALLA BARACCA Don Camillo sta parlando col compagno
padre.
DON CAMILLO: «Allora mi pare che tutto sia a posto. Se è a Berlino sta meglio che qui».
TOCCI: «Ma perché da tanto tempo non scrive?».
DON CAMILLO: «Te lo spiegherà lui, fra un paio di giorni».
(...)
BERLINO UFFICIO IVAN
Piccolo squallido ufficio. Alla scrivania e seduto Ivan. Un borghese russo introduce Peppone e Don Camillo e parla con Ivan.
DON CAMILLO: «Compagno, se sei Ivan Idof di portiamo i saluti della compagna Nadia Petrovna di Rossow».
IVAN: «Grazie!». PEPPONE: «Potremmo vedere la città?». IVAN (dopo aver parlato il russo col com-
missario): «Compagno, ciò che tu chiedi non è possibile. Ci dispiace».
PEPPONE (si offende): «Se ci hanno fatto visitare l’Unione Sovietica perché non possiamo vedere Berlino est? Io sono un senatore comunista!».
Peppone trae di tasca tessere e documenti che mette davanti a Ivan.
IVAN (mostra i documenti al commissario e parla in russo): «Ci spiace...».
Don Camillo mette davanti a Ivan la sua tessera.
DON CAMILLO: «Siamo compagni di sicura fede! E poi c’è con noi anche il compagno Luigi Tocci di Casalnovo piemontese».
IVAN (duro): «Non lo conosco!».
Don Camillo riprende la tessera.
DON CAMILLO: «Capisco».
Ivan e commissario parlottano.
IVAN (cortese ma duro): «Ciò è molto spiacevole ma le visite debbono essere predisposte dalla superiore autorità. Dobbiamo essere prudentissimi. Il nemico della libertà è a due passi da noi!».
Ivan si alza. Peppone e Don Camillo escono seguiti dal commissario. Ivan rimane solo. Va alla finestrella.
CORTILETTO
Peppone, Don Camillo e gli altri. Don Camillo parla col compagno padre, Tocci. Primissimo piano di Tocci con gli occhi pieni di lagrime. Se ne vanno scortati dai Vopo.
UFFICIO IVAN
Ivan che continua a guardare dalla finestrella. Immobile.
MURO DI BERLINO
Una uscita nel muro di Berlino. La squadra di Peppone esce. Passa il controllo dei poliziotti di Berlino ovest. Tutti mostrano il passaporto ai poliziotti occidentali.
(...) Sopraggiunge Tocci. TOCCI: «Compagno Tarocci, sei proprio
sicuro?». DON CAMILLO: «È lui. Ha ringraziato
per i saluti di Nadia. E poi mi hai mostrato la sua foto».
TOCCI: «Perché ha detto che non mi conosce?».
DON CAMILLO: «L’ha spiegato lui. Dobbiamo essere prudentissimi. Il nemico della libertà è a due passi da noi».
TOCCI: «Capisco».
DON CAMILLO: «Non capisci niente e non avevo capito neppure io. Il nemico era il commissario russo!».
TOCCI: «Non ci credo!».
Don Camillo gli indica il muro della vergogna.
DON CAMILLO: «E a quello, credi?».
MURO DI BERLINO
Urla e spari da dietro il muro.
DON CAMILLO (indica): «Là! Guarda!».
Particolare del muro. Sulla torretta che spunta da dietro il muro un Vopo col mitra in pugno. È agitatissimo. Qualcuno tenta di fuggire scavalcando il muro. Sta per riuscire.
TORRETTA
Il Vopo che spara una raffica.
MURO
Ivan riverso sulla sommità del muro. Tocci e si lancia. Il Vopo spara per tener lontano chi vuol soccorrere il ferito. Don Camillo non esita e segue il compagno Tocci.
TORRETTA
Il maledetto Vopo che continua a sparare.
Peppone imbestialito raccoglie un pezzo di mattone e lo lancia. Il mattone coglie in testa il Vopo della torretta. Il Vopo vacilla.
MURO
Don Camillo e Tocci e che disperatamente cercano di tirare giù Ivan. Riescono finalmente. Ai piedi del muro, Ivan morente per terra. Don Camillo e Tocci inginocchiati. La mano di Ivan stringe disperatamente quella del padre adottivo. Don Camillo butta via il berretto e benedice il morente.
DON CAMILLO: «Ego te absolvo...».
Peppone e compagni tutti in piedi, dietro Don Camillo, Tocci e Ivan guardano con volto grave. Dietro di loro: folla, polizia di Berlino ovest.
MURO
Don Camillo inginocchiato che compone le mani del morto. Pone fra le mani di Ivan il piccolo crocefisso tascabile. Don Camillo si alza e si segna. Peppone e compagni si scoprono e si segnano. Poi si volgono a destra. Don Camillo che sta allontanandosi e scompare. Primissimo piano di Tocci inginocchiato a fianco del figlio. È immobile e impenetrabile. Dietro Tocci è Tavan in piedi assieme agli altri. Primissimo piano della mano di Tavan col vasetto dei tre fili di frumento.
VESCOVADO
DON CAMILLO: «Non ebbi più il coraggio di rimanere con loro. Tornai per conto mio ed eccomi qui pieno di vergogna...».
VESCOVO: «È terribile. È una sciagura irreparabile. Irreparabile».
DON CAMILLO (con occhi sbarrati): «Irreparabile?».
VESCOVO: «Non capisci il figliolo che, stando così le cose, sarò costretto a fare monsignore un capocellula?».
DON CAMILLO: «Domine non sum dignus...».
VESCOVO: «Lo stesso ho detto io tanti anni fa. Ma nessuno mi ha dato retta. Ed eccomi qui. Che Dio ti protegga, monsignore».
CHIESA BRESCELLO INTERNO
Il compagno Tarocci morì a Berlino assieme al povero Ivan e Don Camillo, ridiventò il parroco del borgo sperduto nella Bassa. E passarono i giorni.