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 2015  settembre 06 Domenica calendario

MUSSOLINI VA AL POTERE, IL CALCIO OBBEDISCE

La sera di domenica 22 ottobre 1922 Roberto Farinacci era su tutte le furie. Discutendo con i collaboratori agitava le mani, urlava, dava ordini. Sembrava non riuscisse a stare fermo, aveva bisogno di organizzare, di dire, di fare. E, soprattutto, di gridare. Perché gridando affermava il suo potere. Quando, subito dopo la cena, gli comunicarono che la Cremonese aveva perso ancora, 2-1 contro il Milan, la rabbia gli stravolse il viso. Con gli occhi fulminò l’uomo che gli aveva portato la notizia, gli altri che erano lì tacquero. Calò un silenzio di paura: adesso che cosa avrebbe fatto il cattivissimo ras di Cremona? Avrebbe ordinato una spedizione punitiva contro i giocatori? O contro l’allenatore? Poteva accadere tutto, perché Roberto Farinacci di tutto era capace. Per fortuna lo trattenne il pensiero che il calcio, almeno quella volta, veniva in secondo piano: aveva altro per la testa. Certo che quel disastroso inizio di campionato della Cremonese, tre sconfitte in tre partite, non gli avrebbe giovato: ai vertici del partito lo avrebbero preso in giro, lui così tifoso e così invasato per quella squadra, addirittura qualcuno avrebbe potuto sfruttare il momento per scavalcarlo o metterlo in cattiva luce agli occhi del grande capo. Oltretutto non è che i due andassero sempre d’amore e d’accordo.
LA VIOLENZA C’era qualcosa di più urgente del campionato, dunque. Già, bisognava preparare la grande rivoluzione fascista, la presa del potere. E Roberto Farinacci, al principio degli anni Venti, del fascismo era uno degli esponenti di punta: era stato lui a organizzare lo squadrismo, a Cremona e dintorni. Aveva raccolto i soldi, tanti soldi, dei proprietari terrieri che temevano gli scioperi dei contadini, e li aveva versati nelle casse del partito. E aveva usato manganello e olio di ricino contro chi non indossava la camicia nera. Era il terrore fatto persona, e persino Benito Mussolini lo temeva: aveva paura che Farinacci gli potesse addirittura sottrarre la poltrona. Ma il ras di Cremona, anche se del grande capo non apprezzava certi compromessi, mai avrebbe osato tanto. In quell’ottobre del 1922, ad esempio, non aspettava altro che gli giungesse l’ordine di marciare su Roma e andare finalmente al governo. Mussolini tentennava, preferiva avere un’investitura parlamentare anche per accontentare il re e gli industriali che lo sostenevano ma non vedevano di buon’occhio l’uso della forza. Farinacci e i suoi seguaci, invece, premevano per una svolta violenta. Ecco perché la sera del 22 ottobre era tanto agitato: sapeva che l’ora della verità era vicina.
IL PIANO Era un periodo complicato anche per il calcio italiano. Nell’estate del 1922 era stata evitata la scissione tra «grandi» e «piccoli» club ed erano state istituite due leghe, quella del Nord e quella del Sud, che avrebbero organizzato tutta l’attività. Il campionato era cominciato l’8 ottobre: 36 squadre, suddivise in tre gironi, partecipavano al torneo nazionale sotto la bandiera della Lega Nord; la Lega Sud gestiva invece i tradizionali campionati regionali cui erano iscritte 20 società. Il Genoa era di gran lunga la squadra più forte, ma da non sottovalutare erano pure il Legnano, la Pro Vercelli e il Padova. Milan e Juve, invece, non attraversavano il loro momento migliore. E la Cremonese di Farinacci lottava per evitare la retrocessione: salvarsi era l’obiettivo dichiarato all’inizio della stagione. Le cose non funzionavano come il ras desiderava, ma c’era tempo per rimediare e l’allenatore Attilio Tornetti si rimboccò le maniche per accontentare il tifoso più esigente. A Cremona, tuttavia, smaltita la delusione per la terza sconfitta consecutiva, la settimana fu dedicata a ben altro. Farinacci e i suoi scagnozzi misero a punto il piano definitivo per conquistare la città. Mussolini, intanto, aveva radunato migliaia di camicie nere a Napoli e lì aveva dichiarato: «O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma». Nessuno contrastava le iniziative dei fascisti. Esercito, polizia e carabinieri non si capiva da che parte stessero. Le città, in tutt’Italia, erano in balìa dei raid degli squadristi che occupavano edifici, esponevano bandiere, seminavano il panico. Il caos era totale. E in questo caos, tanto per cambiare, precipitarono anche i dirigenti del calcio.
L’ANTICIPO Il 29 ottobre era in programma la quarta giornata di campionato. Sulla Gazzetta del 28 ottobre comparve una pagina di presentazione delle partite, segno che apparentemente tutto si sarebbe svolto in modo regolare. Ma il Paese era fuori controllo, il re si rifiutò di firmare il decreto che sanciva lo stato d’assedio e in questo modo diede il via libera alla marcia. Dalle province di tutt’Italia gli squadristi calarono su Roma senza trovare opposizione. E a dare l’avvio, con qualche ora d’anticipo, fu Farinacci che a Cremona, di sua iniziativa, s’impossessò della prefettura e si autoproclamò sindaco. Era sabato 28 ottobre 1922. Il giorno successivo, invece di correre negli stadi per applaudire i loro campioni, gli italiani si radunarono nelle stazioni ferroviarie a salutare il passaggio dei treni carichi di fascisti diretti a Roma. La Gazzetta dello Sport informò, il primo novembre, che «gli avvenimenti di questi giorni avevano consigliato la Federazione a rinviare gli incontri di campionato, che dovevano aver luogo domenica 29». Fu paura o connivenza? Non si sa, l’unica certezza è che il calcio si fermò a guardare i fascisti che si prendevano l’Italia. E fu così che il ras Roberto Farinacci vinse la sua partita.