Stefabno Feltri, il Fatto Quotidiano 7/9/2015, 7 settembre 2015
L’INCOGNITA DEL DOLLARO, I DILEMMI DI ENI E FCA
Vi ricordate la Grecia? Quando la politica è andata in ferie, ad agosto, quella era la principale preoccupazione degli investitori, dei mercati, delle banche, dei governi. Oggi, anche se il risultato delle elezioni del 20 settembre in Grecia è incerto, nessuno si preoccupa più di Atene: comunque vada, ci sarà una grande coalizione che applicherà le riforme necessarie per avere gli 86 miliardi di euro di aiuti europei.
La lista delle cose di cui preoccuparsi però si è allungata, all’improvviso i leader europei si sono ricordati del mondo fuori dalla zona euro. C’è la Cina, sulla Borsa di Shangai sta scoppiando una bolla azionaria gigantesca che i capi del partito comunista hanno ammesso di aver sottovalutato. Ma il contagio agli altri mercati è sopratuttto psicologico, visto che la Borsa di Shangai è quasi isolata. Preoccupa molto di più l’andamento dell’economia reale, con la crescita cinese che potrebbe fermarsi al 4 per cento invece che raggiungere il 7 promesso dal governo.
I timori sulla Cina inglobano però quelli sull’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti, fermi dal 2009: la Cina ha investito i suoi surplus di risparmio nei buoni del Tesoro americani, se salgono i tassi quei titoli si svalutano, con un danno secco per la Cina, che quindi l’11 agosto ha svalutato un po’ lo yuan per dare una spinta alla propria economia e mandare un segnale agli Usa. La Federal Reserve è ancora incerta se alzare i tassi a fine settembre, troppo ondivaghi i segnali che arrivano dall’economia mondiale, la ripresa americana è solida ma con fragilità. Quando i tassi Usa saliranno, la scossa sull’economia mondiale si sentirà.
In Europa i problemi sono molto diversi: giovedì il presidente della Bce Mario Draghi ha chiarito quale sarà il tema dell’autunno: la stagnazione. La Bce ha provato a dare una spinta all’economia, come ha fatto la Fed negli Usa, ma il suo Quantitative easing non sta funzionando, l’inflazione nel 2015 sarà soltanto lo 0,1 per cento. Dovrebbe essere al 2 per evitare che le economie della moneta unica si avvitino in una spirale di bassi investimenti e debiti troppo pesanti che soffocano la crescita.
In Italia le grandi imprese legate alla politica hanno difficoltà a trovare una strategia chiara. E la crescita ne risente. Dopo oltre sei mesi dal primo annuncio, ancora non è chiaro come e quando verrà costruita la rete in banda larga, mancano i soldi privati, mancano quelli pubblici sufficienti, Telecom Italia non ha intenzione di fare tutto da sola secondo le linee del governo che impongono costi troppo elevati.
L’Eni ha ammantato l’azienda di ottimismo con la scoperta di un grande giacimento di gas in Egitto, ma nei prossimi mesi deve trovare una soluzione per la sua controllata Saipem, deve cederne il controllo per togliere il peso del suo debito dai bilanci, ma dopo mesi di stallo i negoziati con la Cassa depositi e prestiti (azionista di controllo di Eni) sono soltanto all’inizio.
E Renzi aveva mandato segnali di essere pronto a scaricare l’ad Claudio Descalzi se le inchieste per corruzione internazionale avessero rivelato verità spiacevoli. Le Poste e le Ferrovie si avviano verso una discussa privatizzazione (ha senso cedere ai privati rendite che derivano da un monopolio pubblico?), ma i rapporti di Renzi sia con l’ad delle Poste Francesco Caio sia quello di Fs Michele Elia sono difficili.
Gli unici con le idee chiare sembrano essere John Elkann e Sergio Marchionne. Il primo continua a diversificare gli investimenti di Exor, la cassaforte degli Agnelli, e nei prossimi mesi dovrà completare le due operazioni dell’estate, la conquista dell’assicurazione Partner Re e lìacquisto della quota di controllo dell’Economist. Marchionne cerca invece un partner per Fca, cioè Fiat più Chrysler. General Motors per ora dice no, ma Marchionne sa essere persuasivo. Con questo matrimonio a tre, l’auto sarà ancora più lontana dall’Italia.