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 2015  settembre 06 Domenica calendario

BORSE NERVOSE. PREOCCUPA L’ASIA E LA FINE DEI RENDIMENTI FACILI

In cinque sedute, dal 18 al 24 agosto, la Borsa americana ha perso il 14%, quelle dell’Eurozona il 12%, e Tokyo il 18%. Da allora tutti i mercati azionari oscillano intorno ai minimi raggiunti, con movimenti superiori alla media. La miccia: il rallentamento della crescita cinese e l’incapacità delle autorità di affrontarla (i tentativi maldestri per fermare il crollo della borsa, la svalutazione pasticciata dello yuan, le sofferenze bancarie), a cui si è aggiunta l’attesa per l’aumento dei tassi della Fed.
L’interrogativo è se la caduta delle Borse sia una correzione dei valori azionari, come nell’estate 2011 quando Wall Street perse il 16% per poi recuperare in pochi mesi. O se ci saranno altri ribassi, segnali di una crisi con ripercussioni sull’economia reale, come nel 2001 o nel 2008, quando la Borsa Usa arrivò a perdere il 53%. Sono convinto che il primo scenario sia più verosimile, anche se quello toccato il 24 agosto scorso non fosse il fondo.
La ragione è che le Borse sono il sintomo di un disequilibrio, non la causa. E oggi non ci sono paesi emergenti a rischio di default, come nel 1998; né un eccesso di investimenti con conseguente bolla, come nel 2001; né un eccesso di credito a fronte di valori immobiliari inflazionati, come nel 2008. Ovunque le imprese hanno una struttura finanziaria equilibrata; le banche sono capitalizzate e il credito abbondante; non ci sono disavanzi insostenibili delle bilance dei pagamenti; la Grecia, ormai, è un caso chiuso; inflazione, crescita salariale e tassi di interesse sono bassi; margini e utili attesi sono in crescita; e il crollo del prezzo di petrolio e materie prime è un forte impulso espansivo per i paesi importatori.
La Cina non è una fonte di disequilibrio per il mondo. Ma la svalutazione dello yuan e il crollo di Shanghai hanno evidenziato come il suo modello economico non sia più valido. Il maggior contributo alla crescita è arrivato da investimenti in infrastrutture e immobili, che assorbono più del 40% del Pil, e da un’industria orientata all’export.
Gli investimenti sono stati finanziati con risorse erogate dal sistema finanziario interno, centralizzato e inefficiente, che ha generato un eccessivo accumulo di capitale: si stima che in Cina il rapporto capitale/prodotto sia ora di molto superiore a quello Usa. Un indice che i consumi sono stati compressi per finanziare anche investimenti poco o per nulla redditizi. La spinta all’export ha ulteriormente compresso i consumi, accumulando riserve valutarie che hanno finanziato il debito pubblico americano. Un modello insostenibile che deve essere reindirizzato verso i consumi interni. Questo implica meno risparmio, salari più elevati, più mercato, meno corruzione e burocrazia, più efficienza nel sistema finanziario. E anche una crescita molto più contenuta. Problemi che affliggono anche altri paesi cresciuti rapidamente esportando materie prime, e che ora devono riconvertirsi a un modello basato sui consumi interni.
La conseguenza è che il tasso di crescita potenziale dell’economia mondiale rimarrà a lungo al di sotto della media degli ultimi vent’anni. Non è uno scenario da recessione o crisi finanziaria. L’aumento dei tassi della Fed, che ci sia a settembre o più avanti, non avrà effetti sostanziali sull’economia, perché il Qe (l’acquisto di titoli sul mercato) è già finito da un pezzo. Ma un valore simbolico: segna il ritorno alla “normalità”, che a differenza del passato è fatta di bassa inflazione, bassi tassi di interesse e crescita moderata degli utili. Ed è questo il punto: investitori e mercati non hanno ancora adeguato le aspettative di rendimento alle reali prospettive di ottenerli. Si punta ancora a un ritorno dagli investimenti in linea quelli post anni ’80, storicamente eccezionali e troppo elevati per lo scenario dei prossimi anni. Di qui la ricerca spasmodica di rendimento, troppo spesso a scapito della liquidità e dei rischi che veramente si è disposti a sopportare. E i bruschi risvegli, come la recente caduta delle Borse.
Per me, anche questo fa parte della nuova normalità: lunghi periodi di bassa volatilità e mercati in crescita, intervallati da brusche quanto repentine cadute. Quanto alla capacità delle Borse di prevedere l’economia, «la Borsa è così efficiente che ha previsto nove delle ultime cinque recessioni» (Paul Samuelson, premio Nobel per l’economia).
Alessandro Penati, la Repubblica 6/9/2015