Tratto da: L’ultima regina di Vittorio Sabadin, Utet 2015, 7 settembre 2015
TUTTI GLI UOMINI DI VITTORIA, LA SOVRANA DEL PROGRESSO
La regina Vittoria si trovava al Castello di Balmoral il 24 settembre del 1896, giorno in cui il suo regno superò quello di Giorgio III, durato 59 anni e 96 giorni. Per festeggiare l’evento, le era stato regalato solo un tagliacarte con l’impugnatura d’oro, e con il suo volto impresso di profilo. La regina aveva settantasette anni e avrebbe regnato per altri cinque, sempre più incupita e isolata dal mondo. Negli ultimi mesi aveva persino proibito di bussare alla sua porta: se volevano essere ammessi nella stanza, i parenti dovevano grattare dolcemente il legno dello stipite. Vittoria aveva annotato quella data nel suo diario come uno degli eventi della giornata, senza attribuirle un particolare significato. Era stanca e malata, non vedeva l’ora di tornarsene a Osborne House, sull’isola di Wight, l’unico luogo nel quale ormai si sentiva serena. L’anno successivo, alle grandiose celebrazioni per il Giubileo di Diamante, non fu in grado, a causa dei reumatismi alle gambe, di uscire dalla carrozza davanti alla chiesa di St Paul e il rito fu celebrato all’aperto, per consentirle di seguirlo.
Per molti anni Vittoria aveva passato le sue giornate su una poltrona, fissando un punto lontano. Aveva perso la voglia di vivere da quando il suo adorato marito Albert era morto nel 1861 a soli quarantadue anni. Da quel giorno si era sempre vestita a lutto e aveva trascorso la maggior parte del tempo chiusa al Castello di Windsor, a Osborne House o a Balmoral, il maniero scozzese che aveva deciso di acquistare e ricostruire con Albert nel 1848. Le sue assenze dalla scena pubblica erano così prolungate da avere fomentato piccole rivolte repubblicane, che si sfogavano in manifestazioni a Trafalgar Square o in cartelli appesi sulla cancellata di Buckingham Palace, in cui si annunciava che l’edificio era in vendita a causa della prolungata assenza dei proprietari.
Ai sudditi non piaceva nemmeno che Vittoria si facesse accompagnare così spesso da John Brown, un servitore scozzese rozzo e sboccato, ma dotato di un’empatia e di una capacità di comunicare straordinarie, che aveva riempito il vuoto d’affetto e attenzioni creato dalla scomparsa del principe Albert. Il cappellano di Vittoria, Norman Macleod, confessò di averli sposati in segreto, ma si preferisce non credere alle sue affermazioni, anche se la gente chiamava apertamente la Regina “Signora Brown”. In ogni caso, nelle disposizioni per il proprio funerale, Vittoria ordinò che nella bara, ai lati del suo corpo, fossero posti da una parte la veste da camera di Albert e il calco della sua mano, che aveva fatto realizzare dopo la morte del Principe e che teneva sempre sul comodino; dall’altra, una ciocca di capelli di John Brown, un suo ritratto e la fede d’oro della madre del servitore scozzese. Sopra queste imbarazzanti reliquie venne posto, per nasconderle, un mazzo di fiori.
Vittoria riempiva ogni giorno pagine di lettere e di diario che sono state fedelmente ricopiate e rese pubbliche dopo la sua morte, con poche censure. Ne emerge il ritratto di una donna vivace, determinata, assertiva, che si esprimeva in modo diretto su ogni questione. Il contrario dell’immagine che abbiamo tutti in mente, quella ripresa nei suoi ultimi anni dalle prime macchine fotografiche e dalle pionieristiche cineprese di fine Ottocento: un’anziana, triste sovrana vestita di nero, con pochissimi lembi di pelle scoperti, che sembra attendere la fine priva di ogni residuo interesse per la vita.
Nata nel 1819 a Kensington Palace, Vittoria era l’unica erede del quarto figlio di Giorgio III e divenne regina a diciotto anni per una incredibile uscita di scena di tutti i pretendenti che la precedevano nella linea di successione. Fino al giorno della sua ascesa al trono, era stata praticamente tenuta reclusa in casa dalla possessiva madre tedesca, la principessa Victoria di Sassonia-Coburgo-Saalfeld, duchessa di Kent e Strathearn, e dal suo spregevole amante, Sir John Conroy. Per controllare meglio la figlia, la madre dormiva nella sua stessa stanza e Vittoria aveva chiesto, come regalo per il suo diciottesimo compleanno, di potere passare almeno un’ora al giorno da sola e di avere una camera da letto solo per sé. Quando quattro settimane dopo divenne regina, ordinò come prima cosa a Conroy di andarsene e alla madre di lasciare per sempre la sua camera.
Vittoria non sarebbe diventata una buona sovrana se non avesse potuto contare fin dall’inizio sui consigli di uno degli uomini politici più brillanti dell’epoca, Lord Melbourne. Da poco vedovo e senza figli, forse Melbourne s’invaghì un poco di quella ragazzina, che a sua volta lo considerava come un padre del quale ci si poteva totalmente fidare. Quando nel 1839 Melbourne si dimise, Vittoria diede al tory Sir Robert Peel l’incarico di formare un governo. La Regina aveva solo vent’anni, ma mostrò tutto il suo carattere quando Peel pretese, come si faceva abitualmente all’epoca, di sostituire tutte le dame di compagnia di Vittoria con le mogli dei suoi principali collaboratori, in uno spoil system di Ladies-in-Waiting e di Women of the Bedchamber che aveva lo scopo di mettere proprie persone fidate a spiare, di fatto, la Sovrana. Vittoria si oppose con fermezza e tenne duro finché Peel non preferì dimettersi e lasciare di nuovo il posto a Melbourne.
Il regno di Vittoria non sarebbe oggi ricordato come una straordinaria epoca di progresso senza un altro grande uomo, anche lui di origine tedesca. Albert di Sassonia-Coburgo-Gotha aveva conosciuto la giovane principessa quando lei aveva sedici anni, per iniziativa del re Leopoldo del Belgio, un impiccione che, come avrebbe fatto anni più tardi Lord Mountbatten, amava organizzare incontri e matrimoni tra i reali europei. Vittoria e Albert erano cugini, il padre di lui era fratello della madre di lei, e gli storici più malevoli affermano che Albert non amasse davvero la Regina: almeno all’inizio, vedeva la relazione come un modo per salire la scala sociale e nulla più. Si scrivevano lunghe lettere in tedesco, la prima lingua che Vittoria aveva imparato e l’unica che aveva conosciuto fino all’età di tre anni, quando le furono impartite anche lezioni d’inglese. Fu lei a proporsi, perché era vietato fare una proposta di matrimonio alla regina, e le nozze furono celebrate il 10 febbraio del 1840: avevano entrambi poco più di vent’anni.
Anche se Vittoria considerava il partorire un evento selvaggio, da animali, ebbero otto figli in rapida successione, il primo, il futuro re Edoardo VII, nel 1841; l’ultima, Beatrice, nel 1857. La secondogenita, Alice, trasmise l’emofilia di cui Vittoria era portatrice sana a sua figlia Aleksandra Fëdorovna, che a sua volta la trasmise ad Aleksej, il figlio dell’ultimo zar Nicola II. Senza questo contagio, Aleksandra non avrebbe portato a corte il “guaritore” Rasputin, e la storia della Russia e del mondo sarebbe forse ora diversa.
Vittorio Sabadin